Un uomo non molto alto, dai corti e arruffati capelli biondi e un sorriso stralunato sulle labbra uscì dalla bettola strascicando allegramente il passo. Con fare incuriosito fece vagare lo sguardo sui dintorni della zona, strofinandosi poi gli occhi con la mano libera e strizzandoli per aguzzare la vista. Continuava a rigirare fra le dita una bottiglia di vodka ormai vuota.
L'atmosfera notturna di San Pietroburgo aveva un che di trascendentale. Le strade deserte attraversate dai soffi del vento, i cocci di vetri sparsi per i marciapiedi nei quali si riflettevano sinuosamente le luci soffuse e a tratti sfavillanti dei lampioni, il rumore della corrente della Neva che trascinava con sé i ciottoli e i ricordi che erano annegati in lei... agli occhi di quell'uomo ormai più ubriaco che sobrio questo paesaggio diroccato e quasi decadente appariva carico di storie fantastiche.
Nikolaj - questo era il nome dell'uomo - s'incamminò lungo l'immenso ponte che sovrastava il fiume, giocando distrattamente con la bottiglia che teneva in mano. Gliel'aveva offerta un tipo un po' strano, sembrava un fanatico, e Nikolaj s'era messo ad ascoltare i suoi discorsi un po' strani e un po' da fanatici con diligenza, sorseggiando con lentezza la vodka che era stata messa al centro del tavolo. Quello là aveva bevuto solo un po' di birra. Com'è che si chiamava...? Qualcosa con la r, rammentò Nikolaj. Si spremette le meningi per qualche secondo nel tentativo di ricordare quel nome così comunemente lungo, ma si arrese poco dopo perché la testa aveva iniziato a pulsargli e il momento di avere a che fare col dopo-sbronza non doveva ancora arrivare. Insomma, era troppo presto. Aveva intenzione di fronteggiare un'emicrania non prima del mattino seguente.
Il cielo non era nero. Fitte coltri di nubi ne offuscavano la superficie piatta, increspandola con rozzi cumuli di cotone violacei. Più che nero pareva una mescolanza fra un viola scuro, un marrone sporco, un verde Neva - lercio, molto più lercio del marrone - e una polverosa sfumatura grigiastra. Di colpo scoppiò a ridere, Nikolaj. Uno sano di mente non avrebbe mai descritto il cielo notturno a quel modo: semmai gli avrebbe affibbiato, non so, un blu oltremare o qualche scemenza poetica e schifosamente elegante del genere. Quei colori senza senso potevano venire in mente solo ad un ubriacone come lui.
Com'è che si chiamava, com'è già che si chiamava?... Quel tipo s'era messo a vanverare su discorsi decisamente troppo filosofici per i gusti di Nikolaj. Lazzaro, delitti, superuomini, giustizia... Bah, robe del genere, insomma. Lui non ci aveva capito molto e noi, che siamo qua solo per leggere i suoi pensieri e per vedere la San Pietroburgo del 1865 attraverso i suoi occhi, possiamo capire solo quello che aveva capito lui. In sostanza, Nikolaj aveva individuato come fulcro di tutto il monologo che quello gli aveva fatto la validità dell'innocenza giuridica di un omicidio fatto a fin di bene. L'unico esempio che si ricordava era quello dove uno ammazza qualche cattivo, per dirla con termini infantili, qualche nemesi della pace comune. Se per arrivare alla pace del popolo bisognava ammazzare uno, due, cento uomini cattivi, allora andava bene - sempre a patto che l'assassino in questione lo facesse a scopi genuini e non per farsi acclamare dalla fama. Il discorso era molto più complesso di così e Nikolaj lo sapeva bene - Dio, lo sapeva benissimo -, ma con tutto l'alcol che pure quella sera si era riversato nello stomaco proprio non ce la faceva a ragionarci su come si deve. Non riusciva neanche a rammentare il nome dell'uomo con cui aveva parlato.
Lasciandosi trasportare dal corso del vento, Nikolaj si sporse un poco oltre il muretto del ponte N. e, senza troppi riguardi, gettò nel fiume la bottiglia ormai vuota che teneva in mano. Chissà se quel fiume aveva la facoltà di lavare non solo i rimasugli di vodka che erano rimasti all'interno della bottiglia, ma pure il sudiciume che si era appiccicato addosso alle anime volubili come la sua. Avrebbe gettato volentieri le sue sporche scarpe nel fiume d'acqua santa che lavava le anime - anzi, no, ma che fiume; gli sarebbe bastato pure un secchio ammaccato e arrugginito. Era il tipo che un tempo s'impegnava per non vergognarsi, per non essere oggetto di scherno dai passanti, e ora si ritrovava là, ubriaco, dopo aver gettato una bottiglia di vetro nel fiume a chiedersi se l'impatto con l'acqua gelida l'avesse rotta o meno; eppoi eccolo sempre là, affacciato sul muretto del ponte N., a cercare con i suoi occhi acquosi quella bottiglia solo per vedere se si fosse rotta o meno... Si fermò di colpo, raddrizzando la schiena e schiudendo la bocca a forma di 'o'. Poi rise, e riprese a camminare. Ma cos'era andato a pensare, cos'era andato a pensare...
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LA LUNA SI SPEGNE, e altri racconti
Short Story❝ La figlia dell'autunno amava il tramonto invernale. La sua fanciullezza, dopotutto, era tramontata proprio in quel periodo. ❞ ▬▬▬▬▬ 𝕴𝖓𝖘𝖎𝖊𝖒𝖊 𝖉𝖎 𝖗𝖆𝖈𝖈𝖔𝖓𝖙𝖎. : ̗̀➛ Insieme di racconti indipendenti l'uno dall'altro, composti da un norma...