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Fabrizio reggeva tra i denti il cordino dei suoi guantoni da boxe tentando di stringere il nodo più forte che poteva, aveva già indossato quello sinistro e non aveva la mano libera per completare quel lavoro di fino. Sbuffò frustrato.

Tremava appena sentendo quella tensione ormai nota fargli tremare il cuore, era in quel momento che sentiva davvero di essere vivo con davanti una strada battuta per una decina di metri, liscia senza buche o ostacoli. Sentiva però che avrebbe dovuto faticare ancora molto, sentiva che per quelli come lui non c'era posto nel mondo. Lui, figlio di nessuno se non figlio di un ring, di una strada polverosa e di amici che sapevano di famiglia. 

Una volta allacciato alla bell'e meglio il laccio del guantone destro si alzò in piedi, saltellò sul posto sciogliendo i muscoli delle gambe intorpiditi dall'allenamento. Chiuse gli occhi, inspirò forte l'aria polverosa di quella piccola palestra e recitò una mezza preghiera, alzò lo sguardo trovando il suo stesso riflesso livido nello specchio malconcio: le occhiaie blu a contornare gli occhi stanchi, i muscoli della mandibola contratti e i tatuaggi sparsi che macchiavano la pelle qua e là e raccontavano mille storie, mille esperienze.

Si sgranchì il collo muovendo dolcemente la testa prima a destra e poi a sinistra, sciolse di nuovo le spalle e alzò i pugni davanti al suo viso, fermo immobile ma teso come la corda di un violino si osservava, lo sguardo dolce che caratterizzava il suo volto cambiò in un lampo lasciando che la rabbia e la determinazione cambiassero quegli occhi scuri.

«DOVE STA?» una voce lo fece rinsavire, un urlo di rabbia e tutti i presenti si voltarono verso l'uscio di quella polverosa palestra. «Carlo dove sei?» tuonò di nuovo quella voce e con lei tre uomini di nero vestiti si fecero strada tra i ragazzi che popolavano quel piccolo spazio.

Fabrizio riconobbe la quarta figura che spuntò poco dopo, l'attore di quella scena che, nervoso, faceva saettare lo sguardo di fuoco da una parte all'altra alla ricerca di qualcuno.

«Cosa vuoi?» sputò il vecchio allenatore dopo pochi attimi di silenzio, si accomodò meglio sulla panca su cui era seduto senza alzare gli occhi da terra.

«Sono passato a salutarti.» ringhiò il ragazzo,la pelliccia di visone toccava terra e Fabrizio non ne aveva mai vista una così da vicino. Degli anelli gli ornavano le mani tatuate e delle catene d'oro pendevano dal collo, il labbro inferiore spaccato era ancora gonfio, l'occhio sinistro era nero, evidenti segni di un incontro avvenuto di recente.

«Devo farti i complimenti, Mick?»

«Devi.» sputò di rabbia facendosi sempre più vicino al caposquadra, gli occhi iniettati di sangue. Fabrizio riconobbe i suoi movimenti, i suoi scatti di ira e, come quando si allenava ancora con lui, si mise in guardia con la paura che qualcuno potesse scatenare una

«Non faccio i complimenti ad un balordo come te.»

«Senza di te ho vinto, senza di te sono il campione dei pesi massimi.» ringhiò sottovoce, «Sai perchè? Perchè sei un fallito e alleni solo scarti della società.»

«Ti batterebbero, non sei capace di fare a botte. Hai vinto per pura fortuna.» sentenziò Carlo ridacchiando aggiustandosi il berretto sulla testa.

«Sceglierò uno dei tuoi balordi per il mio prossimo incontro.» e con fare teatrale fece passare lo sguardo sui presenti, uno ad uno come per scegliere la sua prossima vittima.

«Valuterò ogni singolo presente di questa stanza e lo sfiderò per il titolo, infine lo ridurrò a pezzi.»

«Affare fatto.» disse secco Carlo alzandosi in piedi. «L'incontro si terrà in questa città, tra un mese esatto e vedremo se hai ancora voglia di fare il campione.»

The eye of the tiger.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora