Capitolo uno

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Finalmente, dopo quella che era sembrata un'eternità, Arabella uscì dalla doccia.
L'acqua calda la faceva rilassare, perdere nei suoi pensieri, come se fosse in un'altra dimensione.
Velocemente infilò l'accappatoio lilla, stringendoselo addosso e rabbrividendo.
I suoi capelli castano scuro erano bagnati, e parevano neri.
Qualche goccia di acqua le scivolava sulla fronte, per poi arrivare velocemente alla guancia.
Rapidamente, dopo essersi asciugata, si vestì, e sistemò i suoi capelli in graziosi boccoli morbidi.
Ci mise più del solito quella mattina per dare una forma alla frangetta che le copriva la fronte, ma dopo vari tentativi ci riuscì.

Non aveva minimamente voglia di truccarsi, lo faceva raramente anche perché lei si piaceva al naturale.
Ma quella volta dovette dare ragione a sua madre. Stava per affrontare un colloquio di lavoro, e doveva essere quanto più professionale e presentabile possibile. Così, a suo malgrado, si posizionó davanti allo specchio del bagno e tirò fuori dal cassetto alcuni cosmetici.
Decise di applicare solamente un po' di mascara sulle sue ciglia, del blush rosa per dare un po' di colore al suo incarnato chiaro, e un velo leggero di rossetto del medesimo colore delle sue labbra.

Guardò l'ora, e corse velocemente verso l'ingresso del suo appartamento. Era in ritardo, terribilmente in ritardo. Forse era rimasta troppo a lungo nella doccia, o forse ci aveva messo più del solito a fare colazione, ma era dannatamente tardi.
Indossò velocemente i suoi stivaletti neri con il tacco, e nel farlo il collant nero velato, si ruppe.

«Merda!» esclamò lei correndo in camera da letto, e prendendo dall'armadio un altro paio di calze.

Le infiló con attenzione, per poi correre nuovamente verso l'ingresso e rimettersi le scarpe.
Infiló il cappotto nero, prese la borsa e uscì di casa.
Arabella viveva in un appartamento situato in un palazzo nel centro della grande città.
Il suo palazzo era parecchio alto, ma non era nulla in confronto ai grattacieli che si ergevano accanto ad esso, e in mezzo alla metropoli.
Si recò a passo svelto verso i box sotterranei, dove vi erano parcheggiate le numerose automobili delle persone che abitavano il palazzo.

Salì sulla sua vettura e la mise in moto sbuffando.
Aveva già capito che quella sarebbe stata una giornata no.
Era in ritardo, sua madre l'aveva chiamata per dirle le solite cose inutili, i collant si erano rotti e, a causa della pioggia, i boccoli si erano già afflosciati diventando crespi.
Non poteva andare peggio di così.

Cominciò a guidare nel traffico caotico della grande città e, nonostante guidare non fosse la sua attività preferita, ormai ci aveva fatto l'abitudine e si sentiva piuttosto tranquilla a girare per le grosse strade affollate di auto e mezzi di trasporto.

«Mancano venticinque minuti alle otto e mezza, ce la posso fare.» disse piano, per poi accendere la radio e cominciare a canticchiare la canzone che stava passando in quel momento.

Al semaforo era appena scattato il verde, così lei acceleró occupando l'incrocio. Stava ancora canticchiando, quando una macchina le venne addosso facendola gridare.
L'impatto la fece sbalzare verso il finestrino sinistro, ma per fortuna non si fece nulla.
Rimase immobile per qualche secondo, mentre il suo cuore batteva forte, poi il suo sguardo si posò sulla portiera destra completamente ammaccata.

Scese svelta dal veicolo sbattendo la portiera: «Ma cosa diavolo ti dice la testa?! C'era un incrocio regolato dal semaforo! Io avevo il verde, tu avevi il rosso e dovevi stare fermo!» sbraitó andando verso l'auto che le era venuta addosso. «Mi hai distrutto la portiera!»

Dalla macchina nera, da cui stava fuoriuscendo fumo dal cofano, uscì un ragazzo.
Era alto, i capelli neri corti e i lineamenti duri e marcati. Indossava un giubbotto da cui si intravedeva il cappuccio di una felpa grigia. Le sue gambe lunghe e snelle erano fasciate da skinny jeans neri, ai piedi calzava degli stivaletti scamosciati marroni.
Le sue mani erano grandi, con dita affusolate e lisce. Arabella pensò di non aver mai visto delle mani maschili così belle.
Su alcune dita portava un anello.

«Hai sentito quello che ho detto?!» sbraitó ancora lei.

Il ragazzo si limitò a sorridere, con un'espressione fastidiosa, quasi strafottente.

Arabella lo guardó per qualche secondo, prima di alzare le braccia e farle ricadere lungo i fianchi con fare disperato: «Non c'è assolutamente niente di divertente! Fra quindici minuti ho un colloquio di lavoro importante alla libreria The Last Bookstore, e tu hai rovinato tutto!»

«Io?» domandò ironico il ragazzo con tono innocente. «Dovevi stare più attenta. Ti sarebbe bastato guardare l'incrocio e vedere che io stavo per passare.»

Arabella sgranó gli occhi: «Scusa?! Quindi sarebbe colpa mia? Sei tu che sei passato con il semaforo rosso, dannazione! Te li hanno insegnati i colori a scuola, o vuoi che ti faccia un piccolo disegno?» domandò lei acida.

Il ragazzo si limitò a ridere, facendo arrabbiare ancor di più Arabella.

«Adesso chiamo la polizia, vedremo chi ha ragione.» disse sicura mentre estraeva dalla tasca il suo cellulare.

«Non possono provare chi ha ragione. La polizia non può sapere se il semaforo in quel momento era rosso. Potresti avere torto tu, come potrei averlo io.» si limitò a dire lui, con voce calma.

«Certo che lo hai tu!» sbottó Arabella.

Guardó l'ora, e la rabbia si impossessó di lei maggiormente.
Erano le otto e venticinque, e il suo colloquio era saltato.
Lo sentiva che quella non sarebbe stata una buona giornata, ma mai avrebbe pensato che la sua occasione di lavorare in una libreria, andasse totalmente in fumo.

«Senti, facciamo finta che non sia successo nulla. Ognuno pagherà i danni della propria auto. Che dici?» propose il ragazzo.

Arabella a quel punto si mise a ridere: «Ma per chi mi hai presa? Tu non solo mi hai distrutto la macchina, ma mi hai anche rovinato la vita, facendomi mancare ad un colloquio di lavoro molto importante. E ora cosa credi? Che chiuda un occhio e faccia finta che non sia successo nulla?»

«Se lo fai, ti farò avere un colloquio nuovo.» sorrise lui.

«Ora mi prendi anche in giro? Senti, Mr. Simpatia, non so chi ti credi di essere, ma...»

«Mi chiamo Derek Lay.» la interruppe lui, porgendole la mano.

Arabella la fissó, per poi guardare il ragazzo negli occhi.
Quegli occhi verdi, quasi trasparenti, le sopracciglia nere e folte...era tutto familiare, così come il suo nome.
Guardó nuovamente la sua mano, notando un anello con un rubino rosso.
Fu allora che Arabella ricordó.

Spero che il capitolo iniziale vi piaccia e vi abbia incuriosito.

Miriam❤️🦄

Dangerous roadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora