PARANOIA

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"Hey, perdente!". Urlò un ragazzo dai cappelli biondi e gli occhi rubini. Teneva in una morsa stretta un collo magro e piuttosto pallido.

"Non mi rispondi? Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?". Il biondo iniziò a ridere sadicamente, sbattendo per l'ennesima volta la testa della sua vittima contro il muro fuori dalla scuola.

"Quanto sei patetica, non riesci nemmeno a muovere un muscolo." Un ghigno gli comparve sul volto, mentre stritolava sempre più quel collo così piccolo in confronto alla sua mano.

Un sussurro a malapena udibile uscì finalmente dalla bocca della ragazza appesa al muro.

"T-ti prego, n-non respiro."

"Sai quanto me ne frega." Quegli occhi rossi cosí intensi e in quel momento così intrisi di rabbia e follia, facevano quasi raggelare il sangue nelle vene.

In un disperato tentativo di liberarsi da quella stretta e inalare un pò d'ossigeno, la ragazza afferrò la mano del biondo cercando di staccarsela dal collo, ma ovviamente non ottenne alcun risultato. Riusciva a percepire il cuore rallentare pian piano nel petto, i polmoni consumare gli ultimi rimasugli di ossigeno, la vista farsi sempre più annebbiata; il ragazzo di fronte a lei ormai non era altro che una macchia informe e sfuocata.

Pochi istanti dopo, uno schianto al suolo squarciò il silenzio, seguito da dei passi regolari che si allontanavano con andatura tranquilla.

La ragazza restò a terra immobile, il respiro irregolare. Aspettò qualche minuto prima di provare a muovere una mano e portarla tremante al collo. Appena le dita sfiorarono quel lembo di pelle, ormai tinto di un rosso violaceo, un sussulto lasciò le sue labbra. Non era la prima volta che si ritrovava in una situazione simile. Quel ragazzo ce l'aveva con lei e non sapeva nemmeno il perché. Non lo conosceva nemmeno, se non per il nome; andavano solo nella stessa scuola. Non le alzava sempre le mani addosso come era successo poco fa, spesso preferiva tirarle frecciatine, prenderla in giro o deriderla, ma i giorni in cui era particolarmente nervoso o arrabbiato, il suo destino era già segnato. Niente gli impediva di sfogare la rabbia su di lei in modo violento sul retro della scuola, lontano da occhi indesiderati. Non importava quanto lo supplicasse, a lui non interessava, a quegli occhi cremisi che popolavano i suoi peggior incubi, non interessava.

Sentì qualcosa di umido agli angoli degli occhi scorrere giù fino alle orecchie, tappandole parzialmente: stava piangendo, di nuovo. "Bakugou ha ragione, sono una perdente."

Si fece forza. Pian piano iniziò a muovere le gambe e a tirarsi in piedi sfruttando l'appoggio del muro. Inizialmente perse l'equilibrio a causa delle ginocchia poco stabili, finendo di nuovo a terra. Poi, con un po' più di determinazione, riuscì a risollevarsi e a camminare traballante verso casa.

Arrivata davanti all'entrata, inserí le chiavi nella serratura e aprí la porta. Varcò l'ingresso di quella casa, ormai triste e vuota, e si tolse subito le scarpe lasciandole sull'uscio. Sulla mensola poco più avanti, vi si poteva scorgere una foto incorniciata d'argento; tre figure sorridenti facevano capolino su di essa, l'unico pezzetto di felicità presente in tutta la stanza. "Già, voi non ci siete più".

Scosse la testa distraendosi da quel pensiero triste e si diresse in bagno dolorante. Osservandosi allo specchio, un'espressione schifata le si dipinse sul viso non appena si rese conto di quanto fosse inguardabile, e quell'ematoma violaceo sul collo, che faceva a pugni con il candore del resto del corpo, non migliorava certamente la situazione. I capelli erano tutti scompigliati, i vestiti sgualciti, dei graffi le rigavano il viso pallido: era un completo disastro.

Paranoia - (Oneshot Ray x Reader) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora