Adriel era rannicchiata sul suo letto, con le ginocchia vicino al mento, le braccia che circondavano le gambe e la schiena appoggiata alla parete di legno. Tentava, senza successo, di affievolire le palpitazioni del suo cuore che rimbombavano prepotentemente fino alla testa, facendole pulsare le orecchie. In alcuni momenti riusciva a convincersi che nulla di grave era accaduto, allora la sua mente dava tregua anche al suo corpo, ma durava poco. Le paranoie le si infiltravano nuovamente nel cervello, subdole e veloci, ed il respiro si faceva corto. Erano ore che la nonna era via e senza aver lasciato un biglietto di avviso. La tavola era stata apparecchiata, ma il cibo non era stato consumato. Avrebbe voluto farlo Adriel ma dovette arrendersi alla chiusura del suo stomaco. Il mantello della vecchia Lin, giaceva su una sedia. L'ipotesi più plausibile che balenò in testa ad Adriel era la peggiore: la nonna era stata costretta a lasciare la sua abitazione.
"Cosa sto aspettando? Che vengano a prendere anche a me? ", "Avrei già dovuto chiedere aiuto? Ma a chi potrei chiederlo, le porte della città sono chiuse!", "No devo solo avere pazienza, mi sto allarmando per nulla e se mi allontano, la nonna prenderà uno spavento peggiore del mio quando ritornerà", "Ma fuori è pericoloso e lei non mi hai mai lasciata così". In questo perpetuarsi di ragionamenti, Adriel restava immobile nella sua impotenza. L'unico gesto che faceva era tirarsi le pellicine delle dita. Un'abitudine viziata che compariva ogni qualvolta era turbata o a disagio.
Adriel si alzò per l'ennesima volta dal suo giaciglio e si accostò alla finestra. In quell'istante sentì il cuore in gola. Guardare fuori la impauriva anche in una notte qualunque. Il buio era fitto e per quanto si sforzasse di aguzzare la vista non riusciva a distinguere niente, nessuna figura, nessuna forma, nessun movimento. Tutto all'esterno sembrava inerte più di quanto l'interno sembrasse inquieto. L'abitazione era una stanza in penombra. L'unica lampada carica emanava una luce troppo fievole per rischiarare tutto. Adriel fece qualche passo e si piantò davanti alla porta, sperando che si aprisse. I suoi occhi si soffermarono su una macchia sulla parete, vicino alla porta, ad un'altezza superiore al pomello. Ci si soffermò un attimo, incerta sulla sua recente comparsa. Era quasi sicura che il mattino prima non ci fosse. Andò a prendere la lampada e l'avvicinò al legno per esaminarlo. Ebbe quasi un conato di vomito quando capì che era una macchia di colore rosso scuro. Mantenere la lucidità le parve impossibile e fu un miracolo che le gambe, d'improvviso molli, non la tradirono facendola ritrovare a terra. Strinse le dita attorno alla lampada, più forte, perché ebbe la sensazione di estraniarsi dal suo stesso corpo. La testa le sembrò alleggerirsi e girò lievemente, ma abbastanza da farle perdere il suo precario equilibrio. Sbattè il fondoschiena a terra, ma riuscì ad attutire la caduta con la mano libera, mentre la destra non mollò la presa. Questi blandi riflessi ed il dolore della caduta bastarono a farle riacquisire maggiore padronanza di sé. Si rimise in piedi, facendo appello a tutta la calma che riuscì a trovare – decisamente poca – e continuò a controllare in giro. C'erano altri schizzi di sangue, ma il tutto si estendeva dalla porta a qualche centimetro di pavimento. La faccia di Adriel era contratta in una smorfia di disgusto, non per il sangue, ma per ciò che poteva significare.
Molto insicura sul da farsi, posò la lampada sul tavolo, indossò il mantello e le scarpe e prese un coltello. Sperava di sentirsi meno indifesa, ma si sentì solo a disagio. Esitò ancora qualche secondo, aprì la porta e con cautela si gettò nell'oscurità, costringendosi a non correre e rendere i suoi passi più leggeri. Temeva che qualcuno o qualcosa potesse sbucare fuori e impedirle di proseguire ed aveva la costante paura di non essere da sola, ma i suoi occhi e le sue orecchie dicevano il contrario. Non c'era un solo fruscio che non provenisse dai suoi piedi. Il tempo si era dilatato e Adriel era impaziente di arrivare al Sentiero Blu. Avrebbe passato la notte lì e l'indomani sarebbe arrivata in città ed avrebbe chiesto aiuto ai suoi genitori. Non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse sua nonna e di chi fosse quel sangue e respingeva l'ipotesi che le risposte fossero collegate. L'impossibilità ed il rifiuto di costruire un quadro della vicenda che fosse, anche solo, plausibile la tormentavano. D'un tratto battè le ginocchia a terra. Aveva inciampato in un maledetto sasso. Concentrata com'era a guardarsi intorno, si era dimenticata di guardare dove metteva i piedi. Non che il chiarore della luna glielo rendesse facile. Per la seconda volta in poco tempo, puntò i piedi a terra sperando che la reggessero, soprattutto perché iniziarono a risuonare degli ululati. Non erano vicini, ma prima sarebbe arrivata a destinazione, prima avrebbe potuto tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Mancava solo che si trovasse davanti il muso di un animale selvaggio. Riprese il suo cammino, a passo svelto, infischiandosene dell'iniziale proposito di mimetizzarsi nel buio. Aveva anche lasciato a casa la lampada per non essere oggetto di attenzioni indesiderate e più tempo impiegava a raggiungere le Fee, più si sentiva esposta.
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LE CRONACHE DEI NESTÈROPI - IL MEDAGLIONE DI AGERAT
FantasyNel mondo di Terop quasi tutti hanno un potere innato e nel corso della loro esistenza possono acquisire padronanza di altri tipi di potere, possono imparare l'arte della magia e degli incantesimi. Quasi tutti, perché oramai il numero di Nestèropi...