Procumbe, domine

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Attenzione!
Storia diretta a un pubblico adulto, presenti contenuti sessuali espliciti e riferimenti al suicidio.
Io non avrei scritto una esplicita, davvero, non l'ho mai fatto... ma i latini sapevano fare bene solo tre cose: trombare, accoltellarsi e sbronzarsi/ingozzarsi. Delle tre trombare sembrava la più interessante e produttiva, indi per cui eccoci qui, lol.

***

Ricordava bene la prima volta che aveva chiesto al suo signore di farlo.

Era il favorito dell'imperatore da appena qualche mese allora, impegnato a disfare le lenzuola di lino, gemendo il suo nome in una nebbia di respiri affannosi, mani su mani e membra su membra.

“Domine,” aveva sussurrato quel giorno, sentendo le sue mani calde sulla pelle. “Auguste,” l'aveva chiamato, spingendolo via dolcemente.

Adriano si era fermato immediatamente, anche se non era obbligato a farlo. Avrebbe potuto continuare anche nonostante le sue proteste, eppure non l'aveva mai fatto.

Così si era fermato, aveva arretrato e l'aveva guardato con quegli occhi profondi come pozzi sacri. Gli occhi dell'uomo più potente sulla Terra.

“Carissime,” aveva detto, cercando di calmare il respiro, le sue labbra piene arrossate dai baci. “Che c'è che non va? Ho fatto qualcosa che non ti piace?”

Il ragazzo scosse la testa, i riccioli biondi danzarono al movimento, e agile saltò giù dal letto. Adriano lo osservò con attenzione, lasciò che i suoi occhi indugiassero sul suo corpo nudo, le sue pupille dilatate, leccandosi le labbra.

Antinoo sapeva che non l'avrebbe violato se lui non avesse voluto, anche se nulla avrebbe potuto fermarlo. Il suo signore poteva fare di lui ciò che preferiva, di lui e di ogni uomo, donna e bambino in tutto l'Impero.

Ma non l'avrebbe mai fatto. Non a lui.

“Assolutamente no,” gli disse, un sorriso fiorì sulle sue labbra appena lo vide sospirare di sollievo.

Guardò il corpo ancora steso sul letto, osceno e meraviglioso, i suoi occhi affamati e il suo respiro corto dal desiderio.

Il suo sorriso si allargò, perché sapeva che l'uomo avrebbe fatto esattamente ciò che lui aveva intenzione di chiedergli.
“Procumbe ad pedes mei, Auguste,”
inginocchiati ai miei piedi, Augusto. “Mostrami tutti i modi in cui posso essere amato.”

Lo vide aggrottare la fronte pensoso ed esitare a quella richiesta. Da sdraiato qual era, si sedette sul letto con l'aria di chi era appena stato colto completamente di sorpresa.

Lo sguardo di Antinoo non si abbassò, resse quello del suo signore, e neanche il suo ghigno sicuro si incrinò. Bellissimo e fiero, il fiore più splendente del grande giardino della giovinezza.

“Sai, chiunque altro sarebbe già morto solo per aver pensato di chiedermi una cosa del genere,” disse l'uomo, scendendo dal letto a sua volta.

“Ma io non sono chiunque altro, mi sbaglio?” chiese, e solo uno tanto giovane, tanto sprovveduto, si sarebbe potuto rivolgere in quel tono all'unico e solo Imperatore, all'uomo che regnava su tutte le terre dal possente muro a nord della Britannia alle lande più calde dell'Africa dov'erano rimasti solo i leoni.

Adriano Augusto esitò un altro istante, poi sorrise di rimando. “Mi farai morire, sai,” disse, e finalmente si inginocchiò.

Quando le labbra del suo signore lo avvolsero finalmente, Antinoo sentì un brivido percorrerlo da cima a fondo, e non per la lingua esperta del suo amante - pur se quella sola sarebbe bastata a provocare ogni gemito sfuggito dalle sue labbra - ma perché sapeva che il potere di fare gettare in ginocchio l'uomo davanti a lui era suo e solo suo in tutto il mondo.

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