Passi lenti, quasi silenziosi avanzano verso di me. Il mio respiro echeggia nell'aria. Sono su un'altalena. Me l'ha costruita il nonno. Le corde sono quasi del tutto rotte ma riesce ancora a sostenere il mio peso. Mi guardo intorno. Ormai la calda e noiosa estate lascia il posto al freddo e oscuro autunno. Centinaia di alberi perdono le loro foglie, che fragili cadono senza vita sul terreno dove giacciono impazienti aspettando che la terra le consumi.
Sposto lo sguardo altrove. Intravedo una vecchia casa dove da piccola giocavo credendo ci fossero i fantasmi. Sì, come no, i fantasmi. Fa molto storia dell'orrore. Una bambina e la casa infestata. Sicuramente un bestseller di successo.
E se invece, fosse la bambina ormai quasi adulta ad essere infestata. Infestata dai propri pensieri, dalla paura, dal terrore. Un'infestazione che non si può risolvere con un po' di volontà. E se la bambina fosse nata così. Per metà angelica e per metà dannata a vita dal suo stesso ego oscuro?
Qualcosa come lo scricchiolio di un ramoscello contro la suola di una scarpa sudicia, mi fa voltare.
Un urlo squarcia la quiete creatasi.
<<Ahhhh... ch-che hai fatto...>> disse balbettando, inorridita indicandomi le mani.
<<Come hai potuto...>>
Non capisco cosa sta succedendo. L'aria diventa sempre più rarefatta, quasi irrespirabile, fredda. Avrebbe annunciato una gelida notte, impossibile da superare. La tensione si percepiva anche dall'energia che emanava il terreno.
Chiudo gli occhi.
Li riapro e abbasso lo sguardo. Le mie mai insanguinate sono la prova di un atto oltraggioso. Anche se il sangue era fresco puzzava di marciume.
Un senso di nausea mi pervase, e un altro urlo squarciò il silenzio.
Solo che questa volta fu il mio.Era un normale mercoledì pomeriggio, quando mia madre venne da me a dirmi che durante il weekend saremo andate a trovare i miei nonni. La mamma racconta sempre di quando a 16 anni scappò via di casa con il suo nuovo fidanzato. Se avesse saputo che da lì a qualche anno dopo avermi avuta, lui l'avrebbe tradita con la segretaria, beh... allora non avrebbe fatto tutto ciò.
Dice che sono la cosa più bella che le sia capitata, anche se a volte la spavento con i miei comportamenti.
Una volta ho ucciso il nostro gatto Larry. Ho provato a spiegarle che l'ho fatto per aiutarlo, perché stava soffrendo troppo, ma lei mi mandò dallo psichiatra. Disturbo della personalità, ecco cosa ho. A volte sono io, altre no. Mamma dice che l'ho ereditato dal nonno. Anche lui era così. Ma ora sembra che la vecchiaia l'abbia cambiato.
I nonni abitano su per una collina, in una casa lontano da tutto. Lì intorno si può trovare solo erba, alberi, animali e ancora erba.
Dalla vecchia Jeep di mia madre, mentre le ruote conversano con l'asfalto bagnato da una pioggia impertinente, si intravede la loro casa. Non era cambiata per niente. Il solito sentiero governato dalle pozzanghere, il giardino che la nonna ama curare e l'altalena, sulla quale giocavo da piccola. Una volta mentre mi dondolavo tranquillamente caddi. Mi sbucciai il ginocchio.
<<Capita- mi disse allora la nonna- non bisogna mai scherzare sulle altalene. Con quelle se lo desideri puoi anche arrivare alla luna>>. Così iniziai a spingermi sempre più su, fino a rompermi una gamba. Da allora non ci salii più.
La macchina di fermò e mi risvegliai dai miei pensieri. Davanti ad essa, i nonni sfoggiavano i loro migliori sorrisi.
Erano... come dire. Inquietanti. La nonna alta, snella, portava il solito caschetto biondo cenere. Con il suo grembiule da cucina sporco di farina e sopra l'impermeabile. Il nonno, anche lui alto, quasi del tutto calvo e con l'impermeabile, sorreggeva un ombrello.
Scesi dalla macchina. Un brivido gelido mi pervade il corpo. Alzai lo sguardo. Stava smettendo di piovere, anche se una nube nera annunciava tempesta.
Iniziai a scendere con lo sguardo la casa. Il tetto di legno, ormai fradicio suppongo, le mura ricche di rampicanti che ormai si erano impadroniti di quella piccola dimora. Tutto sembrava cadere a pezzi. I cornicioni, le finestre, la porta. Forse era il tempo a dargli questa forma inquietante, o solo la casa che stava morendo a poco a poco.
<<Oh Katie, che bello rivederti>>. Disse la nonna allargando ancora di più il suo sorriso.
<<Elena... sei cresciuta un sacco dall'ultima volta, beh... quando...>>
<<Mamma no! Siamo appena arrivate. Non credo sia il caso di pensare a ciò adesso>>. Così la nonna annuì alzando un sopracciglio e, voltandosi di spalle, entrò in casa. A turno la seguimmo. Prima io, poi la mamma e il nonno che trasportava, spazientito, le valigie.
<<Tesoro ricordi dov'è camera tua vero?>> feci di sì con la test e salii le scale cigolanti fino in camera mia. Aprii la porta. Da piccola adoravo questa camera. Adesso non più. Di fronte a me un letto una piazza e mezzo, rimboccato da lenzuola di seta bianca con ricami rosa. Sopra un piumone totalmente rosa. Ai piedi del letto un grande baule con dentro dei giochi. Una scrivania, una finestra e delle mensole, con tante, tante, tante bambole. Non era cambiata per niente, ovviamente tralasciando la polvere e le ragnatele varie. Mi avvicinai alla finestra. Da piccola adoravo la vista. Da lì si vedeva tutto, giù in paese, l'altalena, ma soprattutto la vecchia casa abbandonata dove giocavo da piccola.
Mentre ammiravo il paesaggio, vidi qualcosa, di sfuggita, muoversi tra gli alberi. Sembrava un'ombra nera. Si nascondeva dietro i cespugli. Mi osservava. Cercai di aguzzare la vista, ma non vidi più nulla. Perciò non ci feci molto caso. Chiusi le tende. Mi buttai sul letto e mi abbandonai in un sonno profondo.