Succo di frutta

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Quando Chitarra fuma si svuota della positività, sfiata, perde aria come un pallone bucato. Sente una puzza fetida marcia di un'esistenza paradossale che in quel momento non esiste, ma che per lui esiste, vede tutto il mondo colorato con evidenziatori che non evidenziano un bel cazzo di niente, una tavolozza di colori secchi per la pittura. Vive situazioni surreali create da idee logore e disastrose che lo portano a vivere la tristezza e la paranoia noiosa. E poi vomita perché gli gira la testa poverocristo e credo che questa paura non gli passerà mai. La paranoia lo agita dentro e si insinua nel suo cervello quando si fa, anche poco, e diventa più grande di lui, ma non diventa lui solo che ne viene pervaso.

E ti succede così amico mio, cazzo, ti succede così si e non scappi, non corri e non trovi nessun cazzo di rimedio perché ti entra dentro e BAM cazzo non puoi tornare indietro, nuoti contro corrente e più vai forte più ti stanchi e più stai fermo cazzo. Se la corrente ti spinge ed è più forte cerca solo di rimanere a galla come uno stronzo.

Ciao mare come disse la panocchia quando vide la padella. Ciao mondo, disse Chitarra seduto su quello sgabello morbido dove era un tutto-mantiene-tutto, dove l'orbe di ferro stringe il legno della botte e il legno della botte non fa cadere l'orbe di ferro. Le fondamenta del Green House tenevano il pavimento, che manteneva lo sgabello, che manteneva Chitarra che con le flaccide ginocchia premeva contro il bancone. Il banco da mescita teneva botta e impediva a Chitarra di baciare per terra mentre veniva pressato dalla morsa dei gomiti di Chitarra che aveva una particolarità che non tutti gli esseri umani hanno, la propaggine dei gomiti. Una cazzo di estensione che dagli avambracci portano alle mani che sorreggevano una testa che aveva tutta l'aria verde scura di essere una paccottiglia di soldi spicci e marroni che nessuno vuole, un salvadanaio pieno di merda che ti accorgi al volo che stai per calpestare ed eviti, per fortuna.

Era un cazzo di invertebrato, che sua madre lo perdoni di averlo fatto con la spina dorsale, il coccige e l'atlante con tutto il midollo che si è bevuto in mezzo secondo in quel succo di frutta appena spremuto dall'ennesima barista, bona, italiana che abbiamo trovato lì. Questo qui quando ci si mette non regge neanche una lattina di coca vuota, non riesce a fare una O neanche calcando il bordo del bicchiere su un foglio però potrebbe studiare 3 giorni di fila, cose che non capirò mai neanche in 3 vite diverse, ed essere fresco come la birra uscita dal frigo, d'estate con il cielo diafano fatto di un arcobaleno monopolizzato dalle sfumature del rosso-arancione, che non sai se è un tramonto o l'alba ma sei lungo mare e dal lato del mondo in cui ti trovi te ne sbatti il cazzo di cos'è perché fai la foto è torni su quel tavolino del coffee shop perché gira tutto intorno alla stanza e radio Tirana fischia nelle orecchie.

Alzava lo sguardo, occhi più persi di un Berlinese a Bologna, disorientati, sembrava uno spaventapasseri in un campo di marijuana. Non diceva una parola, nessuno diceva niente mentre un tipo vicino a Friggione parlava da solo e usava la bocca per leccare la colla. Aveva un bicchiere di latte con una cannuccia nera dentro. Lo aveva poggiato vicino la testa pesante di Chitarra, nel mentre si girava un cazzo di purino di mezzo chilo dentro un lenzuolo soffice grigio trasparente di seta ricamato OCB, un carciofo alla romana. Nel tempo che Sampei con la canna di Bamboo al gusto kush aveva messo il pollice sul filtro per spiegare l'albero maestro a quando aveva incendiato le vele con un improbabile clipper di uno Spongebob con gli occhi rossi ho sentito in bocca il gusto caldo e amaro dei carciofi alla romana che neanche se li stavo mangiando in quel momento. Figuriamoci se lì dentro se li stava facendo qualcuno dato che, lì dentro, al massimo friggono le patate con i neuroni, serviti con la maionese.

Voglio una carbonara.

In mezzo ai tavolini Friggione aveva già le labbra crespe come la corteccia di un albero, gli occhi lavanda persi nel labirinto delle masone, postura desiderosa di appoggio. Gaucho sullo sgabello uguale a quello di Chitarra, ma non quello di Chitarra, aveva la parvenza di chi sta cagando ma si annoia e si scorda che sta cagando ed è da così tanto seduto sulla tazza del cesso che ha perso sensibilità alle gambe fatte formicaio e gli s'è seccato il buco del culo. Nel frattempo sorseggiava succo di arancia e fissava le fughe delle mattonelle ma non chiedetemi a che pensa perché non lo so.

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