CAPITOLO I

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Il profumo del caffè invase le sue narici, riportandolo allo stato di veglia, socchiuse un occhio, di fronte a lui, il viso conosciuto di una bella donna, era a livello del suo.

«Non sono a casa mia... mi sono addormentato ieri sera. Perché non mi hai svegliato?» Silvia gli sorrise, come solo lei sapeva fare.

«Quando sono tornata dormivi, le bimbe erano a letto, non me la sono sentita di mandarti a casa a quell'ora.» Giovanni si appoggiò su un gomito, con l'altra mano prese la tazzina che Silvia gli stava porgendo.

«Datti una mossa, tra mezz'ora devi essere al lavoro Jo.» Jo si alzò velocemente, precipitandosi in bagno, mentre Silvia svegliava le bambine.

«Oddio! Arriverò in ritardo, devo andare a prendere la divisa pulita a casa.» Jo afferrò frettolosamente i suoi vestiti, mentre Silvia, con una divisa pulita, lo aspettava davanti alla porta.

«Non mi dire che... sei il mio angelo custode donna!» Silvia scoppiò a ridere.

«Ci vediamo tra un'ora.» Jo si precipitò in strada. Da lì, la distanza per arrivare al lavoro era davvero poca, ma lui era abituato ad arrivare al lavoro un po' prima, lo aiutava a organizzarsi meglio. Jo era un uomo di quasi quarant'anni, anche se ne dimostrava meno, ma la sua vita, negli ultimi anni, era diventata quella di un cinquantenne. Si svegliava, andava al lavoro, tornava a casa, televisione poi a dormire. Qualche serata con gli amici, giusto un bicchiere o al massimo una pizza. A volte, come la sera precedente, dava una mano alla sua più cara amica, facendole da babysitter. Le poche volte che anche lei usciva. Quattro anni prima però, la sua vita non era così. Era l'anima delle feste, era un uomo che poteva permettersi di scegliere da chi farsi corteggiare. Avrebbe potuto ancora permetterselo, semplicemente non gli interessava, non voleva più che nessuno gli si avvicinasse, se non per amicizia. Perciò si era creato la sua confort zone, nella quale si muoveva sicuro. Dopo quattro anni, finalmente, poteva dire che le sue ferite si erano chiuse, se non sanate. Suo malgrado, questo ancora non gli permetteva di guardare oltre, la paura di soffrire ancora era, per il momento, più forte della voglia di rimettersi in gioco. Questo pensava in quella giornata di tarda primavera, mentre si recava al lavoro, ma il destino stava per fargli il regalo inaspettato che avrebbe cambiato la sua vita.

Stefano, quella mattina, aveva un incontro con un fornitore. Da un anno era diventato il responsabile del reparto circuiti elettrici e questo faceva parte dei suoi compiti. Come quello di offrire un pasto decente ai suoi ospiti. Gli avevano parlato bene di una mensa e anche se si trovava distante dal suo posto di lavoro, decise di portarlo lì per pranzare.

«Non ti porto al ristorante Sandro, mi hanno detto che alla mensa "Saltimbocca" si mangia meglio che in un ristorante stellato, dicono che ci sia un cuoco con i controfiocchi.» un quarto d'ora dopo erano nel parcheggio della mensa. Era vicina a un centro commerciale, tutto sommato un posto anonimo, ma dentro era davvero accogliente. Presero i vassoi e si misero in fila. Stefano era affamato e i profumi che provenivano da dietro il banco erano davvero invitanti, avrebbe fatto uno strappo, visto che stava andando in palestra regolarmente.

«Salve, cosa posso servirle?» la ragazza dietro il banco aveva un sorriso davvero meraviglioso, metteva allegria.

«Quella è carbonara?» la ragazza annuì, preparandogli una porzione generosa.

«JO, PUOI VENIRE A SERVIRE I SECONDI?» Gridò Silvia rivolta alla cucina. Stefano prese il piatto posandolo sul vassoio, spostandosi verso i secondi. Alzò lo sguardo, di fronte a lui c'era un uomo. Tutto intorno a lui svanì, c'era solo quel viso, fu come tornare bambino e trovare sotto l'albero il regalo che non ti saresti mai aspettato.

«Che cosa posso servirle, signore? Oggi abbiamo delle buonissime costolette di agnello con semi di Sesamo.» era chinato, stava sistemando i piatti sul piano riscaldato, in attesa di ricevere l'ordine.

