Neonato

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La vita comincia da un vagito che irrompe nella stanza. Non importa che ora sia, quel pianto deve fare capire a tutti che lui è lì, pronto a scoprire il mondo.

Dopo nove lunghi mesi all'interno della madre, nove mesi in cui la povera donna stava male, mangiava, faceva visite di ogni genere e provava a indossare vestiti che ormai non entravano più, quel vagito è la cosa più bella che i neo genitori possano sentire. Non importa quanto la donna abbia sofferto, se abbia dovuto fare un parto naturale o un cesareo, appena sente il suo piccolo urlare a pieni polmoni, la stanchezza sparisce di colpo e rimane in attesa delle infermiere che glielo facciano prendere in braccio per cullarlo e coccolarlo.

Un neonato è una nuova vita alla scoperta del mondo, deve imparare tutto ciò che è necessario per andare avanti, fare scelte e apprendere dagli errori. Avrà le sue delusioni e le giornate no, ma anche tanta voglia di conoscere tutto ciò che lo circonda.

La vita dei neo-genitori inizia a ruotare intorno al loro piccolo, che farà di tutto per essere coccolato. Sarà viziato da tutti i parenti, che faranno a gara a chi lo terrà più tempo in braccio. A vincere sarà una zia, è inutile provare a batterla.

Niente più notti tranquille, ma finché piangono per la poppata notturna, non ci si preoccupa più di tanto. Le notti insonni ad aspettare che torni dalle feste quando sarà più grande, saranno piene di apprensione.

Quando mio marito ed io scoprimmo che saremmo diventati genitori, abbiamo pensato a come dire ai futuri nonni che presto avrebbero avuto un nipotino da viziare. Non volevamo fare il solito annuncio, così escogitammo un modo per sorprenderli. Fortuna volle che scoprimmo della gravidanza un mese prima di Natale, e in un sol colpo risolvemmo due problemi.

Cercammo nei diversi negozi dedicati ai neonati delle bavaglie divertenti, che comunicassero in modo chiaro il nostro messaggio. Non trovammo nulla che faceva al caso nostro, così mentre passeggiavamo per il centro città, ci imbattemmo in un laboratorio che personalizzava con scritte e disegni grembiuli e altri indumenti per la cucina, tra cui bavagli per neonati. Ci piacque subito l'idea di regalare ai futuri nonni qualcosa di personale che fosse anche ironico.

Il commesso ci preparò i regali davanti ai nostri occhi in pochi minuti, così rimaneva solo da pensare come comunicare la cosa agli amici.

Arrivò dicembre, e con lui la cena di Natale. Non appena i nostri genitori aprirono i regali scoppiarono in un pianto di gioia che non accennava a fermarsi; quando furono in grado di dire qualcosa senza essere interrotti dai singhiozzi, ci rimproverarono per non averglielo detto prima.

I mesi passarono, la mia pancia cresceva a vista d'occhio e i vestiti erano sempre più stretti. Fortunatamente gli abiti pré-maman erano molto comodi e nessuno si azzardava a commentare che non fossero all'ultima moda. Avevamo appena scoperto il sesso del nascituro, quando arrivò una telefonata che non avremmo mai voluto ricevere: il migliore amico di mio marito, il suo amico d'infanzia e testimone di nozze, era rimasto coinvolto in un incidente. La moglie piangeva al telefono e io non sapevo cosa dirle; sapevo soltanto che stavo piangendo anche io e non avevo la minima idea di come comunicare la cosa a mio marito.

Stavo finendo di preparare la cena quando mio marito tornò a casa dal lavoro. Capì immediatamente che qualcosa non andava, subito pensò che si trattava di nostro figlio. Scoppiai in lacrime, cercando le parole giuste. Con gli occhi gonfi di lacrime gli ripetei quello che la moglie del suo migliore amico mi disse al telefono.

Si sedette su una sedia intorno al tavolo, bianco in volto, gli occhi fissi nel nulla. Vidi delle lacrime che gli rigavano il volto silenziose. Non dissi nulla, lo lasciai sfogare per tutto il tempo di cui aveva bisogno. Diversi minuti dopo, col volto fisso sui suoi piedi mi fece promettere una cosa: nostro figlio si sarebbe chiamato Sergio, come il suo migliore amico e non avrebbe accettato nessun altro nome.

Non avevamo ancora deciso come si sarebbe chiamato il nostro bambino e non mi opposi alla sua richiesta.

Passarono altri mesi, la data del parto si avvicinava sempre più e io ero sempre più grossa. Non riuscivo neanche a uscire per fare la spesa perché le scarpe non mi entravano più tanto erano gonfi i miei piedi.

Una notte non riuscivo a dormire, non riuscivo a trovare una posizione adatta per addormentarmi, così decisi di fare due passi per casa, sperando che mi aiutasse a conciliare il sonno. Stavo facendo avanti e indietro in corridoio da quasi dieci minuti, quando qualcosa mi bagnò i piedi. Feci qualche passo indietro e notai una macchia chiara sul pavimento: mi si erano appena rotte le acque.

Tornai in camera e svegliai mio marito, il quale si alzò di scatto e quasi cadde dal letto perché si era incastrato nelle lenzuola. La mia valigia era pronta nell'armadio da una settimana, e tutti i giorni controllavamo che ci fosse tutto in modo da non dimenticare nulla. Le contrazioni cominciarono a farsi sentire dopo quaranta minuti; mio marito cominciò a prendere tutto ciò che mi serviva e lo caricò in macchina, mentre io con fatica mi mettevo una giacchetta sopra la camicia da notte leggera che indossavo.

Nel tragitto verso l'ospedale mi disse che se avevo bisogno, potevo stringergli la gamba. La strada era lunga, ed era anche notte fonda. Dopo un tempo che sembrò un'infinità, intravedemmo il simbolo che segnalava l'ingresso del pronto soccorso. Due infermieri mi aiutarono a sedermi su una sedia a rotelle, mentre una terza spiegava a mio marito dove posteggiare intanto che io facevo l'accettazione.

Le contrazioni erano sempre più forti e ravvicinate, ma ancora non accennavamo a portarmi in sala parto. Mio marito mi raggiunse tutto trafelato e in quel momento altre due infermiere mi fecero accomodare sul lettino e mi spostarono nella mia stanza. Mancava sempre meno alla nascita di mio figlio, io non avevo ancora dormito ed ero a pezzi. Mi prepararono per farmi partorire e dopo un secondo entrò in stanza il medico. Le infermiere intorno a lui correvano a sistemare tutti i vari attrezzi che avrebbero dovuto usare una volta nato il bambino, il tutto con una assurda precisione.

Quasi non mi resi conto quando il medico mi disse di iniziare a spingere, perché il dolore della contrazione mi aveva in qualche modo isolata da tutto ciò che mi circondava.

Il parto mi sembrò interminabile, spingevo e sudavo, mi sembrava di essere a un punto morto. Mio marito mi toglieva i capelli dalla fronte e mi sussurrava all'orecchio che credeva in me, che ero forte e dovevo resistere ancora un po'.

Il medico cominciò a dire che erano le ultime spinte e manca veramente poco, ma dubitavo che un uomo sui sessant'anni avesse mai partorito. Non mancava affatto poco alla nascita, ci impiegai almeno un'altra decina di minuti prima di sentire quell'urlo, il vagito che mi fece capire che ero appena diventata mamma.

Mio marito si sporse senza lasciarmi la mano a guardare per primo nostro figlio. Le infermiere se lo passarono di mano in mano, facendo tutti i controlli necessari mentre un'altra appuntava tutto quello che le comunicavano le colleghe. Una di loro si girò verso di noi e con voce squillante ci chiese come avremmo voluto chiamarlo. Guardai mio marito, gli occhi lucidi dall'emozione, e senza chiedermi conferma disse sicuro Sergio.

Quelvagito aveva spezzato la nostra routine quotidiana, ed era stata una gioiaimmensa sentirlo. Nostro figlio aveva appena cominciato a vivere in questomondo, avrebbe dovuto scoprire e imparare tutto. Noi genitori eravamo pronti adaiutarlo e a sostenerlo, qualunque cosa fosse accaduta; intanto ci godevamo ilnostro piccolo nella nostra bolla personale, che nessuno avrebbe potutointaccare.

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