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Sarebbe un enorme dispiacere chiedere a Biancaneve di lasciare i suoi sette nani o a Mowgli di abbandonare la sua amata giungla.
Tuttavia, certe volte un cambiamento è la cosa migliore per lasciarsi alle spalle la sofferenza di non avere un letto delle proprie dimensioni o di non sentirsi un vero bambino.
Lasciare la casa dove sono nata e cresciuta fa male, ma amo pensare che il mio posto ormai sia altrove, a Los Angeles magari, dove potrò costruirmi un nuovo cammino e diventare la versione migliore di me stessa.
D'altro canto, però, una fitta mi attraversa il cuore quando, scendendo le scale di ciliegio, osservo il camino e mi immergo nel ricordo di me, lì di fronte, seduta sulle gambe di mio padre, ad ascoltare le fiabe che ogni notte mi leggeva prima di andare a dormire. Quella poltrona, quel tappeto giallo e blu - che con la mia immaginazione diventava sabbia e mare- , quel profumo di vaniglia che inondava la casa, quelle mensole piene di libri sopra la mia scrivania, quel divano ambrato dove io e Amelia passavamo i pomeriggi. Queste quattro mura, dove una parte del mio cuore rimarrà per sempre, forse in giardino, o forse sdraiata sul letto, aspettando che qualcuno le dia un abbraccio.

Preso anche l'ultimo scatolone rimasto, mia madre prende le chiavi e insieme ad esse un respiro profondo, afferra la maniglia in legno e chiude la porta.
Mark, Theresa e Amelia si palesano davanti la macchina per augurarci un buon viaggio.
I loro volti, così come i nostri, raccontano un miscuglio di emozioni tra la gioia per un nuovo inizio e la voglia di piangere e non lasciarsi più: siamo una famiglia noi, siamo sempre stati insieme.
L'amicizia che lega la mamma e Theresa è secolare e indistruttibile; hanno desiderato che così fosse anche per le loro figlie.
Infatti, non c'è persona che mi sia stata più vicino di Amelia in questi anni, incondizionatamente; anche quando io non volevo nessuno, lei se ne stava in un angolo senza parlare, solo per ricordarmi di non essere sola.
Dalla morte di mio padre, loro sono diventati la nostra casa e questo, così come la mia amata San Francisco, non potrò mai dimenticarlo.
Dopo esserci abbracciati tutti, io e Amelia ci lasciamo la mano ed è lì che capisco davvero che tutto sta per cambiare.
Non ricordo di aver mai passato un giorno fuori da San Francisco, non ricordo di aver mai vissuto senza Amelia e i suoi.
Sono come Mowgli, sono sempre stata nella giungla e non so se sono capace a stare tra la gente.
Mia madre si asciuga gli zigomi con un fazzoletto e alza la mano per un ultimo saluto.
Saliamo sull'auto e i suoi occhi verde smeraldo sono lucidi e mi guardano: stanno sorridendo, curiosi di scoprire un nuovo mondo.
Los Angeles è la città natale di mio padre, dove ha studiato e dove ha conosciuto mia madre, trasferendosi poi a San Francisco con lei.
Alla sua morte avrei voluto lasciarmi andare, abbandonare gli studi, diventare un vegetale.
Eppure, una luce dentro mi ha spinto a non mollare. Così mi sono diplomata e ho iniziato a pensare che avrei dovuto fare un regalo a mio padre che lui potesse ricevere.
Ha sempre sognato di portarmi a LA: diceva che avrebbe voluto farmi laureare nella sua stessa università, una delle più prestigiose della zona.
Non sapevo se potevo permettermelo, ma questo
regalo dovevo farglielo.
È adesso che il suo sogno, anche se non può viverlo a pieno con noi, si sta per realizzare, mentre stiamo sedute su una macchina e lasciamo alle nostre spalle l'insegna di San Francisco.
Merita di sentirsi fiero di me -ovunque si trovi- e io farò ogni cosa per essere il suo orgoglio più grande.
Il vento spinge le lacrime sulle mie guance e le asciuga, muove le foglie degli alberi e ne fa spezzare qualcuna.
È arrivato l'autunno, la mia stagione preferita, ma spero che nella mia vita adesso sia primavera.

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