Tito iniziava a domandarsi per quale motivo tutti fossero sgarbati con lui da quando aveva messo piede in quel luogo di lavoro. Dell'incontro con il secondo avvocato, in seguito, il giovane avrebbe scritto: "tutti in quello studio legale provavano ad ostentare sicurezza di sé stessi a discapito della serenità altrui: eppure, come si può ben intuire, un individuo realmente sicuro di sé non si prodiga a fare sfoggio di questa sua dote. La possiede, anche inconsciamente, perché è una qualità ad esso naturalmente propria, e non la impone agli altri con maltrattamenti. Quell'avvocato, poi, mi parve il più insicuro di tutti: forse al fine di mostrarsi risoluto, o chissà per quale altro strano motivo, fatto sta che non metteva piede nella stanza dell'avvocato Ratto, riducendosi a parlarci da lontano, da oltre la soglia della porta. A guardarlo bene, ci osservava a distanza di sicurezza con la stessa timida diffidenza di quei grossi roditori che vivono ai bordi dei navigli di Milano. Anche la proporzione tra gambe e torso, a ben vedere, sembrava la stessa dei corpicini delle nutrie". Si consenta al narratore di cogliere al volo l'assist di Tito e di dare a quell'omino in bretelle il nome di "avvocato Nutria".
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