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Giacomo Leopardi era chino su uno dei suoi innumerevoli libri, seduto alla scrivania della biblioteca di suo padre. La biblioteca era una grande stanza con al centro una piccola scrivania in legno, e una poltrona in velluto. Tutti i libri di suo padre erano sistemati ordinatamente sugli scaffali: Monaldo Leopardi era un filosofo, politico e letterato italiano; da lui, Giacomo, aveva ereditato la sua passione per lo studio. Sebbene fosse molto giovane, era segnato da una profonda infelicità, provocata dalla mancanza d'affetto da parte dei genitori, perciò aveva cercato sollievo alla sua solitudine nello studio.

Giacomo si passò una mano nei capelli dorati. Era di bassa statura, di corporatura esile, aveva folti capelli ricci e il viso pallido e magro, su cui spiccavano due meravigliosi occhi color zaffiro. Spesso si dilettava a scrivere poesie e saggi di vario genere, che erano caratterizzati dalla visione pessimistica della vita che lui aveva. Come ogni giovane della sua età, voleva vivere qualche avventura e lasciare Recanati, il suo amato quanto odiato borgo nativo, che considerava una prigione. Per questo, tra il luglio e l'agosto del 1819, tentò di fuggire. Il piano era molto semplice: avrebbe cercato di procurarsi un passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio d'Ajano; dopodiché sarebbe scappato, assieme ai fratelli, a notte fonda, quando tutti dormivano. Giacomo aprì la finestra, l'aria soffocante tipica di quei mesi, gli scompigliò i capelli. Con un'agilità, che non sapeva di avere, scavalcò la finestra, atterrando sull'erba soffice del giardino, dove lo aspettavano i suoi più cari fratelli, Carlo e Paolina. Si avviarono verso il cancello della loro proprietà, dove, ad attenderli, c'era un semplice calesse. Per la prima volta dopo tanto tempo, il giovane, si sentì speranzoso; era a pochi passi dalla libertà. Quando si apprestò ad aprire la portiera, vide una cosa che gli fece gelare il sangue nelle vene: suo padre era lì, all'interno di quel piccolo calesse, che li fissava con uno sguardo glaciale e con un velo di delusione. Non c'era bisogno di parole, i tre fratelli seguirono il padre dentro la casa e ognuno si diresse verso la propria stanza. Per i giorni a venire, non fu permesso loro di uscire. Quel barlume di speranza che Giacomo aveva nutrito si era spento, come la fiamma di una candela con una leggera folata di vento. Si sentiva di nuovo in gabbia, soffocato da quelle quattro mura, cercò di fuggire con la mente da quella esasperante quotidianità, così, dopo che gli fu permesso di uscire di casa, si rifugiò sul monte Tabor, dove trovò un'inaspettata ispirazione.

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Passava il tempo a contemplare il paesaggio, cercando di sfuggire alla monotonia delle sue giornate..

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi al di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo: ove per poco

il cor non si spaura.

Immaginava quiete e silenzio, degli spazi infiniti...

E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei.

Inoltre rifletteva sulla sua vita e inevitabilmente veniva riportato alla realtà dai suoni intorno a lui. . .

Così tra questa

immensità s'annega il pensier mio:

e il naufragar m'è dolce in questo mare.

Scrisse tutti questi versi, e molte altre poesie, diventando pian piano sempre più triste e solo.

Passò i seguenti due anni in solitudine, con la sola distrazione dello studio. Il rapporto coi suoi genitori, se possibile, era peggiorato: si davano solo il buongiorno e si dicevano le cose essenziali per poi ignorarsi nuovamente.

A sua sorpresa, dopo quei due anni bui, ottenne il permesso di andare a Roma presso uno zio.

Nel novembre del 1822 giunse a Roma con la speranza di trovare il suo posto nel mondo e di ottenere un incarico che gli concedesse la libertà e l'indipendenza economica necessarie per la scrittura. In un primo momento si sentì libero, come se le catene che lo legavano a Recanati si fossero finalmente spezzate. Gli sembrò di respirare un'aria fresca, che portava cambiamento e fortuna. Tuttavia questi presentimenti si spensero portando una forte delusione nel suo animo. I mesi che trascorse a Roma rimasero impressi per sempre nella memoria del giovane: le persone, i parenti, i luoghi; non c'era niente che lo aggradasse. Probabilmente fu il periodo più mortificante della sua intera esistenza.

Spazio autrici

Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto. Arrivederci. :)

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 30, 2021 ⏰

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