Una breve storia di zucchero e limoni

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29 Giugno 2014

"Un giorno studiare la matematica mi piacerà", mi ripeto con la faccia ficcata nel libro, consapevole che quel giorno non arriverà mai. Sono le sei di pomeriggio eppure il sole splende come se fosse mezzogiorno. Il lago puzza leggermente di pesce marcio, ma ci ho fatto l'abitudine ormai. E nonostante la puzza, non posso far a meno di venire a 'studiare' in questo posto, l'unico che mi dia calma e serenità. E forse è anche bizzarro che i passerotti che passano mi mettono allegria, mentre provano a bere l'acqua del lago, troppo infangata per i loro gusti. Ogni tanto passa qualche barca a vela, ma non è ancora tempo di regate, per questo considero questa sponda del lago, un po' più invisibile, la più tranquilla. Nessuno viene qua a farsi il bagno, o a fare il picnic della domenica, ci sono solo io in mezzo a tutti questi pini, e alle cicale che cantano, e ai passerotti che passano. Gli occhiali ogni tanto mi calano giù dal naso, ed io li rimetto in sesto, tira un leggero venticello, e sulle mie gambe scoperte c'è un po' di pelle d'oca. M'infilo la felpa e provo a ricominciare a studiare, anche se tra geometria analitica e algebra non ci capisco quasi più niente. E menomale che ho scelto il classico, mi ripeto fra me e me. Anche se mancano tre anni alla maturità, non faccio a meno che pensarci, e addirittura vorrei farla, perché secondo me è una prova che ci rafforza. Guardo la schermata del telefono per sapere se qualcuno mi ha scritto o chiamato, ma non vedo nulla, eccetto l'orario, la data e il mio sfondo colorato. Guardo il lago, e mi chiedo se avere sedici anni significhi questo, studiare e passare le vacanze al mare. Ma con una nonna non tanto giovane, non si può prendere ogni estate l'aereo. Quando c'erano i miei genitori, ogni anno si andava in un posto diverso, Olanda, Francia, America, Africa e Giappone. Ho visitato quasi tutti i paesi e quasi tutti i continenti. E quelli che non ho ancora visto, dovrò vederli da sola o con i miei amici quando sarò più grande, mi dice sempre nonna Miranda, perché lei non ce la fa ad accompagnarmi, anche se vorrebbe, ma io so che dice così per tirarmi su di morale. Mi mancano i miei genitori, ma non troppo da piangermi addosso tutte le sere e scrivere frasi depresse su Facebook, perché è il peggior modo per condividere il dolore. Quando mi sento triste vado a correre, perché è l'unica cosa che mi svuota la mente, e anche la pancia, così poi a cena posso abbuffarmi quanto posso di quello che cucina Miranda. Non la chiamo sempre nonna, o nonna Miranda, a volte solo Miranda, perché non è la mia vera nonna, era la fidanzata di nonno, dopo che aveva divorziato con la mia vera nonna, che io però non ho mai conosciuto. Quindi tecnicamente non è la mia vera nonna, ma tecnicamente io non sono neanche figlia dei miei genitori. Mi spiego meglio, io sono adottata. Però non mi ricordo quasi niente della mia, chiamiamola così, vita precedente, i miei ex-veri genitori non erano molto presenti nella mia vita, ma ricordo che papà non era mai a casa e mamma andò in carcere, non ho mai saputo per cosa. Per questo il Giudice mi diede in affidamento ai miei ex-falsi genitori, che poi diventò una vera adozione. A volte sono triste anche per i miei ex-veri genitori, perché comunque ero, sono loro figlia, e mi potevano anche trattare meglio. Invece non ho rimpianti, eccetto la loro morte che fatto sta non è colpa mia, di Sara e Francesco, i miei ex-falsi genitori, che erano persone squisite, come dice Miranda. Non avevano mai avuto problemi con la legge, pagavano sempre le bollette, portavano sempre a spasso Lola, il mio cane, la casa era sempre pulita e in ordine, eccetto camera mia, che come la mia testolina, era un macello, diceva sempre mamma Sara. Mi ricordo i gelati mangiati a Piccadilly Circus, le crepes comprate a quel delizioso baretto sotto la torre Eiffel, i take-away nell'appartamento del New Jersey. Ciò che so per certo dei miei genitori adottivi è che volevano che io vedessi il mondo, volevano conoscessi tutti i posti, prima di decidere quello in cui sarei voluta stare. Ma sinceramente, il posto più appropriato che vedo per me adesso è questa sponda del lago di Sabaudia dove c'è una quiete da far paura. Non che mi piacciano le cose spaventose, ma questo silenzio è spaventosamente bello.
I miei genitori adottivi conoscevano i miei genitori veri, erano le persone che più si avvicinavano per loro ad una famiglia, ma nella situazione in cui erano (intendo i miei genitori veri) non biasimo nessun povero essere umano che non voleva affatto essere amico loro. Invece Sara e Francesco li hanno sempre aiutati, addirittura da prendere la loro figlia in custodia a tre anni, che secondo me, è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Ma Sara e Francesco erano troppo buoni secondo me, io non avrei mai aiutato dei delinquenti.
Oramai è ora di cena, perché si, con nonna Miranda si mangia presto, ma con i cibi che prepara lei, potrei anche cenare alle quattro di pomeriggio. Nonna è del nord, di Torino, e nonostante a volte cucini delle cose un po' troppo particolari, come la carne cruda (e no, non intendo il sushi) o le cervella o il cuore della mucca, io mangio tutto quello che mi prepara. E già mentre percorro la strada per arrivare a casa, mi chiedo cosa abbia cucinato stasera.
Quando entro nel giardino Lola mi accoglie con una miriade di feste, com'è solita a fare lei. Urlo un ' sono a casa ' ed entro. Nonna è ai fornelli e l'odore si sente dalla porta d'ingresso. Sta canticchiando qualche canzone di De André, sono sicura, che è il suo cantante preferito, ma non riconosco quale sia. La tavola è già apparecchiata e mi avvicino alle varie cianfrusaglie che sta utilizzando per vedere cosa stia preparando.
⁃ Vado sul semplice, questa volta.
E mi accorgo che sta cucinando dei tortellini ripieni di carne, che probabilmente avrà preparato proprio lei. Chiamalo semplice.
⁃ Sai che mi va bene ogni cosa che cucini!
E le do un bacio sulla guancia sinistra. Lei ricambia con un sorriso tuttodenti (merito della dentiera). I capelli sono come al solito legati in una cipolla, e indossa un paio di pantaloni neri e una camicia di flanella.
⁃ A cosa devo tutta st'eleganza?
Chiedo sorridente.
⁃ Questa sera ce ne andiamo a prendere un bel yogurt in piazza!
Mi risponde tutta entusiasta. Ma con tutto quel cibo, non so se riuscirò anche a mangiare uno yogurt. Mi rispondo da sola alla domanda. E la risposta è ' ovvio che si '. E come una delle tante volte in cui mi sento una schifezza a mangiare troppo, ringrazio i miei ex-veri genitori per avermi dato un metabolismo rapido e una costituzione magra. Anche se il mio stomaco certe volte non regge proprio tutto quel cibo.
Nonna Miranda fa due porzioni abbondanti nei due piatti colorati, e iniziamo a mangiare di gusto, entrambe con un po' di Merlot del posto. Perché come dice lei, non è mai troppo presto per imparare a bere del buon vino.
Arrivo a metà piatto e mi sento già scoppiare, il bicchiere però l'ho svuotato tutto. Nonna Miranda mi guarda negli occhi e mi dice che non fa niente se non riesco a finire tutto.
Io la ringrazio e comunque le dico che data la sua eleganza non possiamo non uscire.
Dopo aver sparecchiato insieme io mi vado a preparare mettendomi una casacca arancione e dei pantaloncini scuri e gli anfibi bianchi quasi come la mia pelle.
Mi trucco leggermente e non essendomi fatta una doccia con il bagnoschiuma sento ancora il profumo della salsedine sopra le mie spalle. Lego i miei capelli neri in una coda alta e dico a Miranda di essere pronta. Lei ha già finito di sistemare tutto, prende la sua borsetta e ci avviamo in piazza.
La vita di Sabaudia è la classica vita da paese sul mare, ci stanno panchine ovunque, ogni tanto concerti, tantissime gelaterie, gente in bicicletta e un cinema che proietta o film usciti da secoli o anteprime, e questa cosa non l'ho mai capita.
Decidiamo di andare a vedere il remake di un film western di secoli fa, perché Miranda ama i western, io non tanto, ma il cinema mi affascina in se.
La sala è praticamente vuota e noi prendiamo la fila centrale. Durante il film vedo nonna ridere spassosamente, e la sua risata è la più contagiosa che abbia visto. A volte mi chiedo come faccia ad essere così tanto felice nonostante ci sia tanto dolore. I suoi due mariti sono morti, e il secondo era mio nonno, si amavano molto, mi ricordo. Così come Francesco amava Sara. E mi chiedo se si possa amare una persona morta, perché io non lo capisco. A me mancano i miei quattro genitori, certo, due di loro di più, ma non è che io li ami. Mentre so che Miranda, quando guarda la foto di nonno Antonio sul comodino, continua ad amarlo. Ogni sera gli racconta cos'ha fatto nella giornata, che sia inverno od estate, che io abbia preso un ottimo o un pessimo voto. E sapeste con quale gioia lo dice, quella gioia l'ho vista solo negli occhi di Miranda quando parla con Antonio. Però quella è solo una foto di Antonio, e io non riesco a capire, e forse sono cose che a sedici anni non si dovrebbero capire. Quanto vorrei raccontarvi quanto si sono amati Miranda e Antonio, per quanto io sia in grado di descrivere un amore così grande, o di come papà Francesco amava guidare la sua Musa, o di come mamma amava andare a fare la spesa al mercato vicino casa, nonostante fosse una persona di un certo livello e aveva chi poteva farla per lei. Vorrei dire quante cose brutte ci sono state in questi sedici anni di vita, e vorrei raccontare anche cosa è successo prima che io nascessi, da tutte le storie che mi hanno raccontato, ma non ho così tanto tempo, perché sto morendo, per cui cercherò di descrivere tutto questa gioia e tutto questo dolore in quante righe mi è possibile. Perché sto veramente morendo, di leucemia. E forse più della morte mi rattrista essere viva senza poter mangiare dei piatti pieni del cibo della nonna, o non vedermi mai bella abbronzata come tutte le ragazze dello stabilimento, con tutti i ragazzi che corrono appresso a loro. Per questo vado al punto, di quello che ritengo più necessario da raccontare.
Uscite dal cinema accompagno Miranda a prendersi lo yogurt, con cereali e nutella come l'è sempre piaciuto da quando ho memoria. Io invece non ce la faccio e la guardo mangiare come se anche io stessi mangiando. Andiamo a dormire verso le undici e mezza, nella nostra casa a Via Principe Amedeo 15, dove sono cresciuta negli spizzichi d'estate quando mamma e papà mi mandavano al mare con Miranda. Ma da quando sono morti loro, ovvero 3 anni fa, ci vengo ogni estate per ogni singolo giorno. Non che non mi piaccia questa casa, o questo mare, ma mi manca troppo viaggiare, e non so se potrò fare un altro viaggio. Nonna è fin troppo ottimista, e mi da tutto il tempo del mondo, se fosse per lei mi farebbe vivere anche la sua vita.
Ma è alquanto impossibile, perciò mi limito alle mie parole crociate sotto l'ombrellone dello stabilimento "Le scalette", dove sono tutti dolci e carini con me, ma spero non sia solo per la mia malattia, che per ora è ancora ai primi stadi.
Quando mi metto sotto le coperte sento un brivido lungo tutta la colonna vertebrale, allora decido di mettermi anche un piumino, e dato che non riesco a prendere sonno decido di ascoltare un po' di buona musica, dai classici Jazz come Neil Young, al country di Tim Mcgraw o al pop come Ed Sheeran, del quale noi adolescenti andiamo pazze.
E così mi addormento.

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