▫ capıтoʟo 0 ▫

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In tribunale l'aria era elettricità allo stato puro. I presenti, che fossero grandi avvocati o terribili giudici, non poterono scampare all'agitazione.

Quello era, forse, il più grande processo dall'alba dei tempi.

Molti legali conoscevano a memoria la fedina penale del suddetto colpevole, una lista così lunga che non aveva mai fine, ogni lettura rivelava un dettaglio mancato o un omicidio più complesso.

La prima volta che misero mano su tale documento, nessuno sopravvisse allo sconvolgimento. Quei massacri erano una tela di ragno infinita, si smuoveva un filo e ne appariva un altro, più nascosto e forviante.

Lui li chiamava test.

Test psicologici, scommesse, in altri termini.

Fu incredibile averlo là davanti.

Era bendato, ammanettato e in ginocchio davanti al giudice, ma non perdeva quell'aria di sfida.

Vigeva l'ordine di non togliergli assolutamente la benda, dovevano nascondersi da quello sguardo ipnotizzatore. Però, fecero l'errore di lasciargli libertà di parola.

In meno di un minuto, chiunque pendeva dalle sue labbra.

«Una scommessa, signor giudice, una sola e semplice scommessa» rimarcò con voce melliflua. «Se vince lei, andrò in carcere a vita, accetterò qualsiasi condanna. Ma se vinco io-» il suo ghigno si ampliò, «Sarò libero, per sempre».

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«Ne sei proprio sicuro?» chiese il giovane estremamente dubbioso, osservava quelle carte con particolare attenzione, ognuna riportava vita, morte e miracoli di tutte e dieci le persone. Tre coppie in particolare rientravano in un target di pericolo. «Questi saranno problematici» e indicò i sei individui, «Troppo palesi».

Ma colui che là dentro comandava non la pensava ugualmente.
Rigirò tra le dita una penna, la plastica sbatteva in un rumoroso ticchettio contro le sue nocche, «È proprio questo il trucco» mormorò. La bic fu afferrata al volo da quelle mani affusolate e puntata in aria per tracciare una circonferenza sopra quei sei. «Diamo a quei paladini della giustizia ciò che vogliono, illudiamoli con una falsa vittoria» la sua voce si fomentò, «Per poi strappargliela di mano».

Il sottoposto, che lavorava con lui da anni ormai, era comunque incerto. Quella era l'ultima partita, non potevano perderla.
«La coppia uno è comunque troppo-» non riuscì a definire quel rapporto con parole abbastanza funzionali.

E trovò l'altro incredibilmente d'accordo. «Saranno enormemente difficili da sottomettere» sollevò le due carte, osservando i visi gioviali dei due giovani, «Dovrai darti molto da fare, questa volta».

«Farò del mio meglio» affermò dunque egli, capendo che la discussione fosse a senso unico.
Non avrebbe cambiato idea.

«Bene» il capo fece cadere le carte sulla scrivania, sopra le altre. «Molto bene» lesse nuovamente i dati sopra indicati con caratteri cubitali per niente eleganti. «Auguriamo loro il meglio per altri cinque anni, poi...» ghignò con pura perfidia, quei nomi gli rimbombano in testa come un eco.

Kwon Siyul e Park Jimin

Kwon Siyul e Park Jimin

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_ShiroYasha___
_vbtshiroyasha___

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