1. A prima vista.

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La cittadina statunitense di Forks era coperta da una cupola di neri cumulonembi, che andavano ad accumularsi al centro del cielo.
Una cappa di perenne umidità fasciava ogni centimetro della città, che contava poco meno di quattromila anime. Gli alberi sempreverde ai margini della strada erano carichi delle goccioline di pioggia rimaste dal temporale della notte precedente.
Amber Bianchi vi si era trasferita insieme a sua madre Heather tre settimane prima dall'Italia, il suo Paese d'origine, che le mancava ad ogni attimo, ad ogni respiro. Aveva nostalgia del Sole, del caldo, delle voci e delle risate della gente.
Forks le piaceva, ma era così silenziosa e cupa, come se la sua esistenza fosse mascherata al resto del mondo da una nebbia che ne sfocava i contorni, come se nessuno vi avesse mai abitato davvero. Il silenzio non l'aiutava: dalla morte di suo padre tutto il mondo sembrava aver perso il suo naturale brusio e, anche se la natura di Amber la spingeva a mostrarsi solare, era difficile non risentire del cambiamento.
La Forks High School, a pochi chilometri da casa, attendeva il suo arrivo e quello di circa quattro centinaia di studenti.
Scendendo le scale della villetta monofamiliare in cui si era trasferita con sua madre, Amber scorse la donna tirare su con il naso e asciugarsi gli occhi con il dorso della mano. Fece volutamente più rumore, per darle il tempo di ricomporsi.
«Ciao, mamma» la salutò Amber.
Da sua madre aveva ereditato i capelli color del miele, ma dei suoi occhi celesti non c'era traccia: Amber aveva profondi occhi color cioccolato, con dolci sfumature ambrate, sfumature che aveva ereditato da suo padre. Suo padre morto in un incidente d'auto, poco meno di due mesi addietro.
«Ciao, tesoro. Come hai dormito?» le domandò sua madre, e lei si riscosse, sforzandosi di sorridere, sperando che le sue evidenti occhiaie violacee non fornissero una risposta esaustiva alla domanda.
«Non c'è male. Sono un po' nervosa per il primo giorno di scuola» mentì la ragazza. Trasferirsi poco prima dell'inizio delle lezioni era stata una scelta di sua madre: sarebbe riuscita ad ambientarsi meglio, se avesse iniziato la scuola come tutti gli altri. Anche se proprio non si sentiva come tutti gli altri.
«Andrà bene, cara, vedrai. Ti ambienterai con facilità, e ti farai presto dei nuovi amici» la incoraggiò Heather, porgendole la consueta tazza di tè al mirtillo che le preparava ogni mattina. Amber le sorrise, grata per quel gesto.
Rimasero in silenzio per tutta la durata della colazione, ma non era un silenzio pesante: era suo padre quello chiacchierone della famiglia, ed era lui ad imbarazzarsi nel sentire del silenzio intorno.
«Farei meglio a vestirmi e ad avviarmi verso scuola, mamma. Devo fermarmi in segreteria per chiedere l'orario delle lezioni» spiegò Amber, posando la tazza ormai vuota nel lavello d'acciaio. Salì le scale due gradini per volta e, dopo la consueta doccia mattutina, indossò una camicia di flanella a quadri, che accartocciò nei pantaloni beige a vita alta. Ai piedi, un paio di stivaletti neri di camoscio con una leggera parvenza di tacco.
Sulle ciglia un lieve strato di mascara, sulle labbra un leggero tocco di burrocacao profumato alla ciliegia, ed era pronta per andare a scuola. Annotò mentalmente della necessità di un acquisto di un paio di stivaletti di pelle: il camoscio non era adatto all'aria umida e piovosa che permeava Forks.
«Ciao, mamma! Buon lavoro, oggi» augurò Amber a sua madre Heather e, con lo zaino sulla spalla destra, si avviò verso l'auto posteggiata nel vialetto di fronte alla villetta.
La Mini Countryman azzurro sgargiante brillava in quella luce grigio-verdastra che sembrava avvolgere ogni cosa e, sulla strada verso la Forks High School, attirò gli sguardi dei pochi curiosi che passavano sulla strada semi-deserta.
Amber giunse a scuola con qualche minuto di anticipo, fattore che le permise di trovare un buon parcheggio di fronte all'ingresso della segreteria scolastica.
L'edificio principale era una struttura in mattoni in cui, secondo le indicazioni impresse su una targa matellica accanto alla porta d'ingresso, trovavano sede l'auditorium, la segreteria, la mensa e la palestra. Guardandosi intorno, Amber scorse altri due stabilimenti, con ogni probabilità sede delle aule e dei laboratori.
Varcando la soglia della segreteria, notò una signora dall'aria affabile seduta dietro al bancone, intenta a compilare un plico di fogli. Aveva degli ordinati capelli biondo cenere, due occhi azzurri come pozze d'acqua in cui si specchiava il cielo, e un paio di occhialetti tondi sulla punta del naso leggermente aquilino. Aveva labbra sottili, una corporatura corpulenta, messa ulteriormente in risalto dal cardigan giallo di lana merino che le copriva le spalle.
«Mi scusi? Buongiorno. Sono la nuova studentessa, Am-» cominciò la giovane, ma la segretaria – che, secondo la targhetta in plastica appuntata al cardigan, si chiamava Violet – la interruppe con dolce fretta.
«Oh, sì, Amber Bianchi. Aspettavamo tutti il tuo arrivo. Ho già preparato tutte le scartoffie che potrebbero servirti nei prossimi giorni. Una firmetta qui, e sarai libera di andare» Violet la segretaria aveva parlato veloce, come se avesse molta fretta, ma non volesse farlo pesare alla ragazza. Amber firmò il foglio che la donna le porgeva.
«La tua prima lezione è Storia Medievale, l'aula si trova nell'Edificio 3, alla tua sinistra lasciandoti alle spalle questa struttura. Buona giornata, cara» la liquidò la signora. Amber ricambiò il saluto e, uscendo dall'edificio, s'incamminò verso la direzione indicata da Violet. Stava camminando verso l'Edificio 3, che sembrava identico all'Edificio 1, quando si sentì toccare una spalla.
Voltandosi, Amber si trovò di fronte ad una ragazza dai capelli corvini, acconciati in una deliziosa treccia, e dagli occhi verde pino.
«Ciao, io sono Marlene! Sono la rappresentante d'Istituto per gli studenti, e mi occupo dell'accoglienza dei nuovi alunni. Tu dovresti essere Amber Bianchi!» la giovane aveva una parlata molto rapida e, a volte, qualche lettera veniva mangiata dalla sua foga.
«Sì, sono io. Parlate tutti così velocemente, qui?» sorrise Amber, e il gesto fu ricambiato. Le due si incamminarono verso l'Edificio 3, aula L92 – o meglio, Marlene si incamminò sospingendo Amber con una mano sulla schiena.
«Dici così perché non hai ancora sentito il professor Latermore, di Storia Medievale! Lui è una vera tartaruga quando parla, e anche quando cammina, se hai la fortuna di vederlo camminare» rise Marlene.
«Non cammina?» chiese Amber, alzando un sopracciglio. «No» fu la risposta della giovane dai fluenti capelli neri «è sulla sedia a rotelle» aggiunse. Amber trovò la battuta precedente un po' fuori luogo, ma non lo fece notare alla ragazza: aveva bisogno di amici, e Marlene dava l'impressione di essere gentile, simpatica e disponibile.
«Bene, mia cara Amber, siamo arrivate. Ora io ti devo lasciare, perché ho la lezione di biologia avanzata ma, a quanto dice il tuo orario» proruppe, togliendo di mano il foglio ad Amber «abbiamo la lezione di trigonometria insieme, dopo pranzo. Dicono che ci sia un nuovo insegnante, perché la professoressa Poppy è andata in pensione» disse, propinando ad Amber una carrellata di informazioni che l'italiana fece fatica a digerire tutte insieme.
«Allora ci vediamo a pranzo!» disse la ragazza dai capelli color miele. «Certo, ti presenterò ai miei amici!» le promise Marlene, prima di sparire dietro l'angolo del corridoio.
Entrando in aula, gli occhi dei presenti si posarono su di lei. Nonostante la campanella non fosse ancora suonata, molti studenti avevano già preso posto, e quello che doveva essere il professor Latermore era seduto alla cattedra, e stava sfogliando le pagine di un pesante volume dall'aria antica. Le pareti erano tappezzate di immagini storiche, di cavalieri, castelli, armature, e tutto era arricchito da fitte iscrizioni.
«Professor Latermore?» cercò di attirare la sua attenzione Amber, sporgendosi un poco verso di lui, ed ignorando la dozzina e mezza di paia di occhi che seguivano ogni suo movimento.
«Sì?» rispose lui, senza alzare gli occhi dalle pagine che stava sfogliando. Il professor Latermore era quasi del tutto calvo, eccezion fatta per qualche ciuffo di capelli qua e là, e portava degli sgargianti occhiali gialli sulla punta del naso. Indossava un completo elegante, ma la cravatta era un poco storta e il colletto della camicia non inamidato.
«Sono la nuova studentessa, Amber Bianchi» si presentò lei. Solo allora l'uomo alzò gli occhi verso di lei.
«Sì? Bene. Tutti aspettavamo il tuo arrivo. Siediti dove preferisci e, per questa volta, condividi il libro con la persona con la quale sarai seduta, ma cerca di procurarti il volume il prima possibile»
«Ho già il libro di Storia Medievale, professor Latermore. Ho controllato l'elenco prima di arrivare qui» disse Amber con imbarazzo, non volendo apparire eccessivamente diligente agli occhi dei compagni.
«Oh, bene. Una studentessa che fa le cose come si deve. Prendi posto, ragazza» la invitò lui.
Amber si guardò intorno, scorgendo solo un paio di posti liberi: uno era di fianco ad un ragazzo con una folta massa di capelli ricciuti e la carnagione scura, mentre l'altro era occupato da una ragazza che sembrava avere almeno due anni più di lei, vestita in maniera estremamente provocante, e che non la degnava di uno sguardo.
Amber si diresse verso il ragazzo, sedendosi al suo fianco. «Io sono Amber» si presentò.
«Oh, sì! Lo sanno tutti. Qui le novità non sono molte, e l'arrivo di un nuovo studente genera sempre un po' di stupore e curiosità. Io sono Francis» aveva un tono allegro e cristallino, ma non parlava così velocemente come Marlene e la segretaria.
«Ciao, Francis» sorrise Amber, e per il resto della lezione si scambiarono un paio di battute, quando il professor Latermore cadeva in una delle sue pause che, Amber apprese, erano usuali. Prese appunti per l'ora successiva e, nonostante avesse trovato la lezione molto interessante, la maggior parte dei contenuti li aveva già appresi durante i suoi anni di liceo in Italia. Comunque, al suono della campanella, si sentì soddisfatta e rinvigorita di essere stata in grado di partecipare in maniera attiva e costruttiva alla lezione.
Il resto della mattinata trascorse con moderata lentezza, ma nessuna lezione fu noiosa o ripetitiva. All'ora di pranzo, Marlene e Francis – che avevano spagnolo in comune, e che quindi si conoscevano – si unirono a lei, presentandole un gruppo abbastanza numeroso di amici, di cui Amber cercò di ricordare i nomi.
«Comunque» proruppe Marlene mentre uscivano dalla mensa «il professore di trigo è cambiato davvero: tutte le ragazze che hanno avuto lezione con lui ne sono uscite ammaliate, non so se per il suo carattere o per la sua voce stridula. Sarà di sicuro un anziano a cui è morta la moglie in qualche incidente d'auto e che se la prende con tutti gli adolescenti nel raggio di dieci miglia» continuò la ragazza.
«Non hai sentito quello che dicono?» si intromise Samantha, una bionda ossigenata dalle labbra carnose e dagli occhi azzurri. Marlene la osservò con uno sguardo curioso.
«Il nuovo professore di trigonometria ha qualcosa come vent'anni, una muscolatura perfetta e un pessimo carattere. Il tipico bad-boy» commentò Samantha, con occhi sognanti.
«È un peccato che io adori le tue tette, Sammy» ironizzò Marlene, sarcastica. Tutti gli sguardi caddero su Amber. Lei alzò le mani, innocente.
«L'ultima cosa che mi interessa è farmi espellere per aver considerato un professore un ragazzo da abbordare» disse, seria, e tutti risero. Quando arrivarono di fronte all'aula, il gruppo si divise: Samantha, Francis e Harry, il fratello di Marlene, si diressero verso l'Edificio 2, mentre Marlene e Amber si guardarono, in attesa.
