shot (223r) - REPOST

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«Faresti mai sesso con te stessa?» La sua fronte sporgeva appena dal giornale. Erano visibili solo i capelli perfetti, di un castano scintillante, più corti di quanto ricordasse.
Monica strappò una pellicina dal labbro inferiore, che iniziò a sanguinare. Imprecò in silenzio. «È per quella meme che gira su Tumblr?»

«Rispondi e basta.»

Si grattò la nuca. Una spuntatina sarebbe servita anche a lei, in effetti. Tamponando la ferita con le dita, rifletté sulla proposta. «Non lo so, forse. Sarebbe un po' strano, credo. E tu?»

Fonte abbassò la rivista. «Alzerebbe troppo la mia asticella.»

Monica sospirò. Aveva smesso da un pezzo di lasciarsi innervosire da quell'uomo. Lo fissò. Si era presentato con indosso uno stereotipato costume da cameriera, completo di calze a rete e tacchi a spillo, e occupava la poltrona da quasi un'ora, le gambe pericolosamente incrociate sotto l'orlo di pizzo della gonna gonfia.

Questa volta i suoi occhi erano azzurri. Monica sospettava si trattasse di una vendetta sul loro ultimo incontro, per i commenti distratti sul trucco e sulla sua scarsa dote nell'abbinare i colori.

«Perché sei qui?» domandò. Vedendo che l'ignorava, gli tolse Vanity Fair dalle mani e lo ripose di malagrazia nel portariviste.

«Non è ora di pranzo?»

«Un motivo in più per sbatterti fuori casa?» Controllò l'orologio con la coda dell'occhio: quasi mezzogiorno; non le sembrava possibile. La domenica il tempo, non scandito dagli orari dell'ufficio, passava troppo in fretta. Ripensò al frigo semivuoto e alla cesta di panni da lavare, abbandonata sulla soglia del bagno, e non volle dedicare nemmeno un istante alla polvere che si accumulava negli angoli e sugli scaffali della libreria a muro. Gemette. Detestava fare le pulizie.

Fonte si alzò e scosse polvere immaginaria dalle pieghe del grembiule. Con quei tacchi la superava di cinque o dieci centimetri buoni. Portata la mano al petto, si esibì in un grazioso inchino, rivolgendole un sorriso di un candore studiato. «Mi permetta di aiutare, signorina.»

«Signora.»

«Padrona.»

Monica, colta in contropiede, non riuscì a dir nulla. Fonte ghignò.
Arresasi, la donna scrollò le spalle, realizzando solo allora di avere ancora addosso pigiama e pantofole. Portò le dita alle tempie, chiedendosi come avesse fatto a sopravvivere tanto a lungo. «Ti piacciono gli spaghetti cinesi?»

«Il ramen istantaneo giapponese, dici?»

«Devi recriminare su tutto?» Si avviò verso la propria stanza, Fonte che la seguiva a breve distanza. Quando entrò, lo vide fermarsi, poggiare la schiena contro la parete opposta e incrociare le braccia al petto. Si muoveva sui tacchi come fosse nato calzandoli. Invidiò il suo equilibrio, ma non si prese la briga di farlo notare ad alta voce.

Cercò qualcosa di decente da mettersi nella pila di abiti deposti alla rinfusa. Camicie macchiate di sudore, pantaloncini stropicciati, un imbarazzante top coperto di strass che non avrebbe mai dovuto vedere la luce del sole.

Alla fine, trovò una maglietta arancione e un paio di jeans che non puzzavano troppo. Si cambiò dandogli le spalle. Che le fissasse pure il culo, se ne aveva voglia, aveva smesso di importarle da anni.

Eppure, non seppe trattenersi dallo sbirciare la traiettoria del suo sguardo con la coda dell'occhio. Fonte era perso altrove, concentrato su chissà quali altri mondi.

Meglio così, si disse, incapace di stabilire se la mancanza di reazione l'infastidisse o meno.

Monica non era mai stata un granché, ma da quando aveva smesso di allenarsi le cose erano peggiorate. Quando era ragazza e faceva dieci chilometri di corsa quasi tutti i giorni, tempo permettendo, non era raro che si ritrovasse addosso gli sguardi degli uomini.

Qualche volta, al liceo, qualche mano si allungava a toccarle le natiche. La prima volta aveva fatto finta di nulla, e così la successiva. Ricordava di aver sentito un calore improvviso alle guance e di aver affrettato il passo, inseguita da risolini soffocati. L'attenzione non le dispiaceva, ma non era una sensazione piacevole. Era notata, ma come si nota una graziosa cartolina o pezzo di carne ben cotto.

La terza volta avrebbe voluto reagire, ma l'amica che era con lei l'aveva trattenuta pizzicandole l'incavo del gomito.
La quarta volta era sola.

«Hai delle verdure?»

Monica si sedette sul bordo del letto, sentendosi improvvisamente esausta. «Cetrioli, se non sono già ammuffiti.»

Fonte si fregò le mani. «Si va in scena.»

Non ebbe la forza di fermarlo o chiedere le sue intenzioni. Si stese, lasciando che il materasso l'avvolgesse.

Nell'ultimo periodo non aveva dormito abbastanza e la cosa si faceva sentire. Allungò la mano verso il comodino, dove sapeva avrebbe trovato il cellulare. Non aveva password, bastò scorrere verso l'alto per scacciare la schermata di blocco. Lo sfondo monocromatico, rosa salmone, l'abbagliò per un istante. Aveva sempre trovato di cattivo gusto chi impostava foto con il o la propria partner. Al limite della banalità. Eppure anche lei, una volta, era rientrata in quella categoria. Foto con bacetto, foto con abbraccio, foto divertente con momentino imbarazzante. Represse un conato.

Si impose respiri lunghi e lenti. Magari avrebbe potuto cercare qualcosa di più allegro. Un gattino, o qualche fantasia geometrica. Si sollevò contro la spalliera del letto e digitò qualche parola su Google. Scorse le immagini, svogliata, per poi richiudere l'applicazione in un nulla di fatto.

Che schifo.

Si stropicciò gli occhi, ma la spossatezza rimase. Di quel passo avrebbe trascorso a letto l'intera giornata. Riaprì Google.

Stava ancora navigando tra gif di cagnolini quando Fonte tirò un calcio alla porta, schiantandola contro la parete.

Monica sobbalzò, evitando per un soffio di far cadere il telefono. «Era già aperta!»

Fonte sollevò l'indice, pronto a fornire una giustificazione adeguata. Non trovandola, strofinò il mento tra le dita, annuendo con fare contrito.

«Ti prego, lasciami vivere. Non mi sembra di chiedere troppo.»

«Sign– Dottoressa. Ministra. Ingegnera» Fonte allargò le braccia. Il grembiule era coperto da schizzi di salsa scura e aveva le guance rosse, ma sembrava in gran forma.

«Che vuoi?»

«Il pranzo è pronto e non contiene carne umana. Quasi certamente»

Aveva dimenticato. Ma che ore erano? Controllò il display del cellulare e rabbrividì. Fonte glielo tolse di mano. Non l'aveva sentito avvicinarsi.

«Come va col contatto?»

Non capì.

«Il contatto fisico. Come ti poni verso gli abbracci?»

Un lampo di realizzazione le attraversò il viso. Scosse la testa, sforzandosi di ignorare la sensazione di malessere alla bocca dello stomaco. Immaginò Fonte stringerla o, peggio, cercare di sollevarla. Piantò le unghie nel palmo della mano e si sforzò di cancellare l'immagine. «No. Non ancora.»

Se Fonte ci restò male, fu abile a non darlo a vedere. Invece, le lanciò contro un peluche dal comodino. «Allora muoviti. Tutti i tuoi piatti sono sporchi, ho dovuto usare le tazze.»

«Che giorno è oggi?» Quando si alzò, un capogiro la bloccò sul posto. Sbatté le palpebre e si aggrappò a Fonte, salvo ritrarsi istintivamente.

«Non lo so» rispose quello, lasciandole i suoi spazi. «Non seguo il tempo. Forse febbraio. Settembre.»

Settembre. Un senso di sollievo la pervase, tanto forte da farla sentire infantile. Cinque anni da quel momento. Aveva dimenticato la data esatta, ma non il mese. Cinque anni. Afferro la mano tesa di Fonte e strinse le dita con forza, benché non ne avesse bisogno, o forse sentendosi fortunata di averlo lì ora più che mai.

Aveva dimenticato la data esatta, si ripeté. E presto anche il resto.

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