PROLOGO

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Non avevo mai preso parte al ritiro vero e proprio del denaro sporco che riciclavamo, eppure quell'unica volta ci aveva fottuti tutti.

Mio padre è un noto uomo d'affari, mia madre il suo braccio destro e sposandosi hanno commesso il loro più grande errore: Sophia Soler Brooks, che per inciso, sarei io.

Sono venuta al mondo nel freddo mese di dicembre, poco dopo Natale. Fuori nevicava, regalando a questo giorno un fascino quasi pittoresco. In quel momento nessuno mai avrebbe potuto immaginare che fin dalla tenera età avrei però sentito il peso di essere un incrocio di razze, essendo per metà del mio sangue latina. "Meticcio bastardo", così mi definivano a scuola i miei coetanei e quelli che credevo sarebbero stati miei amici.

In realtà però a nessuno è mai importato davvero di me, e nemmeno di come soffrissi per questo.

Trascorso il primo anno di liceo ho cominciato a spacciare, insieme alla mia unica amica del liceo, Chris. Avevamo preso parte al giro degli spacciatori del nostro paesino, pulendogli i soldi segnati e tenendoci una percentuale da dividere. Il rischio da correre era sempre molto alto per due ragazze della nostra età, ma non avevamo niente da perdere se non quello che già davamo per perso fin da principio.

Nel corso dei mesi si erano uniti a noi due ragazzi che inizialmente spacciavano solo dell'erba di poco conto a scuola: Scott e Preiston. Quest' ultimo un nerd, mago del computer e di internet, il primo un ragazzo dalla guida sportiva, diventato poi il nostro corriere di fiducia, nonché l'unico ad avere un'auto propria.

Ricordo vividamente un pomeriggio uggioso di quell'anno stesso, quando i miei genitori scoprirono questo nostro giro losco di soldi e stupefacenti. Non so in quale maniera questo possa essere accaduto, ma ho impresso ancora nella mente il momento esatto in cui erano entrati in camera mia, puntandomi il dito contro e tirando all'aria le mie cose, che con tonfi pesanti trovavano posto a terra, nella peggiore delle ipotesi rompendosi in mille pezzi.

Come il mio cuore in quell'istante stesso, pezzo dopo pezzo e crepa dopo crepa.

Dal tramonto di quel fatidico pomeriggio non riuscivano nemmeno più a guardarmi in faccia, a fatica mi volevano con loro a pranzo e a cena, così quell'estate stessa avevo preso la decisione che aveva messo fine a quell'incubo, risparmiandomi il carcere in cui sicuramente pensavano compulsivamente di spedirmi.

Ero scappata in una notte di agosto, a diciotto anni, con uno zaino in spalla e nulla da rimpiangere.

Io e i miei soci, nonché ormai per assodato unici amici, avevamo trovato un posticino dove abitare fuori città. Un monolocale abbandonato di proprietà di Preiston, in cui aveva vissuto suo nonno fino poco prima di morire, un paio di anni prima al nostro arrivo. Lo si trova nei pressi di un lago, costeggiato da un bosco dal fogliame rigoglioso, nascosto da occhi indiscreti. Eravamo certi che lì saremmo stati al sicuro almeno per un po'.
Eppure non eravamo mai davvero al sicuro, e questo ci era stato sbattuto crudamente in faccia non molto tempo più tardi dal nostro trasferimento.

La notte del disastro.

Non ricordo che giorno fosse, era novembre. C'erano poliziotti ovunque. Spuntavano da ogni angolo puntandoci alla testa le pistole, gridandoci di metterci in ginocchio con le mani dietro la testa. Pioveva a dirotto, c'erano pozze di acqua piovana enormi sull'asfalto, su cui i lampeggianti blu e rossi si riflettevano, illuminando a momenti alterni i nostri volti sconvolti, persi in mille pensieri e nelle più remote paure, coscienti di non avere alcuna via di fuga.

Erano bastati tre proiettili e i miei amici non c'erano più. Avevamo opposto resistenza ed eravamo armati, e questo aveva autorizzato i gendarmi a premere il grilletto.

Sapevamo a cosa una gang criminale andava incontro, ma mai mi sarei aspettata di restare sola, lasciando morire sull'asfalto freddo e bagnato le uniche persone al mondo che avevano mai avuto la forza di volermi nella loro vita senza chiedere nulla in cambio.

Quella notte io e Chris avevamo avuto problemi con un certo Mr. Herdal, lo spacciatore da cui dovevamo ritirare dei soldi. Non aveva più richiamato, svanendo nel nulla.
Per protegge Preiston avevamo preso tutti parte a quel ritiro, trovandoci in perfetto orario sul luogo dell'incontro prestabilito.

Un'imboscata. Ci eravamo fatti molti nemici in città, in prima posizione gli sbirri.

Non bastarono le nostre esili pistole e le nostre inesperte mani a difenderci, perché un esercito di poliziotti armati fino ai denti avrebbe solo potuto disintegrarci.

Il rumore degli spari che mi risuonavano nella testa, le gambe che avevano iniziato a correre nei vicoli bui, le lacrime che mi rigavano il volto e la pioggia che mi bagnava i vestiti, inzuppandoli. Sullo sfondo le sirene che urlavano stridulamente, poi i lampeggianti che si spostavano veloci per inseguirmi.

Vedevo in questo quadro disastroso svanire nell'oscurità alle mie spalle l'auto di Preiston, con accanto i loro corpi inermi e sempre più piccoli, mentre io ero sempre più lontana.

Non so come ne uscii viva.

Ero tornata alla casa nel bosco dopo aver trascorso tutta la notte a scappare a perdifiato e a nascondermi come un topo impaurito da un feroce felino. Non avevo chiuso occhio quando mi ero coricata stremata sul letto, prendendo coscienza di essere rimasta sola, senza capire in alcun modo come potesse essere possibile che non mi avessero uccisa con colpo secco alla fronte.

HELENOPHIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora