Capitolo X

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A differenza di quanto dice la credenza popolare, i sogni non hanno un significato universale. Il nostro inconscio tiene attivo il cervello quando dormiamo, pescando dal bacino della nostra memoria per creare scenari diversi e, molto spesso, assurdi. Così facendo, la casa dell'infanzia prende le sembianze di un astronave, ritrovi amicizie passate e conosci posti che di persona non hai mai visto. L'unico significato che può avere un sogno è a livello umorale; se si è particolarmente stressati, ad esempio, gli scenari che ti presenterà il tuo inconscio saranno collegati, in modo palese o latente, al motivo del disagio che si ha nella vita di tutti i giorni.

Queste nozioni Lexie le ricordò solo in tarda mattinata, dopo essersi svegliata da un sonno senza sogni per via dell'anestesia ed essersi appisolata nuovamente dopo essere stata controllata da un infermiere, cadendo nel lato più oscuro del suo subconscio. Aerei che precipitano, case diroccate e ladri armati di coltelli è il poco che riusciva a ricordare. Fortunatamente, pensò, i sogni si depositano nella memoria a breve termine, scomparendo poco dopo il risveglio.

Aveva finalmente rivisto i suoi genitori, che l'avevano avvolta in un abbraccio disperato. Suzie, Joe e Matt vennero poco dopo, portandole un mazzo di fiori e un muffin al cioccolato.

«Peonie, le tue preferite» disse Suzie, sistemando i fiori sul davanzale della finestra della sua stanza di ospedale.

«Con le nocciole, il tuo preferito» le fece il verso Joe, passando alla convalescente un fagotto con dentro uno dei suoi dolci preferiti.

Poi era arrivato il turno dei federali. Nonostante Eddie fosse morto nella sparatoria, dovevano comunque avere la deposizione della sua ultima vittima. I due agenti che vennero a trovarla si presentarono come Aaron Hotchner e Jennifer Jareau. Furono molto gentili con lei, non forzando la mano su quei ricordi troppo dolorosi da rivivere. Non trovò il coraggio di chiedere loro di Spencer.

Venne a trovarla persino Marcus, con cui passò uno splendido quarto d'ora. Non avevano mai parlato così tanto e scoprì con sorpresa quanto fosse piacevole la sua compagnia. Non avrebbe mai provato quello che provava lui per lei, ma sapeva che presto gli sarebbe passata.

L'orario delle visite finì nel primo pomeriggio e lei si ritrovò sollevata, non dovendo più ostentare un sorriso che non sentiva appartenerle per non far preoccupare gli altri. Si dispiacque solo perché l'unica persona che avrebbe voluto vedere non si era fatta viva.

Spencer odiava ammettere che i suoi colleghi avessero ragione. Non era andato a trovare Lexie neanche una volta da quando era stata ricoverata e un po' se ne pentiva. Ma non riusciva a non pensare che per colpa sua, per un suo errore, Lexie stava per morire.

Derek, invece, non sopportava vedere il suo amico commiserarsi e con uno stratagemma lo caricò in macchina.

«Non potevi chiedere a qualcun altro di aiutarti a prendere il divano nuovo? Tipo qualcuno non pelleossa» disse indicandosi il corpo.
Derek non distolse lo sguardo dalla strada, ma sorrise alle parole dell'amico «Tipo chi?»

«Rossi sarebbe stata una scelta migliore di me» prese in giro il collega più anziano, che davvero sarebbe stato più utile di lui in quella situazione.

Morgan fermò la macchina e fece per scendere seguito dal collega.

«Aspetta un attimo» disse il più giovane riconoscendo il parcheggio dell'ospedale. Morgan gli diede una pacca sulla spalla e risalì in macchina, lasciandolo lì come uno stoccafisso.

Si era fatto ingannare dal suo migliore amico, ma, dopo un primo momento di confusione, si convinse che forse era meglio così. Fece un respiro profondo e si avviò verso l'entrata principale della struttura.

Lexie iniziava a rimpiangere la compagnia che aveva ricevuto nel corso della giornata.

L'orario di visita dovrebbero estenderlo di più, cosa posso fare io adesso fino all'ora di cena?, pensò.

Finito di pronunciare quel pensiero sentì bussare alla sua porta.

«Avanti» un sorriso, uno vero, comparve sul suo viso appena una chioma castana fece capolino nella sua visuale.

«L'orario delle visite è finito» disse senza riuscire a togliersi quel sorriso dalla faccia.

In tutta risposta l'uomo mostrò il distintivo che non aveva ancora posato in tasca.

«Pensavo non saresti venuto»

«Lo credevo anch'io» disse con sincerità «ma un amico mi ha fatto capire che non bisogna perdere mai tempo»

«Beh ringrazia il tuo amico da parte mia» abbassò lo sguardo «Ascolta, mi dispiace averti lasciato quel messaggio in segreteria. Ero spaventata e non sapevo chi chiamare...»

«Non devi scusarti, Lexie. Ci hai fornito metà del suo modus operandi. Se ti abbiamo trovato così in fretta è solo merito tuo.» cercò di consolarla, poggiando la sua mano su quella di lei.

«Sai, avevo intenzione di chiamarti il giorno dopo il nostro incontro. Scusa se mi sono fatta attendere» disse strappando un sorriso al giovane.

Parlarono di nuovo, di tutto, forse più del necessario, come se quei giorni tra il loro incontro e quel momento non fossero mai esistiti. Quando un'infermiera venne per richiamare Spencer, i due si scambiarono un sorriso imbarazzato.

«Per il discorso di prima: puoi chiamarmi in qualunque momento, per qualsiasi motivo» disse, non senza un po' di imbarazzo, il giovane dottore.

Imboccò la via di uscita, salutando un'ultima volta la ragazza.

Quando fu fuori dall'ospedale sentì il suo telefono vibrare nella tasca dei pantaloni.

«Pronto?» chiese confuso dal numero sconosciuto che gli era comparso sullo schermo.

«Ciao, ti chiamo per un qualsiasi motivo» la voce ilare della ragazza lo fece sorridere.

Andò a trovarla per tutti i giorni della convalescenza, persino Suzie, piuttosto restia all'inizio alla presenza dell'uomo nella vita dell'amica, si abituò a lui iniziando a prenderlo in giro in maniera bonaria come era solita fare con i suoi amici.

Fisicamente Lexie riuscì a riprendersi, psicologicamente sapeva che la strada sarebbe stata lunga e tortuosa, ma in quel momento non le importava.

Tutto andava finalmente bene.

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