«Non può essere poi così male. Di solito can che abbaia non morde» cercò di infondere coraggio Marlene. Amber alzò le spalle in segno di resa, e varcò la soglia dell'aula semi-vuota. In fondo all'aula, in piedi di fianco alla cattedra c'era un ragazzo che non doveva avere più di una ventina d'anni, dagli scuri capelli corti e dagli occhi altrettanto neri. La sua pelle era olivastra, senza la minima traccia di imperfezione, e il corpo modellato in maniera egregia, come se Michelangelo stesso si fosse preso la briga di scolpirlo con i suoi strumenti e le sue mani. Prima che Amber potesse distogliere lo sguardo, il giovane alzò gli occhi su di lei, e le loro iridi si scontrarono. Fu un istante, ma Amber fu percorsa da brividi e saette per tutto il corpo. Fu una spallata di Marlene a riscuoterla dal suo stato di trance.
«Con questi è meglio sedersi al primo banco: ti scambiano per una diligente e ti lasciano in pace per quasi tutto l'anno» le sussurrò la ragazza all'orecchio, e Amber si fece guidare dall'amica fino al tavolo in prima fila, quasi di fronte alla cattedra.
«Amber, devi andare a portare i moduli che ti ha lasciato la segretaria stamattina al professore» le ricordò Marlene, modulando la voce di modo che l'insegnante – era ridicolo che un ragazzo così giovane lo fosse – la sentisse.
«'Fanculo» sibilò Amber a denti stretti. L'amica rise sotto i baffi, compiaciuta.
«Sono la nuova studentessa, avrei bisogno che-»
«Lo so di cosa hai bisogno. Dammi quei fogli» rispose il ragazzo, strappandole di mano i documenti che lei gli stava porgendo, firmandoli frettolosamente e restituendoli alla diretta interessata.
«-grazie» rispose lei, stizzita da quel comportamento ingiustificato.
«Grazie, professor Black» sottolineò lui, incrociando le braccia al petto.
«Grazie, professor Black, signore»
Amber si diresse al suo posto, notando che Marlene faceva scorrere lo sguardo da lei, al professor Black, e poi di nuovo a lei.
«Sentivo che vi stavate scambiando testosterone ed estrogeni a colpi di spada» sussurrò, ed Amber dovette trattenersi dal ridere a bocca aperta.
«Deficiente...» disse, mentre la campanella suomava, e gli ultimi arrivati si sistemavano nei banchi rimanenti.
«Bene. Io sono il professor Black. Logan Black» iniziò, e ad Amber ritornò in mente la battuta Bond, James Bond, ma cercò di non pensarci «le uniche cose che mi aspetto da voi sono rispetto, puntualità ed impegno. Mi sono spiegato?» il suo tono era duro, le sue parole di ghiaccio, sibilanti.
«Chiede poco...» le sussurrò Marlene all'orecchio, scatenando una risata mal trattenuta in Amber.
«Signorina Jackson, lei e la signorina Bianchi volete condividere con la classe ciò che vi stavate sussurrando all'orecchio e che sembra scatenare così tanta ilarità?»
Le due ragazze si guardarono, accusando il colpo, ma Amber si affrettò a rispondere: «No, professor Black. Non è niente di inerente alla trigonometria»
La risposta sembrò irritare il professore, che ribatté con un grugnito: «Al prossimo richiamo finite in punizione» il che suonava come una minaccia.
Per il resto della lezione, nessuno osò fiatare. Qualche minuto prima che suonasse la campanella, Marlene attirò la sua attenzione con uno schiocco di dita.
«È peggio di quanto dicessero» disse in un sussurro ma, a quanto pareva, il professor Black doveva avere un udito sopraffino, perché si accorse di quel sussurro.
«Signorina Jackson-» iniziò.
«Sono stata io, professor Black» intervenì Amber, fissandolo dritto negli occhi scuri.
«Molto bene, signorina Bianchi. Rimarrà con me per due ore dopo la fine delle lezioni, e se sentirò volare una sola mosca, la farò espellere» fu la sentenza.
«D'accordo, professor Black»
Rimanere a scuola più del previsto le pesava, ma avrebbe comunque potuto sistemare i suoi appunti ed iniziare a studiare: dopotutto, sarebbe stato quasi come essere seduta alla propria scrivania.
Al suono della campanella, tutti si alzarono con discrezione, salutando il professore e dileguandosi il più in fretta possibile da quell'inferno a quattro mura. Marlene le toccò una spalla.
«Sei un angelo» la ringraziò. Amber rispose con un ampio sorriso, che andò a spegnersi velocemente quando vide che il professor Black la stava aspettando.
«Devo andare» disse a Marlene. Le due amiche si salutarono controvoglia ma, prima di andare, la ragazza dai capelli corvini afferrò una penna dalla cattedra e scrisse velocemente qualcosa su un foglietto bianco di fortuna.
«Tieni, questo è il mio numero di telefono. Usciamo, una volta o l'altra» esclamò Marlene e, dopo averle schioccato un bacio sulla guancia, lasciò la classe.
A noi, professor Black, pensò Amber, mentre il professore le fece cenno di seguirla. Si spostarono per i corridoi con disinvoltura, fino a raggiungere la biblioteca.
«Così farai ancora più silenzio» disse l'insegnante. La biblioteca era una grande stanza dai soffitti alti e dall'aspetto antico: le pareti erano coperte da librerie ricolme fino all'orlo, ed ogni sezione era numerata: alfa per quella storica, beta per quella chimica, e così via. Il professor Black le fece segno di sedersi ad un tavolo vuoto, con quattro sedie.
«Aspetta qui»
Il docente si dileguò, e lei si sedette al tavolo, sbuffando sonoramente mentre recuperava gli appunti di quella giornata, per riscriverli in bella copia. Il primo giorno, e sono già in punizione, pensò con tristezza. Avviserò la mamma dicendo che sono stata trattenuta per un progetto. E così pensando le scrisse un breve SMS.
Il professor Black tornò: con le dita della mano destra reggeva un casco nero, tirato a lucido, che appoggiò sul tavolo, di fianco ai quaderni di Amber, per poi sedersi di fronte a lei.
La ragazza trattenne un mugugno di insoddisfazione: non sarebbe mai riuscita a resistere con quello sguardo puntato addosso per le due ore successive. Resistette per la prima mezz'ora, ma poi fu costretta a chiedere se poteva consultare un libro di storia che, anche se non necessitava di leggere, le avrebbe concesso una pausa da quei due occhi puntati insostenibilmente su di lei.
Approfittando di un secondo di distrazione del professore, Amber osservò meglio il suo abbigliamento: indossava una maglia a girocollo bianca, che ben contrastava con la sua pelle ambrata, mentre una giacca di pelle nera gli fasciava le spalle. Quando si era alzato, per andare a recuperare il casco, Amber aveva notato che indossava un paio di jeans neri aderenti e, ai piedi, dei bassi stivaletti da motociclista.
Comprensibile. È l'incarnazione perfetta del tipico bad-boy. Ed è mortalmente sexy, finché non apre la bocca per sputare veleno.
Erano quasi trascorse due ore, quando il professor Black interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«Per oggi abbiamo finito» annunciò.
Per oggi?!
«E, signorina Bianchi... non si immoli più per la sua amica, la signorina Jackson» disse, ed Amber non ebbe il coraggio di ribattere «so che lo ha fatto per lei, ma la prossima volta non sarò così indulgente: non segnalerò queste due ore alla preside, se non come mia espressiva richiesta di aiuto per un progetto di trigonometria» concluse, e si alzò svogliatamente.
Amber non sapeva bene cosa rispondere, quindi si limitò a mormorare un flebile «grazie» e ad affrettarsi a ritirare le sue cose nello zaino. Il professor Black la accompagnò, a qualche metro di distanza dietro di lei, per poi sparire magicamente nel parcheggio della scuola.
Fu solo quando Amber si avvicinò alla sua auto, che il professor Black fece capolino dal parcheggio ormai vuoto, in sella ad una moto da strada nera e lucida, priva di un singolo graffio. Amber ne fu certa: prima di abbassare la visiera e sfrecciare via, Logan Black, a bordo del mezzo, la osservò intensamente, come se volesse imprimerle sulla pelle diafana il suo sguardo misterioso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 26, 2020 ⏰

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