Cap.2 Leo

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Ciao a tutti!
Mi chiamo Leo, e sono un quattordicenne qualsiasi, insomma, ho amici, scherzo, rido, prendo fuoco e mi diverto come tutti costruendo navi da guerra e draghi di bronzo. Beh okay. Nella mia testa non suonava così strano. La maggior parte di voi si starà chiedendo "oh perbacco! Perché mai questo Leo prende fuoco e costruisce codesti marchingegni?" La risposta é una. Avete presente un quattordicenne normale? Ecco. Io non sono così. Se le vostre testoline sono ben ventilate dovreste averlo capito da soli, spero. Comunque, quattordici -quasi quindici- anni fa, il Dio del fuoco Efesto incontrò una donna. Era una donna forte, bella, determinata e intelligente. Si chiamava Esperanza Valdez. Era mia madre. Un po' di mesi dopo, nacque un piccolo bebè ispanico riccioluto, e venne chiamato Leo Valdez, che sarei io. Qualche anno dopo, però, provocai un incidente che mi segnò per sempre. Ho il dono del fuoco, e riesco ad attizzarlo e controllarlo. Forse non ancora del tutto, ma da bambino ero davvero fuori strada. Fatto sta che diedi fuoco ad una fabbrica, e mia madre lavorava là. La chiusi dentro, involontariamente. Lei morì per colpa mia, e ancora oggi i sensi di colpa mi consumano. Nonostante tutto però...sopporto e supporto. Spesso cerco di tirare su il morale di chi non è felice, mentre dentro sono messo peggio di loro. Sorrido spesso, perché finora il mio sorriso é la via migliore per rimanere a galla nel mare delle mie tempestose emozioni. Va bene. Okay, ora vi ho detto le cose tristi e struggenti, potrò passare ad altro. Amici? Per ora sono circa una mezza dozzina. Certo starete pensando come me "ma perché un ragazzo così profondo, bello e simpatico come Leo ha così pochi amici?" Ehi amici, quando trovate una risposta, fatemi un fischio, e vi ascolterò.
Però poi c'é anche Calipso. Avete presente la ninfa immortale condannata a vivere per sempre da sola sull'isola di Ogigia? Ecco. Lei. É la mia ragazza, anche se non lo ammetterà mai. E mai, per gli immortali é davvero moolto tempo. Ma sto divagando. Un giorno mi lanciarono sulla sua isola. Sì, sì, okay lo ammetto, la mia massa corporea é all'incirca equivalente a quella di un furetto, e per il lanciatore non fu difficile. Comunque è un'altra storia. Eravamo rimasti a me seminudo a causa del mio simpatico dono focoso,in fondo a un fosso provocato dal brusco impatto sulla sabbia, con una ninfa immortale tutto pepe che mi scrutava dall'alto abbastanza sorpresa è piena di disprezzo. Tempo dopo riuscì a uscire dal fosso, farmi dare dei vestiti ignifughi da Calipso, farmi insultare da Calipso, progettare una zattera che si rivelò inutile e farmi insultare da Calipso. Fu solo quando dovetti andare via che feci colpo. Ero già salito sulla zattera costruita da Ulisse, quando mi prese per la maglietta e mi baciò. Temevo di prendere fuoco e di spaventarla, ma per fortuna papà fu buono con me. Mi insultó un'ultima volta per togliersi lo sfizio, e mi lasció partire. Ma io so che tornerò da lei. Devo farlo.

Ho giurato sullo Stige.

Cuore di tenebre e occhi di fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora