Capitolo primo.

18 2 0
                                    

Sono da sola, è tutto confuso.
A volte mi sembra di trovarmi in una stanza, a volte per strada.
Ah no, sono nella cucina di casa mia.
Arriva una figura, la stessa di ogni sogno. Non so chi sia, o che faccia abbia, ma ripete ogni volta un'azione, la medesima. Un'azione orribile, che nessun essere umano dovrebbe mai compiere.
Da quel che riesco a percepire è abbastanza alto, braccia e mani possenti e pelose.
Mi prende per vita e comincia a stringermi, riuscendo a farmi staccare i piedi dal pavimento.
Io mi dimeno, è tutto inutile.
Mi fa cadere a terra e si mette sopra di me. M'immobilizzo e penso che tra poco sarà tutto finito, che devo stare ferma, che brucia.

Mi sveglio urlando, mi brucia tutto. Mi sento sporca, viscida, uno schifo.

E' così ogni notte, da sei anni.
Sei anni fa cominciò tutto, è da allora che mi sento in colpa, che provo verso i miei confronti un senso di nausea.
Lo so, dovrei farmi aiutare, ho valutato spesso di rivelare questi accaduti a qualcuno, ma non ho mai preso coraggio per paura di essere giudicata.

Decido, immersa nei miei pensieri, di andarmi a fare una doccia, dato che, appunto, mi sento come se avessi sguizzato in una pozzanghera di fango.

Intanto che apro l'acqua, inizio a canticchiare una melodia di una vecchia canzone che ascoltavo, alla quale però non so dare un nome nonostante mi sforzi al massimo.
Sbadata come sono e concentrata sulla melodia anonima, sbatto accidentalmente sul termosifone, che rilascia un suono metallico. Cerco in tutti i modi di fermare il rumore, ma a quanto pare ho già svegliato qualcuno.

Un miagolio acuto echeggia in tutta la casa.
-Shhhh! Avanti Majo, non vorrai mica svegliare qualcuno. Dai su entra.- e così faccio entrare il gatto in bagno. Non so perchè, ma ama stare a guaradarmi mentre svolgo le azioni più banali, come distendersi sul letto mentre anch'io ci sono sopra.

Inizio a spogliarmi e, ovviamente, l'occhio cade sulle cicatrici che ricoprono le braccia, le gambe, la pancia. Sono segni della battaglia che mi porto dentro da sei anni, si proprio come l'incubo; anzi, vi dirò di più, i problemi sono iniziati proprio da lì.

Entro in doccia e inizio a strofinare la pelle con la spugna e il mio bagnoschiuma preferito.

Strofino fino a grattarmi via le croste dei tagli, fino a farli sanguinare nuovamente, fino a far arrossire la pelle, finchè non ho il fiatone.

Mi fermo. Realizzo cos'ho appena fatto. Faccio un respiro. -Maledetta impulsività- penso.

Prendo lo shampoo e massaggio la cute delicatamente, poi passo alle punte.
Amo i miei capelli, anche se non sono tanto lunghi e mi arrivano alle spalle, e amo acconcianciarli, soprattutto con le trecce alla francese, che, dopo mesi di pratica, riesco a fare perfino ad occhi chiusi.

Mi sciacquo ed esco dalla doccia, infilandomi l'accappatoio appeso alla parete di fronte al box.
Majo, si scansa lievemente, permettendo così di avvicinarmi all'asciugamano.

Mi ritrovo davanti allo specchio, a cui dò una passata con l'accappatoio, dato che il vapore si è condensato sulla superficie.
Mi fisso. Guardo i miei occhi grandi, color marrone tendente al verde, che ormai sono accesi e vispi visto che sono sveglia da quasi un'ora.
Più mi osservo, più avrei voglia di sputare allo specchio.
Così deciso che è meglio se vado a vestirmi.

Controllo l'ora: le sei e un quarto.
-Cazzo! Tra un'ora esatta devo essere a prendere il bus.- penso allarmata.
M'infilo un paio di jeans larghi strappati, una maglia bianca e una felpa nera con la zip.

Corro in cucina dove mi accorgo che mio papà è in piedi e sta preparando il caffè.
-Buongiorno Caro, dormito bene?- mi chiede sorridendo.
-Si, mi sono solo svegliata prima per farmi una doccia. Il caldo di giugno mi fa sentire appiccicosa la mattina- rispondo, cercando di inventare qualche scusa per il baccano.
-Okay tesoro, io vado a lavoro, il caffè è pronto e Dasy sta ancora dormendo. Falla alzare prima di uscire, sennò farà tardi come al solito- mi raccomanda -e se hai programmi per il dopo scuola mandami un messaggio- e così dicendo mi stampa un bacio sulla guancia, mi arruffa la frangetta ancora umida e si incammina verso la porta, chiudendola senza fare troppo trambusto, per non svegliare Dasy.

Mio papà è un uomo sulla quarantina, sempre gentile e pacato, che sta molto per le sue.
Non è invadente, mi accompagna alle visite in ospedale e non proferisce mai parola, non cerca in nessun modo di indurmi a raccontargli i colloqui.
Io e lui parliamo spesso con gli sguardi, senza dire mezza sillaba, perché non serve dirci tutto per capirci.
Quando ero piccola era sempre consumato dal lavoro anche se lui cercava di nasconderlo: ma le occhiaie e l'irrascibilitá parlano da sé.
Da quando è morta mamma, due anni fa, si è come addolcito, è diventato più premuroso e ha cambiato il lavoro da impiegato con un lavoretto in una fioreria nel nostro quartiere, come se si fosse pentito di aver perso tutti quegli anni.

Tra un pensiero e l'altro, apro la porta del terrazzo e appoggio sulla ringhiera la tazzina di caffè versato in precedenza.
Mi appoggio vicino alla tazzina e annuso l'aria ormai calda di questa mattinata soleggiata.
Decido che il modo migliore di incominciare un'altra intrepida giornata è accendersi una sigaretta.
Assaporo il gusto amaro del caffè e quello intenso della sigaretta e mi fanno raggiungere il Nirvana nonostante mi sia svegliata da non molto.
Questa sensazione, ovviamente, dura pochissimo perché mi accorgo che devo ancora mettermi le scarpe, svegliare mia sorella Dasy e andare a prendere il bus.

Spengo la sigaretta, corro dentro, butto la tazzina nel lavabo, metto le mio Vans old skool ormai distrutte e mi incammino velocemente a svegliare la piccola peste.

-Buongiorno fiorellino, sono le sette ed è ora di alzarsi!- esclamò mentre la sprono ad alzarsi.
-Dai Caro smettila!- mi rimprovera lei -Ora mi alzo.-
-Okay, la colazione è in cucina sul tavolo, io vado, non fare tardi!-
E così corro giù per le scale del condominio, sia sbattendo la porta, che il portone.

Two gravesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora