"La prima piova d'agosto,
desfröida la tera e l bosco."I cristalli d'iride la trafissero in pieno cuore, aculei inesorabili d'empireo e piovasco. Abeti rossi e aceri protesero invano le radici per cullarla sotto la superficie dell'acqua, le fronde disperse dalla follia del vento feroce.
Piangeva, Ondina, lacrime d'arcobaleno, dello stesso colore dei suoi occhi. Le sue chiome azzurre si scioglievano a poco a poco nel lago, disseminandosi come foglie cadenti d'autunno. Tese le dita mentre precipitava verso il fondo, ma vide le proprie falangi tramutarsi in policromi ciottoli, trascinati alla riva dalle sotterranee correnti.
«Ondina, Ondina mia.»
Non comprendeva cosa le stesse accadendo, non conosceva il senso della fine, né capiva come un'immortale potesse cessare d'esistere. Schiuse le labbra, ma non riuscì a emettere alcuna nota e solo allora intese che il silenzio avrebbe cantato per sempre al suo posto, rasserenando gli animi degli affaticati viandanti che attraversavano il Passo di Costalunga. Era sbocciata dai segreti brusii dei foreste e dai diamanti di lucenti sorgenti un giorno d'estate, quando la prima pioggia d'agosto rinfrescava il suolo e il bosco.
«Ondina mia, perché l'hai fatto? Perché hai riposto la tua fiducia nell'infido mortale?»
Udì la voce lacerata di Merisane riecheggiare più alta di tutti gli alberi della valle, sopraffatta dal dispiacere e dall'amaro disinganno. Ondina avrebbe voluto spiegarle ogni cosa, ma non riusciva più a esprimere con il bubolare dei gufi il suo pensiero.
Amata sarai sempre, mia vivéna, mormorò addolorata la regina. Ti ho sfamata con la mia linfa, ho plasmato il tuo incarnato con la mia resina, per preservarti dall'erodere dei millenni.
Ondina percepì aghi d'oro, profumati di larice, inabissarsi con lei per offrirle il loro ultimo, magnifico dono: una leggera e odorosa carezza. Per la prima volta, la vivéna sentì il freddo filtrare sotto la sua pelle d'ambra e realizzò cosa intendesse dirle Masaré quando le spiegava cosa provasse un essere umano quando toccava la neve con le nude mani. Conobbe anche cosa fossero le indecifrabili emozioni, che il giovane tanto si era affannato a descriverle nei loro pomeriggi trascorsi sulle sponde.
Dormi, Ondina le sussurrarono con delicatezza le ericacee rosate dalla riva. Non hai conosciuto dolore nel nascere, non nutrirne ora per morire.
Ma perché Masaré non le aveva riferito tutta la verità? Perché non le aveva rivelato anche che per amore ci si può annullare?
Latemar la osservava frammentarsi nelle acque, impassibile e saldo nel vortice anomalo di rami e favonio che egli stesso aveva infiammato. Con le mani continuò a sdrucire brandelli d'iride, facendoli scorrere tra le dita come una corda. I frammenti precipitarono cangianti nel lago, mischiandosi alle gocce delle plumbee nubi alpine.
Perché non voleva? Perché non bramava d'essere sua, al pari di tutte le altre? Rifuggiva via con codardia, ogni qualvolta tentava di avvicinarla. Ma ora non sarebbe più stata in grado di scappare. Avrebbe reso se stesso e lei davvero perenni, gli uomini avrebbero perpetuato il mito del loro imperituro amore. Chiuse gli occhi e lasciò che i propri piedi, scalzi, affondassero nella fanghiglia. Spezzò gli ultimi frammenti di arcobaleno, poi tese le braccia e alzò il viso verso il cielo, mentre i singhiozzi della terra presero a divenire sempre più brutali. Un clangore assordante si levò dal sottosuolo, e le rocce presero a essere partorite dalle viscere del globo, dal suo ventre, dalle mani. Infine, monti neonati si stagliarono, con sopraffina eleganza, sulle acque color dell'arcobaleno.
Ora sarò in grado di guardarla in eterno, non potrà mai più sfuggirmi pensò per l'ultima volta Latemar, mai saturo delle proprie manie. E lei, lei, sì, lei non vedrà altri che me con le sue pupille smembrate negli abissi. Mi specchierò in eterno nelle sue acque. Uniti genereremo sublime e tacito disincanto.
Il sole tornò a splendere con pienezza, diradando le nubi di perla e il vento. Si accese così di vivido smeraldo e acquamarina l'ultima eredità di Ondina agli uomini.
NdA. Questo è l'inizio di un breve racconto che avevo iniziato a scrivere anni fa, ispirata dalle acque del lago di Carezza e dalla sua leggenda, in Trentino Alto Adige. Ho visitato la Val di Fassa, Bolzano e il lago e sono rimasta colpita dalla storia della ninfa Ondina. La mia idea era di suddividere il racconto in quattro parti, una per stagione. L'incipit è appunto "Estate", o in ladino "Isté". Credo sia la dicitura corretta, ma è difficile trovare qualcuno che corregga in modo appropriato questo idioma (credo ci siano delle differenze anche da valle a valle), quindi mi sono basata su un dizionario e sui miei (scarsissimi) ricordi di pronuncia di una guida locale, la stessa che mi ha parlato per la prima volta della leggenda. Se qualcuno sa e vuole correggere, è benvenuto. La cultura ladina è ricca di folklore e leggende e le vivéne sono le fate dei boschi e delle acque, una sorta di variante delle naiadi. Ho inserito anche alcuni proverbi ladini sulle stagioni. Mi piaceva allora l'idea di nasconderne la traduzione (abbastanza comprensibile) nel testo, non so perché. Preciso che si tratta di un racconto che riprende moltissimo il mito originale, ma c'è anche una mia rielaborazione personale e altre storie che ho sentito. Spero che non dispiaccia agli altoatesini. Sono ancora incerta se continuarlo o meno, però mi fa piacere in ogni caso avere l'incipit qui.
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Karersee
Short StoryQuesto breve racconto è stato il mio primo esperimento concreto con la prosa, una rielaborazione personale di una leggenda altoatesina sulla ninfa del lago di Carezza, Ondina. Non l'ho mai completato, ma l'incipit mi fa pensare molto a "Fleur de Lys...