▫ capıтoʟo 1 ▫

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Ricordo perfettamente com'era quella gelida mattina di gennaio.
Il sole con la sua flebile luce timida non fendeva quel gelo spesso che presidiava l'esterno. I passanti tremavano, sepolti nei loro cappotti e piumini, camminavano rapidi e veloci, solo pochi decidevano di godersi un caffè o una calda colazione.

Quella domenica mattina ero libera da scuola e, come qualsiasi giovane quasi-diciottenne, la mia voglia di studiare era relativamente poca.
Ero cresciuta tra leccornie e cappuccini, piatti caldi e veloci o stuzzichini da asporto, tutto contornato da numerose opere di cucito che non avrei mai saputo replicare.
La famiglia Kwon da generazioni tramandava l'attività nella pasticceria, servendo i clienti nel miglior modo possibile e io, come perfetta discendente, ero volenterosa di seguire le orme dei miei parenti.

Potevo considerare l'Akai Ito casa mia, sia perché vi abitavo proprio sopra, sia perché non potevo figurarmi in altro posto se non quello. Era impossibile immaginare la mia vita senza i miei genitori, che bisticciavano per la preparazione dei piatti, iniziando potenti e pericolose battaglie all'ultimo mestolo, senza quei clienti che mi conoscevano da quanto ero alta un metro e uno sputo e che ancora oggi mi chiamano Yulinie, e soprattutto, non potevo immaginare un'esistenza senza la dittatrice di famiglia: Nonna Yun, conosciuta come Kwon Yunseo. Era nota per cacciare a padellate tutti coloro che ipotizzavano scelleratezze sul significato del nostro nome.

Appena le parole "Leggenda" e "filo rosso" (ovvero Akai Ito) si univano, Nonna Yun preparava tutta la sua non grazia e attaccava, mossa dall'indignazione.

Era vero che in Giappone esistesse quella leggenda, ma era altrettanto vero che lei avesse voluto cambiare il nome per ciò che amava più fare: cucire.

La pasticceria era piccola, ma familiare: le pareti mostravano un intonaco arancione sbiadito, che si amalgamava all'abbondanza di legno e pietre. L'angolo destro era interamente dedicato alla caffetteria, col bancone di cui si occupava mia madre, il resto pullulava di sedie e soffici divani, illuminati dalle finestre che occupavano due intere pareti. Soltanto guardandosi intorno, però, si comprendeva che Nonna Yun avesse dato anima e cuore a questa pasticceria: ogni quadro, ogni arazzo, ogni cuscino era realizzato a mano da lei con ago e filo e ognuno era firmato con un nastro rosso nell'angolo a destra.

Il nome era dovuto a questo.

I miei genitori mi portarono finalmente con loro col fine di imparare il mestiere pratico, bandendomi ardentemente di infilare il mio naso nel cibo e dandomi il lavoro da cameriera.
Cosa che odiavo fare.

Per fortuna, però, erano davvero pochi i clienti sconosciuti, ormai quasi tutti erano parte della famiglia. C'era Yu Suyeon, la parrucchiera dall'altro lato della strada, Kang Minkyu, vecchio camionista, An Jaejun, ingegnere presso un piccolo studiolo, sempre nei dintorni, e molti altri.

Dare del lei era un optional la maggior parte delle volte.

Esaltata per iniziare a lavorare, cominciai a raccattare i primi ordini: chi voleva un cornetto con un caffè americano, chi prediligeva un espresso, chi ordinava talmente tanti dolci da pretendere il diabete in omaggio... insomma, non ci si annoiava certamente. La clientela era molto ricercata: infatti servivamo una colazione di tipo occidentale, italiano principalmente. Anni fa i miei genitori andarono in Italia e si innamorarono di quelle prelibatezze, non passò molto prima che cambiassero il menù.

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