Prologo

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27 settembre 2009

<< Alexander Geremy Taylor, da oggi sarai il mio migliore amico! >>

...

La pioggerellina fine che aveva da poco iniziato a cadere durante quella, ancora fin troppo calda, giornata di settembre sembrava aver dato un lento inizio all'acquazzone previsto per quel pomeriggio. Le fini goccioline che precipitavano dal cielo si fermavano solo quando raggiungevano il terreno ormai cosparso di foglie dai più bei colori autunnali. Nonostante il caldo di quelle giornate, quell'anno l'estate aveva fatto spazio all'autunno in anticipo. Gli alberi, che facevano da sfondo a molte strade erano ormai spogli. Solo le vie più importanti che vantavano di piante sempreverdi potevano all'occhio ricordare ancora un'atmosfera estiva. Eppure, non vi era più quel viavai di ragazzini in giro che si preparavano ad una partita di calcio o andavano a prendere un gelato. Le strade erano semplicemente vuote, solo qualche clacson turbava quella quiete che il silenzio rendeva sempre più similare ad un dipinto.

Eppure, nonostante tutta questa tranquillità che l'autunno stava lentamente portando con se, in un vecchio parco giochi ormai non più così frequentato, due bambini se ne stavano lì. Rannicchiati nella penombra di una vecchia casettina in legno. L'aspetto di quello che un tempo era un gioco per bambini, ora appariva trasandato. Gli anni avevano segnato le pareti in legno di quella casetta in innumerevoli modi. I giovani che la sera visitavano il parco per gioco, per pomiciare o andare a caccia di fantasmi, avevano spesso lasciato il segno del loro passaggio. Così come loro avevano fatto, anche il tempo aveva donato, a quel gioco ancora in piedi, i segni del suo passaggio.

Le pareti sottili erano tutte sporche, non si poteva ben definire di cosa. Probabilmente vi era fango, polvere e forse anche un po' di muffa. L'unica cosa curiosa di quella casetta erano le sue finestrelle. Quelle erano rimaste in uno stato quasi impeccabile. Non erano inclinate, né rotte e non lasciavano entrare in quella piccola struttura nemmeno un filo di luce.

<< Quindi, Alexander? Vuoi essere il mio migliore amico? >>

Forse era un segno, quel giorno di fine settembre per la prima volta dopo tanto tempo, quell'unico gioco ancora in piedi aveva dato riparo da quella lieve pioggerellina a due bambini. Sarebbe stato strano cogliere la loro presenza, erano silenziosi il che era insolito. L'unico suono che infrangeva quel silenzio e nascondeva per un attimo lo scroscio della pioggia era una vocetta stridula che riecheggiò per un attimo sia nel parco che nella testolina confusa del suo interlocutoùre. Soltanto dopo un altro breve momento di silenzio qualcun altro rispose. La voce che questa volta ruppe il silenzio era anch'essa stranamente acuta. Si sentiva che non era la voce di una bambina, ma aveva ugualmente un suono acuto anche se meno perforante di quella udita pochi secondi prima. Colui che stava prendendo la parola sembrava tremendamente in imbarazzo nel farlo.

<< A-Amalia ... Guarda che il mio nome è Alex ... >> Questa fu la risposta che quel bambino, Alex, diede. Il suo tono era un sussurro, sembrava un lieve soffio di vento. Fortunatamente era abbastanza forte da impedire che la pioggia ne coprisse il suono. In realtà sentire Alex parlare era molto bello. Quella voce e quella risposta in un Italiano impeccabile per un bambino di otto anni diedero anche spazio ad un lieve accento Americano.

In ogni caso, la costatazione del bambino non ebbe nessun successo. Nessuno rispose. Sembrava essere rimasto solo in quella casetta. Grazie a quel nuovo silenzio, era possibile sentire i boati dei tuoni,troppo lontani per poterli spaventare.

<< A-Amalia? Ci sei ancora? Mamma e Papà si preoccuperanno se non ci vedono rientrare ... >> Riprovò la vocina sempre più bassa ed evidentemente in imbarazzo da quella conversazione diventata a senso unico. Ad Alex mancava il fiato. Era appena arrivato lì, aveva appena fatto "amicizia" con i nuovi vicini di casa Italiani e già si era ritrovato in un parco quasi abbandonato senza avere la più vaga idea di come poter tornare indietro. Il cuore gli stava battendo forte, iniziava a pensare che Amalia fosse sgattaiolata via in qualche modo lasciandolo lì da solo. Questo pensiero durò effettivamente una frazione di secondo ma abbastanza da convincere il bambino a sporgersi in avanti con il busto alla ricerca della sua "complice". Le sue mani si posarono sul terreno umidiccio praticamente privo di erba. La penombra di quella casetta, per via del temporale che si stava preparando, si era fatta considerevolmente intensa e per questo motivo, soltanto quando il bambino le arrivò molto vicino riuscì a scorgerla.
A quella distanza era tutto un altro punto di vista, a differenza di poco prima riusciva persino a distinguere i lineamenti del suo viso. Amalia, a prima vista, sembrava così delicata. Era come un fiore appena sbocciato. Questo era senza dubbio dovuta all'insieme dei suoi colori. Aveva una carnagione veramente chiara, non era un chiaro a modi "bambola di porcellana", era un chiaro rosato, come i petali delicati dei rododendri: come loro si coloravano di un rosa più acceso verso il pistillo, Amalia si colorava di questo rosa vivo su guance e naso. Inoltre questo viso era contornato da una cascata di capelli biondi: un biondo incredibilmente chiaro per sembrare effettivamente naturale, ed infine, la cosa che più in assoluto aveva colpito il bambino, i suoi occhi.

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