Parte 1.

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BETTY
Caro diario,
non riesco a credere che sia già il quattro luglio! È stranissimo festeggiarlo qui a L.A., lontano da Polly, Archie e Jughead. Non ricordo quando è stata l'ultima volta che ci siamo persi la Summerfest di Riverdale. Dev'essere stata l'estate in cui Archie si è rotto il braccio costruendo una casetta sull'albero con Jughead e siamo rimasti in salotto tutto il giorno a leggere fumetti e mangiare ghiaccioli bianchi, rossi e blu. Avevamo tutti la lingua viola acceso e Juggie si è pappato tre ghiaccioli per ognuno di quelli che mangiavamo io e Archie. Ma è stato moltissimi anni fa.
Ovviamente mi manca Riverdale, e anche i miei amici. Ma L.A. è INCREDIBILE. La casa di zia Gertrude avrà anche un odore strano (di qualunque cosa si tratti, credo davvero che ormai le pareti ne siano impregnate; è uno strano mix di aglio e sapone da vecchia signora), ma si trova proprio al margine del Runyon Canyon, dove riesco a fare una camminata ogni mattina prima del lavoro. La vista è pazzesca, inebriante. Non c'è niente del genere a Riverdale.
Il tempo è splendido, il barista del Blackwood Coffee ormai conosce i miei gusti (caffè filtrato con latte e due bustine di zuc- chero)... E poi c'è un'altra cosa...
Certo, mi manca Polly, ma stare lontano dalla mamma per la prima volta...
Be', non è affatto male. Ovviamente le voglio bene e so che lei ne vuole a me, ma pretende di controllare tutta la mia vita. Per la prima volta mi pare di avere un minimo di indipendenza... e non è per niente una brutta sensazione.
E poi adoro lavorare da "Hello Giggles", anche se devo ancora conquistare la mia capa, ovvero la redattrice che cura gli approfondimenti, Rebecca Santos. Non so se pensa che sia una provincialotta o roba del genere, ma in ogni caso non le ho an- cora fatto una grande impressione.
So che sono l'ultima arrivata, che non sono di qui e che probabilmente di tutto lo staff sono quella che ha meno esperienza, ma finora Rebecca mi ha fatto solo svolgere commissioni, tipo andarle a prendere il caffè, coordinare le riunioni, spedire pacchi... roba da galoppina, insomma.
Cioè, adoro comunque questo lavoro, ma le uniche cose che ho scritto sono state le etichette delle cartelline. Rebecca vuole che scriva prima a matita e poi ripassi le etichette con un pennarello indelebile. Certo, lei potrebbe avere qualche tendenza ossessivo-compulsiva, ma in ogni caso questa non è propriamente la strada che mi porterà al premio Pulitzer.
Se non altro però Rebecca mi tiene impegnata. È un'ottima cosa, per un sacco di motivi... non ultimo il fatto che mi impedisce di soffermarmi sulla parte peggiore dell'estate qui a L.A.: non essere con i miei amici per il quattro luglio.
Oh, diario, chi voglio prendere in giro? La parte peggiore è non essere con Archie.
Il "Grande Brad". È stato lui a presentarsi così. Era volutamente allusivo, non sono riuscita a trattenermi dal ridere, che immagino fosse il suo scopo.
L'ho conosciuto durante la mia seconda settimana qui. Stavo finalmente cominciando ad abituarmi all'energia di L.A.: il traffico folle, le ore passate in tangenziale ogni santo giorno, tutti i giorni, il tempo sempre identico (no, sul serio, qui nessuno sa cosa fare nei rari momenti in cui piove; andrebbero tutti FUORI DI TESTA se dovessero affrontare un inverno a Riverdale, anche se da noi c'è abbastanza sciroppo d'acero da permettere all'intera città di seguire la dieta Master Cleanse della limonata per sempre). E poi il fatto che anche le persone normali sembrino un po' delle celebrità... magari stanno per diventarlo, in fondo. Mi sentivo ancora la ragazzina di paese approdata nella grande città... e come poteva non essere così? Tutti i miei vestiti hanno qualche tipo di fantasia a fiori. Come avere appeso in fronte un cartello che dice TURISTA... oppure ALIENA. Ma stavo cominciando ad abituarmi ai ritmi della città, e anche se mi sentivo ancora straniera iniziavo a essere a mio agio.
Polly continuava a mandarmi messaggi per chiedermi dei ragazzi di L.A. e io continuavo a rispondere che i ragazzi di solito non mi notano. Sono "quella dolce". La ragazza della porta accanto. E l'unico che vorrei che mi notasse da secoli indubbiamente è legato a me... ma probabilmente non nel modo che so- gno io. Per lui sono letteralmente la ragazza della porta accanto.
(Non so cosa provi per me, ho sempre avuto troppa paura di chiederglielo.)
Dicevamo, era un venerdì estivo e Rebecca mi aveva chiesto di andare a prendere del sushi per l'ufficio (maki con tempu- ra di gambero di roccia, riso integrale, maionese extra piccante a parte e un'insalata di alghe hijiki... sapevo già a memoria le preferenze di Rebecca). Ma anche se avevo ordinato per telefono, il titolare mi disse che ci sarebbe voluto un po', così tirai fuori il mio libro (L'occhio più azzurro, ovviamente quello che rileggo più volentieri) e mi sistemai sull'erba dei Maguire Gardens, un posto perfetto per osservare la gente.
Era uno di quei giorni che hanno persino il profumo dell'e- state: tutto verdissimo e fiorito, il cielo di quel blu che si vede
solo nelle foto professionali. Ma questa era proprio la vita rea- le. Hashtag: #nofilter.
All'improvviso mi apparve un'ombra sulla pagina. «Lettura estiva, eh?»
Alzai gli occhi. Era un ragazzo più o meno della mia età, ve- stito casual, con una T-shirt e i pantaloni cargo, con i capelli biondo cenere da surfista. Mi stava facendo un sorrisone da pubblicità del dentifricio.
Arrossii. «So che non è propriamente una lettura di evasione, ma è la mia autrice preferita» risposi. Eufemismo del secolo: Toni Morrison è il mio IDOLO. "Hello Giggles" sta organizzando un firmacopie quest'estate e io darei qualsiasi cosa per partecipare. Da quando l'ho scoperto, continuo a lanciare se- gnali "sottili"... tipo portare sempre con me uno dei suoi libri.
«Se questa è la tua lettura di evasione, ti servirà un'altra via di fuga» disse lui. Quando sorrideva, gli si increspavano gli angoli degli occhi.
«E tu cosa mi proponi?» chiesi. Stavo flirtando? Magari la Betty di L.A. era in grado di flirtare. La Betty di Riverdale aveva un po' di cose da imparare da lei.
Gli occhi gli si incresparono di nuovo. «Speravo proprio che me lo chiedessi. Il mio primo suggerimento è che lasci che sia io a coordinare le tue attività ricreative.» Probabilmente avevo fatto una faccia sorpresa, perché il ragazzo aggiunse: «O magari andiamo semplicemente a cena. Una cosa tranquilla. Giuro che non sono un maniaco omicida. Sul serio».
«Mmh.» Feci finta di rifletterci. «Be', se non sei un maniaco omicida... Mi piacciono le cose tranquille, in effetti.»
«Vedi? Siamo anime gemelle.»
"Anime gemelle." Per un attimo visualizzai la zazzera rossa di Archie, le sue lentiggini e i suoi occhioni di un verde profondo. Ma anche se io e Archie andiamo sempre a mangiare insie- me da Pop's, quei pranzi e quelle cene non si potrebbero mai scambiare per dei veri appuntamenti.
«Ecco qui il mio cellulare. Mi dai il tuo numero?» Mi passò il telefono, poi aggrottò le sopracciglia. «Oh, e anche il tuo nome non sarebbe male. Mi sa che ho corso un po' troppo.»
Scoppiai a ridere. «Mi chiamo Betty. Betty Cooper.» Presi il telefono che mi porgeva e mi lasciai sfuggire un gemito quando
notai l'ora. Ormai la tempura di gambero di roccia di Rebecca doveva essersi raffreddata. Cavoli. Digitai il numero più in fretta che potei, afferrai le mie cose e mi voltai per andarmene. «Scusa se scappo così, ma ho... il tirocinio...»
«Non c'è problema. Mi racconterai tutto. A cena.»
Feci un sorriso, chiedendomi se anche a me si increspavano gli angoli degli occhi. «A cena.»
«Oh, a proposito, sono Brad. Oppure, visto che immagino che lo stile di vita della California del Sud sia nuovo per te, puoi chiamarmi Grande Brad.»
Lo squadrai. «Okay, ma posso anche non chiamarti così?» Riecco la Betty di L.A., pronta a flirtare! Sconvolgente... ma anche divertente.
«Betty Cooper, puoi chiamarmi come vuoi. Ma forse è meglio che torni al lavoro prima che il tuo capo ti becchi a rimorchiare i surfisti in pausa pranzo.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 14, 2020 ⏰

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