«Mi ha incuriosito, grazie, prenderò quelle.» Jo alzò gli occhi, il cuore gli si fermò per un istante, quella voce, meravigliosamente profonda, era attaccata a un corpo praticamente perfetto e a un viso così dannatamente "maschio", che il sangue gli scese direttamente in basso. Si schiarì la voce, riempiendogli il piatto, forse più del necessario.

«Posso servirle un contorno?» gli chiese schiarendosi la voce, che era salita di due toni. I due occhi più belli che avesse mai incontrato nella sua vita, le labbra più sfacciatamente sensuali che avesse mai visto!

«No, no, credo che questo possa bastare.» gli porse il piatto, il ragazzo gli sorrise, la stanza s'illuminò. Per la prima volta nella sua vita, Stefano, aveva perso la testa all'istante per qualcuno, mai gli era capitato. Si sedette con il suo ospite, in un tavolo poco distante dal banco, continuando a guardarlo sottecchi fino al momento di andarsene. Jo rimase al banco, facendo la medesima cosa, fino a che fu costretto a tornare in cucina per verificare che il lavoro proseguisse, e ne avrebbe volentieri fatto a meno. Entrambi, per tutto il resto del giorno, non furono più in grado di concentrarsi nel loro lavoro. Stefano sbagliò per tre volte consecutive un disegno importante, e Jo si bruciò una mano afferrando una pentola bollente, dimenticandosi di usare le protezioni.

La mano gli faceva un male infernale, diede le chiavi del locale a Silvia, pregandola di chiudere al suo posto e andò a casa. Si precipitò sotto la doccia, stando ben attento a non bagnare la mano ferita. Finita la doccia, si guardò allo specchio, quello che vedeva di fronte ai suoi occhi non era male, nulla a che vedere con il pezzo di manzo che era stato fino a dieci anni prima ma, anche ora, era un bel bocconcino. Certamente non era all'altezza di quella perfetta copia di dio greco che gli era spuntata davanti quella mattina. Scosse la testa, sorridendo ironico, si stupì dei pensieri lascivi che aveva avuto per tutta la giornata su quel ragazzo, perché di questo si trattava, quello era un ragazzo, avrà avuto almeno dieci anni in meno di lui, "non arriva a trent'anni, Jo!", pensò. Era bello però che, dopo tanto tempo, qualcuno avesse risvegliato in lui un desiderio così potente. Allo stesso tempo, s'impose di rimanere con i piedi ben fissati al terreno. "Analizziamo le cose. Numero uno, è troppo giovane per te. Numero due, è sicuramente etero. Numero tre, fosse anche gay, di sicuro non si fuma neppure un vecchietto come te, quando può avere dei bocconcini di primo pelo!", decise di andare a guardare un po' di televisione, scelse un film, ma alla fine non avrebbe saputo neppure ripetere un pezzo della trama. Andò a dormire, con stampati nella sua mente quei due grandi occhi verdi.

Anche Stefano andò a casa presto, tanto non sarebbe riuscito a combinare nulla. Si cucinò qualcosa velocemente, nulla che fosse all'altezza di ciò che aveva mangiato quel mezzogiorno, pensò. Era tutto vero quello che gli avevano raccontato su quella mensa, ma si erano dimenticati di dirgli che il cuoco, oltre a essere bravo, era anche bellissimo. Non gli erano mai piaciuti i biondi, ancora meno quelli con i capelli lunghi ma, evidentemente, non ne aveva mai conosciuti di così belli. La pelle di quel ragazzo era bianchissima, s'immaginava che al tocco fosse come seta. Jo, così l'aveva sentito chiamare, probabilmente il suo nome era Giovanni. Una cosa era certa, ci avrebbe scommesso uno stipendio, quel ragazzo era gay. Ma non era un ragazzo, era un uomo. Stefano non aveva mai avuto problemi a farsi avanti con i suoi coetanei, se gli piacevano, aveva avuto molte avventure. Anche quella sera aveva un appuntamento con un tipetto niente male, l'aveva conosciuto qualche sera prima, facilmente la serata sarebbe finita dentro le lenzuola nella sua stanza, ma come poteva avvicinarsi a Jo? Non ne aveva la minima idea, non era mai stato con uno più grande di lui. A questo si aggiungeva che, quello che aveva sentito guardandolo, non era andato solo dritto sotto la sua cintura, ma più su, al suo cuore. Non avrebbe saputo spiegarlo, ma aveva letto dentro quegli occhi azzurri, qualcosa che gli aveva fatto venire immediatamente la voglia di stringerlo a sé, un senso di protezione. Proprio non gli andava di uscire, chiamò il ragazzo con cui aveva l'appuntamento, fingendo di stare male. Una cosa era sicura, dal giorno successivo, quella sarebbe diventata "la sua mensa".

Jo, la mattina successiva, cercò di non pensare più a quanto era accaduto il giorno prima, concentrandosi nel lavoro.

«Jo, ce la fai? Hai bisogno di una mano?» Jo aveva fasciato la mano, coprendola con un guanto in lattice.

«Tranquilla Silvia, sembra più grave di quello che è. Chiamami se hai bisogno al banco, Maria non rientra neanche oggi.» era quasi ora di aprire la mensa, mezzogiorno in punto. Era giovedì, uno dei giorni più affollati della settimana. Come aveva previsto, Silvia lo aveva chiamato quasi subito. Mentre stava servendo un cliente, alzando lo sguardo, lo vide entrare, gli mancò il fiato. Lo vide mettersi in fila, i suoi occhi registravano ogni suo gesto, la mano che metteva la tovaglietta di carta sul vassoio, che poi prendeva il bicchiere e le posate, sentiva solo il battito del suo cuore che accompagnava quei gesti, come una musica di sottofondo, "cos'hai dodici anni Jo?!". Non voleva che lui si accorgesse che lo stava guardando, che pensasse di poterci provare con lui, o che lo potesse deridere. Stefano, invece, si era accorto eccome che Jo lo guardava, come si era accorto che cercava di farlo in maniera discreta. A mano a mano che si avvicinava alla postazione dei primi, il suo cuore accelerava.

«Cosa posso servirle, signore?» Stefano si portò la mano al mento, facendo finta di pensare a cosa sarebbe stato di suo gusto.

«Posso consigliarle pasta cacio e pepe?» Stefano alzò gli occhi verso Jo e gli sorrise, una scarica elettrica attraversò il corpo di Jo.

«Me li preparava sempre mia madre, è una vita che non li mangio... volentieri.» "ma che cazzo sto dicendo, la mamma?!" Stefano si stava fustigando internamente, per non essere stato in grado di tirare fuori una frase minimamente più intelligente. Jo sorrise, cercando di non darlo a vedere, e gli riempì il piatto. Mentre glielo porgeva, Stefano vide che la mano con cui reggeva il piatto, aveva una grande fasciatura, ed era coperta da un guanto. Di riflesso, prese il piatto con la mano sinistra, usando la destra per trattenere la mano ferita di Jo.

«Non dovrebbe lavorare, con una mano in queste condizioni...» il gesto sorprese Jo, che si rabbuiò, scansando la mano di Stefano se la portò vicina al petto.

«Non si preoccupi, è solo una protezione, la ferita non è grave.» dietro a Stefano la fila si stava allungando, non poteva restare oltre, ma l'incanto del viso arrossato di vergogna di Jo, lo avrebbe accompagnato per il resto di quella giornata. Si sedette in un punto dal quale poteva continuare a guardarlo. Jo pensava di impazzire, averlo di fronte e dover fare finta di nulla.

Quella sera Jo sentiva che sarebbe esploso. Il suo umore un momento saliva alle stelle e il successivo andava in cantina. Oddio, quel tipo gli piaceva davvero, era così sexy, così maschio, così dannatamente giovane e in forma! E il gesto che aveva fatto! Era stato così "protettivo", che non poteva fare altro che illuderlo. Illuderlo poi di cosa? Certo, lui non stava cercando la storia di una notte anzi, fino alla comparsa di quel bel tipetto, lui proprio non stava cercando nulla! Quella notte si rigirò nel letto, quasi fino a mattina, torturandosi nelle sue insicurezze.

Stefano invece, sentiva di essere riuscito a provocare una reazione positiva in quel bellissimo esemplare di maschio. Chiuse gli occhi, visualizzò il suo viso che arrossiva, la sua mente lo immaginò sotto di lui mentre, con lo stesso rossore in volto, gli infilava le mani dietro la nuca attirandolo a sé. Le labbra che mangiavano le sue, in un groviglio di lingue. Prima che potesse andare oltre venne, come non gli succedeva da quando era adolescente, si era innamorato, era innamorato di Jo.



Copyright © 2019 Simona Mazzoni

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