nell'abisso

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vorrei che il mio cervello fosse rotto.
rotto da non funzionare, così per poter non pensare più a nulla.
non pensare, per non sprofondare nell'abisso, dove sono, solo.
tutto è freddo attorno a me, di un blu spento ma violento, che ti colpisce con forza. e c'è silenzio, le loro voci si confondono e si disperdono, nel tragitto che intercorre tra le loro labbra e i miei timpani.
non sono abbastanza forti da raggiungermi, raccogliermi e sottrarmi a questo stato di incoscienza, impotenza, inconsistenza.
non reagisco, mi lascio sopraffare, senza opporre alcuna resistenza. sarebbe un ennesimo, inutile, tentativo (fallimentare).

rimpiango quelle notti in cui il mio cuore ancora batteva, ardeva in petto e, con gli occhi accesi, mi sentivo vivo. e la solitudine, non era così straziante come adesso. un dolore lancinante che ti scuote le viscere e ti fa stare sveglio la notte. vorresti piangere, urlare, liberartene, ma continua a seguirti, è la tua stessa ombra. ti avvolge tra le sue grinfie, ti tira con sé, ti trascina negli angoli più sperduti del (tuo) mondo.
ma non ti opponi, non reagisci. non si può.

tento di risalire a galla, in apnea da troppo tempo, ma gli unici suoni che produco risuonano così goffamente nell'aria da imbarazzarmi, e ancora ci riprovo, e più imbarazzo tinge le mie gote di fuoco. e allora faccio silenzio, ritorno nell'abisso, forse questa è la mia condanna.
ma poi non è tanto male, in questo abisso profondo, stare così, assorto nell'udire i suoni provenienti dal fuori. suoni colorati, vividi, che mi colpiscono al petto,
una gabbia svuotata.

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