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Kozume Kenma non credeva nelle anime gemelle.

L'idea che l'universo potesse inventare una persona che fosse perfetta per lui suonava davvero poco plausibile; una persona non doveva decidere il proprio destino? C'erano troppe variabili in gioco per i suoi gusti. E se non gli fosse piaciuta la sua anima gemella? E se lui non gli fosse piaciuto? Non voleva soffermarsi su quel pensiero. Per tutta la vita, aveva sentito persone parlare delle meraviglie di avere un'anima gemella, aveva persino potuto testimoniarlo tra i suoi genitori, ma non riusciva a sedare l'ansia che forse non sarebbe stato tutto una favola per lui.

Tuttavia, quello non era l'unico problema di Kenma con l'idea dell' anima gemella. Il suo vero scrupolo stava nella natura sadica dei suoi pensieri: Kenma non voleva sapere le ultime parole che la sua anima gemella gli avrebbe detto, non voleva capire l'ansia che gli avrebbe portato.

Questi erano i pensieri che gli giravano in loop nella sua testa mentre si guardava nello specchio del bagno, aspettando che il suo marchio comparisse. Guardò di nuovo il telefono. 23:58. Altri due minuti. Avrebbe voluto dire a Kuroo che l'aveva visto quando si era svegliato la mattina, come se non fosse chissà che, ma non era stato in grado di chiudere occhio.

Kenma tamburellò con le dita sul mobile del bagno. Avrebbe dovuto leggere più articoli su come affrontare l'ansia dell'anima gemella, sapeva di non essere l'unica persona che si fosse mai sentita così.

O forse avrebbe dovuto accettare l'offerta di Kuroo di un pigiama party, così da poter avere la familiare sicurezza della presenza del suo migliore amico in un momento come questo.

Ma no, Kenma era troppo orgoglioso per questo. Quando il marchio di Kuroo era apparso l'anno scorso, lui non era sembrato minimamente stressato. In effetti, era così sconcertato dal suo marchio che Kenma non sapeva ancora dove fosse o cosa dicesse. Kenma riusciva ancora a ricordare i sorrisi casuali e la natura rilassata del suo migliore amico il giorno prima del suo sedicesimo compleanno l'anno scorso, il suo unico commento sulla questione fu "ciò che sarà, sarà".

Quello era il mantra che Kenma stava cercando (fallendo miseramente), borbottando tra sé e sé mentre guardava i secondi scorrere fino a mezzanotte.

Si guardò allo specchio, prendendo un respiro profondo. "Quel che sarà sarà."

Voleva crederci.

Un leggero formicolio iniziò sulla sua clavicola destra, facendogli venire un brivido lungo la schiena. Provò all'istante a guardarlo allo specchio, ma era troppo debole per distinguere le parole, figuriamoci la grafia. Kenma sbuffò, passandosi leggermente le mani sulla clavicola, come per accelerare il processo nel tentativo di dissotterrare le parole incise sotto la sua pelle.

Non era sicuro della posizione del suo marchio. Anche se poteva tenerlo nascosto sotto la maggior parte delle camicie, sarebbe comunque semi-visibile. La sua unica grazia ora poteva essere che le parole fossero qualcosa di semplice, qualcosa di cui la gente non gli chiederebbe mai; per non indurre le persone a fare domande. Non era disposto a trattare con quel tipo di domande.

Quei pensieri furono tutti scacciati dalla sua mente non appena le parole furono leggibili sulla sua pelle.

Incise sulla sua clavicola c'erano due semplici parole che servivano solo a complicare il suo prevedibile futuro.

'Ti amo.' (Qui ho tradotto 'ti amo' ma effettivamente non so se intendesse così oppure 'ti voglio bene')

Kenma sentì i suoi occhi iniziare a bruciargli e le lacrime minacciare di uscire mentre faceva scorrere le dita sulle parole, memorizzando il modo in cui ogni lettera si arricciava.

Non erano solo le parole ad avere quell'effetto su di lui. Era il fatto che conosceva quella calligrafia, ogni dettaglio. E ogni dettaglio gli era familiare come se fosse il suo. Aveva passato ore a leggerla, guardarla mentre veniva scritta, studiando appunti fatti da  questa mano.

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