➵ 𝕠𝕓𝕓𝕝𝕚𝕘𝕠.

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➠     ❦  𝚗𝚞𝚖𝚎𝚛𝚘 𝚞𝚗𝚘.


Se c'era una cosa che faceva stare tranquillo un tipo come Emanuele, era quando la mattina saliva sull'autobus, si metteva seduto in qualche posto vicino al finestrino e ascoltava la musica. Non importa che cosa ascoltasse, alla fin fine non prestava nemmeno troppa attenzione al suono che quasi gli rompeva i timpani; per lui era solo un accompagnamento, un bel sottofondo che prendeva per mano i suoi pensieri. Era il colore bianco che si mescola con altri colori; sparisce per diventare una sfumatura di un colore principale. Come quando al viola si mescola il bianco ed esce il violetto. Il prodotto prende il nome del colore dominante, ma non sarebbe mai cambiato senza il bianco.
E così i suoi pensieri.
I suoi pensieri forse non sarebbero mai andati avanti senza la musica che li guidava, che li conduceva in un posto meraviglioso dove lui si perdeva. Dove lui guardava fuori dal finestrino senza effettivamente guardare. Dove percorreva chilometri in quell'autobus senza effettivamente percorrerli.

Emanuele era la classica persona con la personalità spaccata in due parti.
Una parte sicura di sè, forte, quella che lo faceva essere letteralmente quello della comitiva da cui si corre se hai un problema con qualcuno; e l'altra parte invece silenziosa, riflessiva, metabolizzatrice.
Se in comitiva era impulsivo e non si faceva troppe paranoie a difendere chiunque, da solo era un'altra persona spettatrice di qualcosa che lui non aveva mai per davvero vissuto. Immaginava situazioni, posti, luoghi, immaginava canzoni, momenti, opportunità, immaginava persone, amici, amanti. Se appariva davanti agli altri come il classico ragazzo figo che si gode l'attimo, dentro di sè era cosciente di se stesso, e cosciente delle sue opportunità e di quello che lo rendeva realmente felice.

Da un po' di tempo quasi nulla lo rendeva felice.
Quasi nulla riusciva a fare breccia nel suo interesse; quasi nulla riusciva a dargli quella scarica di emozioni.

E la cosa peggiore era che non provava nemmeno dolore.

Prese un piccolo respiro per poi farlo uscire non troppo rumorosamente dal naso.

Guardò il proprio cellulare cercando nella playlist qualche canzone, ma alla fine non riuscì nemmeno a selezionarne una nuova che l'autobus si fermò, e le porte si aprirono. Trattenne un nuovo sospiro e si alzò, prese lo zaino e se lo mise su una spalla, per poi scendere seguito da una folla di studenti.

Era al quarto anno di superiori e dire che si era già rotto le scatole era poco. In realtà il pensiero di abbandonare la scuola gli girava per la testa da un po'; non c'era nulla per cui lui si sentisse realmente apprezzato e al tempo stesso a scuola nessuno lo valorizzava. E meglio specificarlo; se Emanuele fosse stato un tipo più debole o fragile sarebbe già crollato nelle proprie insicurezze ripetendosi che se non "brillava" a scuola, evidentemente non aveva le capacità per farlo. Ma lui non era affatto così. Credeva in se stesso e nei propri talenti: sapeva chi era e chi poteva diventare. Sapeva che i professori sono solamente delle persone dalla mentalità retrograda che invece di formare gli uomini di una nuova società cercano di riprodurre quella ormai morta di cinquanta anni prima. Ma a lui non importava.

Arrivò davanti al cancello della scuola, dove vide i suoi due migliori amici.
Compagni di avventure uniche, dal festeggiare per i loro dieci compleanni passati insieme, al deprimersi sul divano di casa di uno di loro per la rottura con qualcuno, dall'ubriacarsi e fare stronzate, dal difendersi, proteggersi e coprirsi a vicenda. Si avvicinò a loro accennando un sorriso.
«Ehi.»
Li salutò, e i due si voltarono.

Diego, il più festaiolo fra i tre, sorrise.
«Buongiorno.»

«'Giorno.»
Rise Gian, il più responsabile. «Oggi il pullman ha fatto tardi?»

In mille mondi. || Tankele.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora