- Allacciate le cinture di sicurezza e non lasciate il vostro posto. Stiamo per decollare.
Lo stomaco di Marta fece una capovolta e il panino al burro trangugiato in fretta e furia qualche ora prima fece sentire la sua presenza tutto d'un tratto, chiudendole la gola.
Accanto a lei, un uomo robusto sulla cinquantina sembrava non essersi nemmeno accorto che si stava per partire, anzi, sonnecchiava beatamente con le mani intrecciate sulla pancia prominente che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro pesante.
Marta si disse che doveva essere abituato a volare e si domandò se un giorno anche lei, che non era mai uscita dal suo paesino prima di quel momento, sarebbe salita su un aereo senza avere le palpitazioni o il bisogno impellente di rigettare la colazione.
In quel preciso istante le sembrava impossibile.
Il cuore fece un tuffo quando l'aereo prese la sua rincorsa per il decollo e, mentre la velocità aumentava sempre di più, riuscì soltanto ad aggrapparsi ai braccioli e a premere la schiena contro il sedile logoro.
Poi, quando sentì il veicolo staccarsi sempre di più da terra, si domandò se non stesse facendo una cazzata.
Sicuramente prenotare con mesi di anticipo un posto accanto al finestrino per il suo primo volo non si era rivelata una grande idea: non riusciva a sbirciare fuori senza provare nausea mista a mal di testa.
Al viaggio di ritorno si sarebbe premurata di occupare il posto più interno possibile, magari vicino al bagno, visto che lo stomaco in subbuglio non voleva proprio lasciarla in pace.
Eppure, anche se i dubbi sulla sua scelta la attanagliavano ed era sicura che a momenti sarebbe morta di infarto, non poté fare a meno di piegare le labbra in un piccolo sorriso. Dopotutto, si era fatta coraggio e aveva preso un aereo per cominciare una nuova vita; almeno, così sarebbe stato per il prossimo anno, poi avrebbe deciso cosa fare, ma era presto per pensarci.
Toccare terra senza vomitare quello che aveva mangiato nelle ultime settimane era decisamente un obiettivo più a breve termine e più urgente da raggiungere.
Visto che guardare alla propria destra e ammirare il panorama le era praticamente impossibile, Marta osservò sottecchi il suo vicino di posto, che aveva smesso finalmente di dormicchiare e stava sgranocchiando una barretta ai cereali mentre leggeva qualcosa dal suo Kindle.
Se ci fosse stato Andrea, invece, sicuramente avrebbe appiccicato il naso al finestrino e avrebbe guardato fuori per tutto il tempo. Non aveva paura di niente, lui. Anzi, più una cosa era rischiosa, più incontrava la sua approvazione.
Forse era una delle cose che più l'avevano attratta di lui, molti anni prima, quando si lanciavano degli sguardi furtivi ai cambi d'ora e si vedevano nel cortile della scuola dopo le lezioni. All'epoca, aveva solo quindici anni e aspettava il suono dell'ultima campanella con tanta impazienza che le mani le sudavano e la tachicardia l'accompagnava per tutta l'ora che precedeva i loro incontri.
Erano stati anni così pieni di emozioni, sensazioni meravigliose e prime esperienze, che, ripensandoci, le sembravano appartenere ad un'altra vita. Niente a che vedere con l'aridità e la monotonia che avevano decretato la fine del loro rapporto.
Marta sentì gli angoli degli occhi pizzicare e si maledisse per non essere stata ancora in grado di dimenticare. Tra qualche giorno sarebbe passato un anno esatto dall'ultima volta in cui si erano visti, eppure, in cuor suo, sentiva che i sentimenti che l'avevano legata ad Andrea per così tanto tempo non erano scemati, anzi, erano ancora lì, più forti e vivi che mai.
Ma doveva dimenticare. Lo doveva a se stessa e alla nuova vita che la stava aspettando oltremanica.
Quell'anno sarebbe stata la sua occasione per staccare la spina da una realtà che si stava facendo sempre più opprimente e soffocante.
Era solo un anno, e non poteva sprecarlo.
Non avrebbe saputo dire, a distanza di tempo, in che modo ebbe occupato la restante parte del viaggio in aereo. Probabilmente doveva essersi addormentata, ad un certo punto, perché la voce delle hostess che annunciavano l'arrivo a destinazione le era giunta alle orecchie come un suono lontano.
Fatto sta che, con sua grande sorpresa, era sul territorio inglese sana e salva e – udite, udite! - la colazione era rimasta nel suo stomaco.
- Sei viva! – a giudicare dal tono misto tra il sorpreso e il sollevato, anche sua madre non aveva molte speranze sulla buona riuscita del primo volo di sua figlia – Sei viva!
Marta, seduta su una panchina all'esterno dell'aeroporto di London Heathrow, ondeggiava brandendo il cellulare nel tentativo di recuperare quel po' di linea internet che le permettesse di portare avanti la videochiamata con sua madre. Un messaggio o una telefonata non sarebbero stati sufficienti: Olga Mancini aveva bisogno di vedere in faccia sua figlia per sincerarsi che stesse bene, anche se "vedere" era un parolone, dato che la connessione era piuttosto scarsa.
- Com'è andato il viaggio? – domandò sua madre, mentre sistemava delle scatole di cereali negli appositi scaffali del minimarket di famiglia.
- Abbastanza bene, - rispose la figlia – papà è lì? – domandò con il cuore in gola.
Anche se la linea le stava giocando brutti scherzi, era comunque riuscita a vedere sua madre lanciare un'occhiata implorante alla sua destra, e i secondi che precedettero la sua risposta le parvero infiniti.
- Ora è impegnato, tesoro.
Marta sospirò. Certo, avrebbe dovuto immaginarlo. Suo padre era una persona così testarda ed orgogliosa che non avrebbe mai preso il telefono per parlarle o solo per salutarla. Probabilmente l'avrebbe perdonata solo se fosse ritornata strisciando da loro, pregandoli di farla rientrare in casa.
- Okay, non fa niente. – mormorò Marta, cercando di non dare troppo a vedere la sua delusione – Sarà per la prossima volta.
Visto che, ormai, la connessione sembrava voler sabotare la telefonata, le due si salutarono al volo e a Marta non restò altro da fare che aspettare che i suoi nuovi datori di lavoro, o almeno uno dei due, la venissero a prendere. Aveva mandato loro una foto presa dal suo profilo Facebook, anche se temeva che le pessime condizioni in cui versava in quel momento – trucco slabbrato, capelli legati alla meno peggio e occhiaie profonde – l'avrebbero resa meno riconoscibile. Avrebbe dovuto optare per una foto più veritiera, e non per una che la ritraeva tutta in tiro per il matrimonio della cugina.
Dopo alcuni minuti, qualcuno richiamò la sua attenzione.
- Marta, are you?
La ragazza sollevò lo sguardo e incontrò due iridi incredibilmente azzurre, tanto chiare da sembrare trasparenti.
Qualcuno avrebbe potuto rimanere affascinato da un colore così particolare, ma lei le trovava spettrali ed inquietanti. Agli occhi straordinariamente chiari, aveva sempre preferito gli occhi profondamente scuri.
Proprio come quelli di Andrea.
- S-sì. No, cioè, yes! – Marta scattò in piedi così velocemente che le sembrò che il cuore le balzasse in gola. Era arrivato il momento. Ora non si poteva più tornare indietro. Afferrò a mani salde l'unico valigione che aveva portato con sé e lo porse a quello che, evidentemente, era l'autista della famiglia che l'avrebbe ospitata.
Il tizio la guardò scettico per qualche secondo, poi fece una smorfia e prese il bagaglio con poca convinzione.
– La macchina è di là. – disse in un italiano incerto e trascinato. Le fece cenno di seguirla con la testa e lei gli andò dietro, ansiosa ed impaurita di cominciare quella nuova esperienza.
Quando giunsero alla macchina – una Maserati GranCabrio bianca -, Marta prese posto sul sedile posteriore e notò che il ragazzo le aveva scoccato un'occhiata tra l'enigmatico e il confuso dallo specchietto retrovisore.
Rannicchiata sul lussuoso sedile in pelle, che niente aveva a che vedere con la scomodità del posto in aereo, pensò che la famiglia Green dovesse essere molto ricca, se possedeva persino un autista che, dal canto suo, non faceva altro che guardarla in modo strano, facendola sentire a disagio.
Il viaggio in macchina durò circa un'oretta, durante la quale i due si scambiarono sì e no due battute riguardo al tempo.
Il top della conversazione, insomma, anche se Marta dovette ammettere che non era da tutti i giorni trovare qualcuno, specie se di sesso maschile, che sapesse distinguere le varie tonalità di grigio delle nuvole.
L'influenza di Ava, la padrona di casa che la stava aspettando, doveva farsi sentire molto. Ava era un'artista. Una pittrice, per l'esattezza. Era nata e cresciuta in Italia, dove aveva vissuto fino al diploma artistico. Poi, consapevole che nel luogo d'origine non avrebbe mai potuto fare della sua passione un vero lavoro, era partita alla volta della Grande Mela, dove aveva studiato in una prestigiosa scuola d'arte.
Lì, mentre passeggiava tranquillamente in bici a Central Park, aveva quasi investito un tizio che stava facendo jogging e che aveva deciso di svenire proprio in quel momento e poi, cinque anni dopo, i due erano convolati a nozze nientemeno che nella capitale inglese, patria del povero corridore, il famoso cronista sportivo Robert Green, spezzando così la tradizione italiana di sposarsi nel paese di origine della donna. Ma Ava non era una donna convenzionale, quindi nessuno aveva storto il naso.
Venticinque anni di matrimonio, tre case di proprietà sparse per il mondo, sei cani e quattro figli, gli ultimi due di dieci anni, ovvero il motivo del trasferimento di Marta in Inghilterra: lei avrebbe lavorato come ragazza alla pari a casa loro per circa un anno, quando i due gemelli sarebbero stati mandati in un prestigioso collegio privato in Svizzera.
Cosa ne sarebbe stato di lei, dopo, era ancora tutto da scoprire. Certamente l'idea di ritornare nel suo paesino sperduto tra le montagne, ad aiutare i genitori al negozio, la faceva soffocare. D'altra parte, la prospettiva di ritrovarsi in Inghilterra da sola e senza occupazione, la rendeva nervosa.
Ma era ancora troppo presto per sapere cosa avrebbe fatto della sua vita.
In un anno potevano succedere tante cose. E a lei ne sarebbero successe.
Solo che ancora non lo sapeva.
Era quasi buio, quando i due entrarono nell'elegante quartiere residenziale in cui viveva la famiglia Green.
- Accidenti! – si lasciò sfuggire Marta, guadagnandosi l'occhiata annoiata del presunto autista, ma lei non se ne accorse – Ma sembra di essere in un film!
- Tra due settimane ti abituerai a questo panorama. – disse lui annoiato.
Marta tacque all'istante e sentì le guance infuocarsi. Si ripromise di non fare la figura della provincialotta che non ha mai messo piede fuori casa con la famiglia Green. Odiava dare una brutta impressione di sé, e se del pensiero dell'autista le fregava meno di niente, quello dei suoi datori di lavoro era importante.
- Home, sweet home.
Marta dovette mordersi la lingua per non urlare dallo stupore. Quella che si ergeva davanti ai suoi occhi non era una casa, ma una reggia! Edifici così ne aveva visti solo sulle riviste di arredamento, quando, insieme alla sua amica Rebecca, immaginavano di vivere in case che non si sarebbero mai potute permettere.
Stentava a credere che quel gioiello di design sarebbe stata la sua casa per i prossimi 365 giorni. Certo, non proprio casa sua in senso stretto, ma era un dettaglio su cui poter sorvolare.
Non appena i due misero piede sul vialetto, la porta d'ingresso si aprì e fece la sua comparsa la signora Ava Green.
Se dalle foto le era sembrata bellissima, Marta dovette ammettere che dal vivo era semplicemente meravigliosa. Certo, l'aiuto degli amici chirurghi era innegabile, ma quella donna aveva un'innata eleganza tale da sembrare che, invece di camminare, fluttuasse a mezzo metro da terra.
- Marta, che piacere! – nonostante gli anni passati all'estero, il suo accento italiano era ancora ben marcato. Ava le si avvicinò e, prima che Marta potesse rispondere, la stritolò in un abbraccio che sapeva di Chanel n.5.
- Oh, finalmente posso stringere qualcuno senza che mi prendano per matta! – rise Ava quando si staccò da lei – Adoro l'Inghilterra, ma certe cose dell'Italia mi mancano terribilmente. Ma, prego, entrate pure.
- Può portarmi la valigia dentro, grazie. – Marta sorrise all'autista che, invece, la guardò scioccato. Ava era già in casa, quindi la ragazza le trotterellò dietro, lasciando l'altro a fare il suo lavoro.
Se l'esterno di casa Green era da copertina, l'interno non era da meno. Ogni angolo trasudava design e progettazione. Nulla era stato lasciato al caso. persino le maniglie delle imposte formavano un tutt'uno armonico con il resto dell'arredamento.
Marta ripensò alle ante riciclate da vecchi mobili diversi che erano finite nella sua cucina, e arrossì.
- Bene, - esordì Ava, dopo che l'ebbe invitata a sedersi – immagino tu sia piuttosto stanca e affamata.
Marta annuì.
- Se ti va, posso chiedere al mio autista di portarci qualcosa dal ristorante qua vicino. Sai, sono a casa dalle tre di pomeriggio e non ho proprio avuto il tempo di mettermi ai fornelli.
Marta lanciò uno sguardo all'orologio da parete che sovrastava la cucina: erano le otto di sera. In quelle cinque ore, sua madre avrebbe tranquillamente preparato pranzi e cene per tutta la settimana.
- Va benissimo, grazie.
Ava sorrise soddisfatta e sparì nell'ingresso.
Nel frattempo era entrato anche l'autista, che, con aria scocciata, lasciò la valigia accanto a lei – Prego. – disse inacidito.
- Ecco fatto, ho detto ad Arthur di ordinare vari assaggi da tutto il menù. – cinguettò Ava, agitando il cellulare con aria soddisfatta – Ho ordinato anche per te, darling. – aggiunse, rivolta al ragazzo che aveva accompagnato Marta.
Darling?!
- Grazie, mom. – rispose lui, accentuando la parola mamma e lanciando un'occhiata eloquente a Marta, che per poco non scivolò dallo sgabello della cucina.
- Mom?! – gracchiò imbarazzata.
- Ah, non vi siete presentati? – domandò Ava, prendendo dei bicchieri da vino. – Cara, lui è mio figlio, Nicholas.
Marta guardò in direzione dell'autista "sbagliato", che aveva incrociato le braccia al petto e la stava fissando con aria di superiorità.
Bene. Benissimo. Aveva appena scambiato il figlio dei suoi ricchissimi datori di lavori per un loro dipendente.
Sì, davvero un inizio niente male.
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Romance[CONTIENE SCENE DI SESSO ESPLICITE] Ad un anno dalla laurea e dopo la rottura con il suo fidanzato storico, Marta decide di partire per un'esperienza di un anno come au pair presso una famiglia italiana che vive in Inghilterra. Così, valigia usata...