Prologo

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4,5,6,7,8,9...

4,5,6,7,8,9... Fin da piccolo ho sempre usato questi sei numeri, non avevo idea che prima del 4 ci fossero 1,2,3, e  dopo il 9 una serie infinita di numeri. Nonostante io ora sappia tutto ciò, nelle situazioni di stress continuo ad utilizzare questi sei numeri come mantra per calmarmi, quando sento che sto per crollare, per perdere quella calma che mi ha sempre accompagnato. Solo una persona è a conoscenza di questo mio mantra, ed è stato l'unico che dopo averlo saputo non mi ha dato dello "strano" "pazzo" "schizzato".  Ha capito cosa si cela dietro tutto, cosa mi porto dentro.  Potrei dire che i miei demoni fanno a cazzotti con i suoi e talvolta vanno talmente a braccetto da far paura.
Spesso, molto spesso, ho paura di ciò che si nasconde dentro di me. Ricordo la prima volta che, quella parte buia, il mio oscuro passeggero, venne fuori, inaspettato e brutale.

9 anni prima.
Gennaio, ore 01:45

Ho il telefono stretto tra le dita insanguinate della mano sinistra, la cornetta trema vicina all'orecchio, la voce è ridotta a un sussurro roco. So che è tardi, so che sta dormendo, e a ogni squillo sento come una fitta. Non dovrei disturbarlo, non a quest'ora, ma ho paura.
-... Pronto?...- La sua voce è roca, impastata dal sonno che io ho interrotto, mi sento dannatamente in colpa.  Apro la bocca, ma non riesco a parlare. Al posto delle parole emetto mugolii strozzati.
- Chi cazzo è?!
- ... G-... 4...5...6...7...8...9...-
Silenzio dall'altro lato, poi un sospiro.
- Eugene? Eugene stai male? Eugene?! -
Lo sento gridare, è preoccupato. Non riesco a parlare, non riesco a dire altro, riesco solo a dire quella maledetta cantilena numerica.
Lo sento riagganciare. Sta venendo da me, lo so, lo conosco. Scivolo lungo la parete della cucina, in mano ho ancora il telefono. Compongo un altro numero, ma lascio andare la chiamata e mi lascio andare a dei singhiozzi senza lacrime, un tremolio per tutto il corpo. Sento la chiave girare nella toppa e la porta dell'ingresso spalancarsi.
Mi accorgo solo ora che fuori piove a dirotto. Cazzo, l'ho fatto venire sotto la pioggia battente.
- Eugene? -
Batto il pugno al muro per fargli capire la mia posizione, e vedo la sua sagoma palesarsi davanti a me.
Gideon, il mio migliore amico, unico amico, un fratello di sangue diverso. Mi si ferma davanti, completamente zuppo di pioggia e punta le iridi verdognole contro le mie. - L'ho ucciso... Gid... l'ho ucciso... -
- Chi? Che stai dicendo? -
- L'ho ucciso... Stefan... -
- Il tuo patrigno? Che è successo? Eugene che cosa ti è successo?-
Avrei voluto dire tutto, dirgli cosa era successo, cosa era scattato. Ricordavo esattamente cosa era successo prima che iniziassi a colpirlo, e ricordavo cosa era successo dopo, ma cosa era successo nel mentre no. Buio totale, come se fosse stata un'altra persona a colpirlo e io fossi stato uno spettatore. Sento le sirene della polizia e alcune agenti fare irruzione in casa. Fanno domande a Gideon, ma poi notano me e le mie mani insanguinate. Mi fanno domande che non riesco a recepire, come se parlassero una lingua differente dalla mia. Poi trovano il corpo del mio patrigno e li sento dire che ancora respira.
Mi ammanettano, mi spingono in macchina, sento le urla di Gideon che cerca di difendermi. Mi chiamano criminale, assassino, volento.
Sento, però, di non provare nulla. Credo di aver sentito l'esatto momento in cui le mie emozioni hanno lasciato il mio corpo per potersi nascondere in una parte ben lontana. Non percepisco più nulla. Buffo pensare che, solo stamattina, ero pieno d'energia. Mi sentivo innamorato, mi sentivo allegro, avrei visto la ragazza che mi faceva battere così forte il cuore.
Ed era successo. L'avevo vista. Tra le braccia del mio patrigno, nuda. Il corpo perfetto che si muoveva sinuoso sopra quello di lui, la voce a invocare il suo nome, tra ansiti e gemiti.
Credo sia stato lì che qualcosa è scattato. Ho provato a ripetermi quella cantilena, ma non funzionava.
La rabbia. La furia cieca. Il buio... il sangue.
Era stato solo l'inizio. L'inizio del mio baratro nero.
L'abisso che avevo abbracciato e in cui mi trovavo così a mio agio.
Il mio nulla.

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