Credo di essere il topo

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"Cosa vuoi da me?"
Sei tu a chiedermelo? Sì è tutta colpa del vino. Forse era cattivo. Un alcolico può esserlo?
Stoppo le domande. Tanto, per ognuna che me ne pongo, ne nascono altre cento.
Cerco a tastoni la caffettiera. Io sono da moka. Mi piace il profumo, l'aroma che si diffonde insieme al borbottio.
Mi gira la testa e questo buio non mi aiuta.
Per un attimo mi sento in trappola.
Finalmente, dovrei dire, ma lo scaccio.
La tristezza ritorna. Mi rendo conto che dovrei urlare, cercare di scappare, reagire. È tutto troppo reale per essere colpa di un buon rosso.
Sì, perché alla fine lo so che il vino non era cattivo.
Un riverbero mi raggiunge. È basso, screziato d'arancio. Proviene dalla sala. Non mi concede di mettere a fuoco i dettagli, ma mi disegna le forme, mi indica le distanze.
"Grazie", mormoro quasi pentita di averlo detto, mentre lascio cadere la polvere scura dentro il filtro.
Sei di nuovo qui con me.
Mi sei venuto incontro, mi ha fatto un regalo accendendo un lume e allora perché mi sento messa all'angolo?
Ho sempre pensato di essere un gatto. Scaltro, elegante, leggiadro. Pronto a schivare qualunque intoppo. E invece, con te, scopro di essere un topo, ma non quello che fa scappare l'elefante. Bensì l'esserino a un passo dalla trappola. Allungo la zampetta e questa scatta.
Sobbalzo. Stai avvitando la macchinetta al mio fianco. Quando l'hai presa?
"Stai pensando troppo. Divaghi."
"Cerco risposte che tu non mi dai."
Ho lo sguardo basso. Non riesco a sollevarlo. La luce potrebbe essere sufficiente per permettermi di vederti?
Lo faccio. Seguo la linea della tua gamba, del tuo braccio. La spalla è lì, ampia, giusta per affondarci le dita. Risalgo sul collo, lungo la mandibola delineata, il mento deciso, le tue labbra e... ti volti. Ti allontani.
Solo quando stringo le tue dita mi accorgo del mio gesto.
Dio come è bello questo contatto.
Giochi con la mia pelle. Cerchi leggeri che diventano linee. Un andamento morbido a tratti deciso.
È solo una stretta di mano. Una sciocca presa fatta con il desiderio di trattenerti.
Eppure la mia pelle si fa rovente. Si tende come corda di violino in attesa che tu la pizzichi. Il cuore pompa a tutta velocità. Dimentico il mal di testa, ho un subbuglio nelle viscere che temo di svenire.
Ci si può eccitare solo per un fugace contatto?
Perché l'attimo dopo, il vuoto prende il tuo posto, l'aria solletica il mio palmo ed io mi sento persa.
"Ti ho detto cosa fare. Scrivimi."
Mi sale il sangue al cervello. Reazione inversa di quel mix di piacere mutato in delusione. Poggio i pugni sul piano, guardando la sagoma della caffettiera, abbandonata anch'essa senza compiere il suo destino.
"Non voglio scriverti. Non voglio fare questo gioco."
"Non c'è problema."
La tua voce non è una carezza. Non è una frustata. È indifferente, tendente alla supponenza.
"Beh, sai che c'è? Ma vaffanculo!"
Adesso basta. Questa è casa mia e chiunque tu sia, sei fuori.
La caffetteria che sbatte sul fornello mi fa saltare all'indietro. Mi scontro contro il tuo petto.
"Attenta. Potresti farti male."
Non rispondo a quella che suona proprio come una minaccia.
Accendi il gas e fisso le tue mani. Forse è il gioco delle fiammelle, ma sono così virili, così piene di curve e spigoli.
Se fossi un pittore le dipingerei. No, mi ricordano il David di Michelangelo. Sì, se fossi uno scultore lavorerei il marmo per poterle imprimere in eterno.
"Non sei nulla di tutto questo, ma hai una pagina bianca che ancora attende che tu la macchi con le parole che non mi hai detto."
Ma come cavolo fai a leggermi nel pensiero? Mi volto, dimenticando l'azione poco piacevole di qualche istante fa, ma tu mi dai le spalle.
"Prendi il caffè. Ti aspetto in sala."
Sì, lo vedo quel topolino. Poteva fuggire, poteva mettersi in salvo, ma ha scelto di tirare via il pezzo di formaggio dalla trappola.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 17, 2021 ⏰

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