eyes

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-Louis,vestiti dannazione, non puoi andare al ristorante in tuta- mi rimproverò mia madre

-E chi ha detto che io sarei venuto?-.

Lei sbuffò,portandosi indietro i capelli resi boccolosi dalla piastra, mettendo in mostra gli orecchini d'argento.
Mi lanciò addosso dei vestiti e poi uscì da camera mia,mentre io sbuffai sonoramente. Ero totalmente contrario ad andare a quella dannata cena.
Mio padre doveva incontrare un importante imprenditore, un certo Styles, del quale non me ne fregava un'emerita minchia.

Mi infilai i vestiti, che consistevano in una maglietta grigia a maniche lunghe e degli skinny neri.
Non mi interessava se sembravo uno che doveva andare ad un funerale, di quella cena non me ne poteva fregare niente.
Volevo bene a mio padre e a mia madre, ma il loro lavoro lo odiavo.
Eravamo ricchi,molto a dire la verità, ma a me non piaceva.
A scuola mi avevano sempre considerato uno superiore, ma io volevo semplicemente essere al livello degli altri.
Non mi piaceva essere visto come "il ricco sfondato che le ha tutte ai suoi piedi", volevo solo essere visto come Louis Tomlinson.

Una volta messa la maglia e gli skinny strappati sulle ginocchia, misi le mie amate vans rigorosamente nere e scesi al piano di sotto.
Mamma era bellissima, come al solito, con il viso poco truccato e un vestito per niente sfavillante.
Papà era vestito in giacca e cravatta, semplicemente.

-Lou, ci stiamo per incontrare con delle persone ricche il triplo di noi,e tu ti presenti così?- scherzò mio padre.

Io sbuffai.
Non è che se ero ricco allora dovevo vestirmi solo di marca e con robe costose.
Presi il mio giubbotto di jeans,me lo misi e uscii di casa.
Il ristorante era a cinque minuti da casa nostra, così mi accesi una sigaretta camminando nel freddo di dicembre, mentre i miei genitori chiudevano casa e si incamminavano alle mie spalle.

***

Arrivai davanti al ristorante, aspettando i miei genitori che erano pochi metri dietro di me.
Guardai il posto,già da fuori mi faceva ribrezzo: dalle enormi vetrate,si vedeva l'interno, dove il pavimento in piastrelle costose era costellato da tavoli in vetro coperti da tovaglie viola.
Ogni tavolo aveva una sorta di privé,panchine e una tenda.
Troppo lussuoso per me,e quando guardai le persone all'interno vestite super eleganti,mi sentii leggermente fuori luogo.

Mio padre mi spronò ad entrare, e subito un piacevolissimo calore mi avvolse, accompagnato dal profumo di cibo che mi fece chiudere gli occhi e brontolare lo stomaco.
I miei genitori dissero alla cameriera che avevano prenotato, così la ragazza ci accompagnò al tavolo.
Mentre camminavo per la sala, incrociai gli occhi di una ragazza che mi guardava con la bava alla bocca.
Alzai gli occhi al cielo: in molti mi dicevano che ero attraente, ma io non mi vedevo un granché.
Avevo un culo e una vita degno di quelli di una donna, i lineamenti troppo appuntiti e i capelli che non avevano un senso.
L'unica cosa di cui mi vantavo erano i miei occhi,erano azzurri, bellissimi.

Arrivammo davanti ad un tavolo in una zona abbastanza riservata del ristorante, e la cameriera si dileguò con un sorriso.
Il mio solito camminare con la testa bassa non mi fece accorgere che al tavolo c'erano già gli altri.
Così quando alzai la testa per controllare se il tavolo fosse vuoto o meno,mi dimenticai di come si respirava.

Un fottutissimo dio greco era seduto al tavolo con gli occhi sul cellulare.
Non mi avevano detto che ci sarebbe stato qualcuno della mia età, quindi non mi ero preparato!
Lui alzò gli occhi dal cellulare e li puntò nei miei.
Cazzo.
Non avevo mai visto essere più bello: i ricci bellissimi e lunghi fino alle spalle gli contornavano il viso dai lineamenti decisi, dove delle labbra a forma di cuore e rosse, erano appena dischiuse.
E poi,2 occhi verdi come il più brillante degli smeraldi,che in quel momento mi stavano scrutando da capo a piedi.
Distolse lo sguardo da me e si alzò per stringere la mano a mio padre e salutare mia madre.
Subito guardai il suo bicipite sinistro, ben in vista visto che aveva una maglia a maniche corte, che era macchiato da tanti tatuaggi.
E santa madre di dio o di chiunque ci fosse la sopra, che bicipite.
Io riuscii a distogliere lo sguardo dal riccio e salutai i genitori.

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