L'ultimo miglio

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Non avrebbe mai immaginato un simile senso di vuoto. Una voragine, dentro, di cui non percepisce la fine.
Dopo la rabbia, la frustrazione, la determinazione, il coraggio, il sollievo, il pianto, il riso … più nulla.
Vuoto.
Il cuore vuoto, il cervello anche.
Il corpo pesante di una stanchezza antica, quella che ha provato ad arginare per mesi, spronato ad andare avanti non tanto da ciò che sapeva essere il suo ruolo ma da ciò in cui credeva nel più profondo di sé.
E ora, semplicemente, il vuoto.
Appoggia l’ultimo fascicolo ben allineato agli altri sulla scrivania e lo sfiora con la punta delle dita.
Tutto è compiuto ormai.
Nulla è ancora finito, ufficialmente, ci sono ancora decine di impegni istituzionali e non da portare a termine ma ormai anche l’ultimo atto si è consumato.
Ed è ora di smettere.
Di smettere di pensare che essere idealisti porti da qualche parte. Che le cose si possono cambiare. Che essersi speso così tanto potesse essere servito a qualcosa.
Si avvia verso la porta e la supera. Un gesto simbolico che gli spegne un battito, così come attraversarla per la prima volta quella soglia, quasi tre anni fa, i battiti glieli aveva accelerati.
In mezzo, tra quei due passi in direzioni opposte, un vissuto così intenso da riempire intere esistenze. Mani protese da stringere e sorrisi da ricambiare, giurerebbe di ricordarseli tutti. I grandi della terra, a cui offrire il caffè, e da sfidare a biliardo. L’entusiasmo e il coraggio necessari a provare una sfida nuova e infine la paura, quella vera, di fronte all’ultimo nemico, quello che gli aveva spento lo sguardo e inargentato i capelli. Quello per cui ancora indossa la mascherina, quello che ha provato a superare, senza riuscirci.
Sente il rumore del battente che si chiude alle spalle, vi si appoggia e chiude gli occhi, il tempo per ricomporsi e misurare il respiro, che la stanchezza non trapeli nemmeno da quello, ché in quelle stanze tutto deve essere composto, misurato, formale.
Saluta con un cenno del capo chi incontra in corridoio, il passo sempre ben cadenzato e deciso, anche se mai ha provato il desiderio di cedere alla stanchezza come ora. Sono tutti indaffarati, presi già dall’ascolto e dall’analisi di altre parole, intenti a carpire informazioni occulte da altre voci, da nuovi sguardi.
Gli ultimi metri li percorre in un’indifferenza pressoché totale, benché molte siano le persone che incrocia. Qualcuno risponde appena al suo saluto, qualcun altro nemmeno quello.
Arriva all’imbocco della scala e si appresta a scendere, senza rendersi conto che una figura alta e vestita di scuro pochi passi dietro a lui ha imboccato le scale di servizio e le sta scendendo veloce.
Appoggia le dita al corrimano di ottone e rabbrividisce appena poi, le articolazioni pesanti come se all’improvviso fossero divenute di ghiaccio affronta il primo scalino, consapevole che sta lasciando alle sue spalle un pezzo della sua vita che non potrà tornare ma che vorrebbe tanto poter rivivere per provare almeno a salvare i tanti che, forse, per i suoi errori non ci sono più.
È il fardello più gravoso di tutti, quello, quello che più gli opprime le spalle e che spesso gli impedisce il sonno la notte. Un fardello che non può e non vuole condividere con nessuno, che dovrà portare da solo fino all’ultimo dei suoi giorni.
Così come solitario è il suo discendere verso il mondo di prima, così diverso dal muoversi continuamente oppresso da microfoni e domande incalzanti che hanno accompagnato ogni suo passo sino a pochi giorni prima.
Solo, e sconfitto, benché ritenga di aver combattuto con valore. E il peso di quella sconfitta si trasforma in solitudine e in sconforto.
Quante volte lo ha ripetuto a suo figlio?
“L’ultimo miglio ciascuno di noi deve percorrerlo da solo”
Lo ha sempre pensato ma mai prima di oggi si è reso conto di quanto sia difficile percorrerlo a schiena dritta, e con passo sicuro, senza incespicare nei ricordi e nella desolazione di chi ha la consapevolezza di aver dato tutto e contemporaneamente la certezza che quel tutto non è stato abbastanza.
Si avvia piano lungo le scale, evitando più che può la spessa passatoia rossa, che la noncuranza che ha accompagnato i suoi ultimi passi in quel luogo lo ha convinto che nemmeno di quella è più degno.
L’aria fresca che proviene dal cortile lo rinfranca un poco e gli porta profumi e rumori che da tempo non ha più avuto tempo di apprezzare: il cielo coperto di nubi scure, l’odore di pioggia già latente nell’aria, il berciare sgraziato di un clacson imprigionato nel traffico poco lontano.
Cerca con la mano il cellulare nella tasca interna del cappotto. Avrebbe potuto fare chiamare un taxi al bureau su di sopra ma presto tornerà ad essere un cittadino qualunque, quindi tanto vale abituarsi ad esserlo subito. Indugia un istante, prima di richiamare la rubrica sullo schermo: un cittadino qualunque…se non fosse per tutto ciò che ancora desiderava poter fare sarebbe decisamente una bella prospettiva. Chiude gli occhi, e richiama l'immagine della scrivania del suo ufficio in facoltà, e l’odore caratteristico della stanza, il puzzo di fumo delle sigarette dei suoi predecessori talmente legato all’intonaco da essere percepibile persino con la finestra aperta.
Quando arriverà a casa deve ricordarsi di controllare sul sito dell’ateneo a che punto sono con le sessioni d’esame, magari gli riesce di intrufolarsi in qualche commissione, giusto per non rimanere troppo a lungo senza fare niente, col rischio che il cuore incespichi nel dispiacere per quel tradimento che è stato talmente sciocco da non riuscire ad anticipare.
E sì che glielo avevano detto, lo avevano messo in guardia da quell’alleato così infido, sapeva che il suo scopo unico era stato sempre e solo quello, financo dal momento in cui aveva deciso di contribuire a crearlo, quel Governo: una spallata, per distruggerlo, per il puro piacere, dopo averlo creato, di riuscire a farlo fallire. Ma da stupido idiota idealista quale era sempre stato si era detto che no, non era possibile, non in quella situazione, non giocando a dadi sulla salute di sessanta milioni di persone.
Dio, se si era sbagliato…chiude un istante gli occhi, pervaso da un piccolo capogiro, per quanto è grande l’impotenza che gli sta serrando lo stomaco, poi inspira e abbassa lo sguardo sul cellulare che ancora stringe fra le dita. Lo schermo si è appena illuminato quando il ronfare familiare di un motore gli si affianca.
È la berlina grigio scuro su cui è arrivato a Chigi quella mattina.
Si ferma davanti a lui e la portiera del conducente si spalanca. Ne scende una figura alta e slanciata che circumnaviga la vettura e gli si pone al fianco aprendogli lo sportello posteriore.
“Presidente…”
Cerca quegli occhi scuri, fermissimi e sinceri sotto alla zazzera leonina di riccioli biondo cenere
“Non sono più il Presidente, DeSantis.”
L’altro non muove un muscolo, né corregge la solennità dello sguardo.
“Presidente…” ripete.
E la voce stavolta gli si incrina impercettibilmente, in un soffio talmente lieve che a tutti sfuggirebbe. Ma non a lui che quella voce la conosce bene, ne ha percepito sfumature di ogni tipo, dalla tensione al comando alla risata, ma mai vi ha ravvisato la commozione. Annuisce piano e accenna un sorriso, che è sicuro l’altro riuscirà a percepire anche sotto la mascherina. Entra e si accomoda all'interno, suo malgrado rassicurato dalla morbidezza del sedile e dal rumore soffice con cui la portiera si chiude a difenderlo: sensazioni e suoni che sono stati così consueti nei suoi giorni, in quegli ultimi anni, da riuscire a placargli l’anima.
Guarda sorpreso il posto vuoto a fianco al conducente.
“Sono a fine turno, Presidente” ritrova lo sguardo del suo caposcorta nello specchietto e chissà come mai non è così sorpreso dalle sue parole “E ho pensato di riaccompagnarla a casa, prima di portare la macchina all’autorimessa.”
Annuiscono entrambi, consapevoli della grandezza di quel piccolo gesto, infinitamente importante per entrambi.
Ora può rilassare la nuca contro il poggiatesta e guardare fuori. Le nubi si sono allontanate e non è piovuto. Il traffico è quello di sempre, quello che di solito nemmeno vedeva, spesso perduto nel lavoro che lo seguiva fin sotto casa. Il tragitto è quello breve ma non così usuale, che lo conduce a casa sua, quella a cui tante volte ha dovuto preferire l’appartamento di Chigi.
Deve spostare le sue cose rimaste là, deve ricordare anche di segnalare una correzione da apportare a una bozza, deve…
L’auto si ferma e il portoncino d’ingresso di noce scura si materializza davanti ai suoi occhi.
De Santis è già sceso e gli sta tenendo la portiera. “Prego Presidente”
Appoggia il piede sull’asfalto e di nuovo gli sembra di compiere un gesto ultimativo, tranciante con ciò che è stato, che abbandona in un refolo di colonia sulla pelle chiara di quei sedili. Alza gli occhi e all’ultimo piano, proprio all’angolo, ci sono due finestre illuminate.
Sorride.
Anche De Santis ha guardato nella stessa direzione e anche lui sorride, lo rivela il bordo degli occhi che si increspano di piccole pieghe. Sa che può lasciarlo, e che non sarà solo.
“È stato un onore Presidente. E un piacere.”
Si guardano, i due uomini e la tristezza per l’impossibilità di stringersi la mano è mitigata dal calore e dal rispetto che gli occhi rimandano agli occhi.
“Grazie, Giancarlo. Grazie davvero per tutto”
Si accorge che la sua voce ha perso la compostezza metallica che aveva nel rispondere ai saluti nel corridoio di Chigi. Che è rauca di stanchezza, ma anche incredibilmente grata a quell’amicizia silenziosa che non è venuta meno, nemmeno in quell’ora così buia. È più facile respirare, ora, il cuore placato in cui comincia a farsi strada la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che aveva potuto.
E quelle due finestre illuminate lassù in alto gli parlano di tanto altro, messo da parte per troppo tempo.
Estrae dalla tasca le chiavi di casa e De Santis gli fa strada, per l’ultima volta.
“A presto, Presidente”



Mi ero ripromessa di non tornare a scriverne ma questi ultimi giorni mi hanno fatto desistere da questo proposito.

Questo racconto è scritto da tempo, da quando,settimane fa, mi sono resa conto che eravamo davvero all'ultimo miglio.
Oggi mi sono limitata ad aggiungere l'ultima riga, per provare a dare un qualche senso a questa vicenda che  di senso ne ha davvero poco.

La decisione di condividerlo invece nasce dal desiderio di ritrovarci qui, ancora una volta, stavolta temo davvero l'utima.

M.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 15, 2021 ⏰

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