Sebastian

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Driin. Il suono della campanella mi risvegliò dai miei pensieri. Mi resi conto che la notizia che mi avevano dato mi aveva reso impossibile essere come tutti i giorni. La mia vista era sfocata, le mie orecchie sentivano appena, il mio naso respirava lentamente, la mia bocca si apriva solo in monosillabi. Il professore di greco entrò in classe, salutando gli studenti. Continuai a fissare il vuoto. Fissavo ogni cosa, con fatica. Il pavimento, i banchi, la cattedra, la lavagna, le persone. Le persone. Non riuscivo a smettere di ripetermi quella parola, "persone". Prima consideravo tutta la mia classe degli "amici", ma ora vedevo tutte quelle persone vuote. Non capivano cosa stavo pensando, cosa stavo facendo, perchè le fissavo. Le persone non capiscono niente. Il prof si era accorto di me, dato che mi aveva detto: "Allora, ragazzi, oggi c'è una grande notizia: il nostro Sebastian è innamorato!" Guardai il pavimento ancora più intensamente di prima. Che piacere provava, il prof, a mettermi in imbarazzo? Perchè non poteva stare zitto? Ma, soprattutto, perchè ho deciso di venire anche stamattina in questa maledettissima scuola? Tutta la classe mi fissava, ora. Il prof mi guardava con aria  divertita: "Allora, chi è la fortunata? Dai, andiamo Sebastian, puoi dirlo a noi, siamo tuoi amici. E poi nessuna di queste ragazze sarà offesa o schifata se ce lo dici." Non ne potevo più. Ma che voleva? Non aveva nulla di meglio da fare? Stavo per aprire la bocca, quando un mio compagno mi precedette: "Prof, forse non ce lo dice perchè non è una ragazza." E da lì scoppiò una fragorosa risata, da parte di tutti, perfino del prof. Basta, mi ripetevo. Basta. Basta. Tutta la classe continuò a prendermi in giro, dicendo di tutto. Smettetela, voi non siete meglio. Vi piacerebbe che fossi gay, eh? Così potreste avere più possibilità con tutte quelle che sono invaghite di me. In quel momento, la classe si zittì. Il prof mi guardò, sgranando gli occhi. Mi resi conto di essere in piedi, con i pugni serrati, di aver rovesciato la sedia, e di aver espresso i miei pensieri a bocca aperta. Merda. Presi lo zaino, mettendolo sulle mie spalle, e uscii in silenzio. Mi appoggiai alla porta, e prima di quanto potessi rendermene conto, le lacrime scesero. Mia madre era malata di cancro. Ed era così assurdo, perchè lei era sempre stata sana, non aveva mai fumato e non si era mai drogata, anche dopo che mio padre se n'era andato, dopo averla tradita più e più volte. Non poteva uscire dall'ospedale. Non ce la facevo. Mia madre mi era sempre stata vicina, quando mi caddero per la prima volta i denti, quando mi sbucciai per le prime volte le ginocchia, quando presi il mio primo calcio, quando presi la mia prima insufficenza, quando la mia prima ragazza mi lasciò. Ma ora non importava più, dato che stamattina era morta. Morta. E con tutta la mia mente cerco di credere che lei fosse felice di questa cosa, e che l'avesse voluto lei, ma una vocina nella mia testa mi diceva che non era così. Non riuscivo ad esprimere a parole il dolore. Decisi di uscire dalla scuola e andare a casa. A casa, il mio rifugio da oggi in poi. Appena fuori, vidi che il sole era alto. Tutta questa luce mi dava fastidio, in diretta direzione con il sole. Iniziai a correre più forte che potevo. Appena davanti a casa mi fermai. Avevo il fiatone, notai. Entrai in casa e mi rifugiai in camera. Mi ero stancato. Non avrei più parlato, perchè tutto ciò che riuscivo a dire erano cose brutte contro chiunque, me compreso.

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