"Sarà una condanna al lavoro.
A cominciare dai campi di mastro Konte e signora.
È inoltre decisione di questa corte che Riven ripari la sala del consiglio e le case di coloro la cui famiglia è stata danneggiata dall'invasione di Noxus."
Era quella la secca ma indulgente decisione che fuoriuscì dalle labbra sottili del giudice del consiglio.
Erano passati alcuni mesi da quel verdetto, e sotto il sole cocente quelle frasi sarebbero pesate ad ogni persona di questo mondo, ma non a lei.
Lei pensava, nel profondo del suo cuore affranto, che quella punizione inflittale dal giudice Ioniano non era abbastanza per una come lei: colei che aveva sterminato bambini, donne, uomini, anziani, senza nemmeno guardarli in faccia, lei che aveva tradito e che era stata tradita a sua volta, non le era concessa redenzione, non con una simile punizione.
A lungo aveva errato in cerca della morte, il suo corpo era così emaciato e la sua mente così oscura e tormentata da innumerevoli crimini, che iniziava a nutrirsi dei suoi ricordi, che svanivano man mano che la sua fame e la sua sete aumentavano.
Ma qualcuno l’accolse, la ospitò, le diede un posto da poter chiamare casa.
I lavori forzati non erano pesanti per una donna che aveva sempre lavorato sodo fin dalla tenera età, non desiderava altro che essere utile senza dover dipendere da nessuno.
Nella sala del consiglio vi era ancora traccia del caos seminato dal potere magico sprigionatosi dalla sua spada runica, i segni del vento tagliente erano ovunque sui muri, sulle panche ed era compito suo porvi rimedio.
Come se riparando ciò che aveva distrutto, potesse riparare anche la sua anima lacerata da tempo, ma infondo lei ci sperava.
Qualcuno credeva in lei, anche se a malapena ricordava il suo nome, anzi più ci pensava, più quel nome le sfuggiva dalla mente, com’era che si chiamava il giovane straniero del vento?
La sua mente vagava immersa nei suoi pensieri mentre impilava un mattone sopra l’altro, con gesti meccanici e li ricopriva di stucco e vernice candida, il cui odore ricopriva quello di sudore della giovane donna, che lavorava ininterrottamente da quando era sorto il sole.
“Dyeda…” quel sussurro flebile si perdeva nel vento appena fu pronunciato.
Un sorriso appena percettibile apparve sul volto dell’albina mentre con il palmo della mano si asciugava il sudore dalla fronte.
Dei passi flebili varcarono la soglia della porta, facendo sobbalzare Riven.
Quest’ultima socchiuse gli occhi accecata dal sole riuscì a malapena a scorgere una figura imponente con dei lunghi capelli ribelli avvicinarsi sempre più a lei.
Man mano che avanzava all’interno della sala, quella sagoma acquistava particolari, i suoi occhi balzarono sul volto di quello sconosciuto ma alquanto famigliare, dove un’enorme cicatrice fece cadere ogni dubbio su chi fosse quel giovane.
Con stupore della ragazza, l’uomo si accovacciò di fianco a lei, facendosi spazio fra i vari utensili, per poi ammirare con occhio cinico il suo operato sulla parente dinanzi a loro.
“Quindi ti hanno messa ai lavori forzati, eh?” esordì il giovane con voce roca, mentre un sorrisetto sarcastico gli si dipinse sul volto.
Riven non rispose, si limitò ad annuire col capo, tenendo lo sguardo basso.
Era la stessa persona che quel giorno la fece rinsavire dal suo torpore immaginario, colui che le ridiede la sua memoria, lo stesso che la capì nonostante tutte le prove urlassero in suo sfavore.
Non riusciva tutt’ora a comprendere perché uno straniero, invece di odiarla come hanno fatto in molti, l’avesse capita e appoggiata fino alla fine.
Un’altra spada spezzata, si definì lui tempo addietro.
Troppe domande senza risposta, l’unica soluzione per trovarvi una risposta era semplicemente chiedere.
Alzò di scatto il capo, con voce arida e cantilenante gli chiese qualcosa di vitale per lei:
“Perché vaghi ancora senza una meta, ormai il colpevole dell’assassinio dell’anziano Souma è stato trovato e punito...”
Si morse il labbro inferiore appena finì di parlare, rendendosi conto che era una domanda abbastanza campata in aria ed impertinente, tra l’altro aveva sentito solo qualche voce che girava sul suo conto da parte del vecchio Konte.
Il giovane samurai voltò il capo nella sua direzione, tanto quanto bastava da poterla vedere con la coda dell’occhio, seguì una breve ma interminabile pausa prima che iniziò a rispondere in modo vacuo all’esiliata.
“Ci sono crimini che solo tu puoi perdonarti, nessun altro può.”
Si alzò dal pavimento facendosi leva con il braccio sinistro, dandole le spalle.
“Spero che tu possa perdonare te stessa, Riven, prima o poi.”
Riven restò a fissare il ragazzo camminare barcollando appena, fino a che svanì dal suo campo visivo.
Rimasta nuovamente sola, sospirò, guardandosi il palmo delle mani piene di calli e di vernice.
Ci sperava davvero, ci aveva sperato in una redenzione, ma ora che ricordava ogni cosa successa, ogni persona caduta in quella dannata guerra, ogni anima che aveva sottratto al proprio corpo, si chiedeva se davvero meritasse una redenzione.
No, ti sbagli.
Non mi perdonerò mai.
Non mi perdoneranno mai.
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Dyeda
FanfictionLa storia ripercorre le vicende accadute dopo il racconto ufficiale "Confessioni di una lama spezzata" pubblicato dalla riot nel 2018.