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– È un talk show?

– No.

– Sono in coma?

– No.

– Lo sapevo: sono morta.

– Alti cancelli, no. – Fonte prese a tormentarsi il labbro tra le dita. – È difficile da spiegare.

Il vento fischiò fuori dall’auto. Era surreale. Monica si sentiva febbricitante, incapace di ragionare con lucidità. Meglio fare un passo per volta. – Questa non è Padova, vero?

Fonte alzò le spalle. – Suppongo di no.

– Che vorrebbe dire? – Iniziava ad averne abbastanza di quell’uomo. O alieno. O qualsiasi cosa fosse. Non poteva credere di averlo pensato sul serio.

– Immagina che l’universo sia un foglio di infinite estensioni. Vivi la tua vita nel tuo bel centimetro; passeggi, vai al cinema, prima o poi muori. Ma quello che non saprai mai è che il tuo non è l’unico foglio. Ce ne sono migliaia, uno sopra l’altro. E qui, Monica, qui è dove si incontrano tutti: l’intersezione infinita dei piani infiniti. Il non-spazio e tutti gli spazi al tempo stesso. Perciò quando mi chiedi se questa è Padova, no, di certo non è la tua Padova, non del tutto. Ma in un infinitesimo abbastanza piccolo, l’aria che respiri e il panorama che vedi sono quelli di casa tua. Almeno credo.

– Una specie di unione di tutti i possibili universi.

– Possiamo dire così. O anche no, ma non è così rilevante.

– E tu cosa sei?

Si fece pensoso. – Un agente dell’AISI.

Monica rise. Una parte di lei se ne sorprese. Si sentiva calma, contro ogni aspettativa. Non riusciva più a ricordare le cose nel cielo; non sapeva se fosse merito di qualcosa che aveva fatto Fonte o meno, ma era grata. Non si fidava del tutto di lui, ma aveva avuto ben più di un’occasione di farle del male. Inspirò. L’aria sembrava normale, come aveva detto. Lo guardò finché non cedette.

– Se cercassi di far passare una sfera attraverso un foglio, cosa ne otterresti?

– Sono davvero necessarie queste metafore?

Fonte mimò la sfera con le mani. I suoi occhi erano luminosi, in un modo che la mise a disagio. – Prima un punto. Poi un cerchio, sempre più grande finché non si raggiunge la circonferenza massima. Da lì, via via restringendosi in un punto. E tu, ora, creatura tridimensionale, cosa credi avverrebbe se un abominio quadridimensionale facesse lo stesso con la sua ipersfera?

– Non sento quel termine dal liceo.

– Comparirebbe una sfera sempre più grande che finirebbe poi col restringersi fino a svanire.

– E tu sei questo? Una sfera sempre più grande che si restringe fino a svanire?

– Vedo che il sarcasmo è sempre di moda. – Fonte tornò a tormentarsi il labbro.

Ebbe quasi pietà di lui. – Sei una creatura multidimensionale: tu non fai parte di un piano, tu li vedi tutti. Sei come le creature là fuori.

Parve incerto. Agitò una mano in aria, come per convincersi di qualcosa, poi sollevò l’indice. – No, non come quelle cose. Una specie. È un po’ più fluttuante, come concetto. Ma sì, il senso è quello.

– Hai anche un nome?

– Non lo sapresti pronunciare. Continua pure a chiamarmi Fonte.

Monica si sistemò in una posizione più comoda, accavallando le gambe. – A cosa ti servo io?

Fonte afferrò il volante. Schioccò le dita e il motore dell’auto si risvegliò. – Credo sia meglio che te lo mostri.

Le pareti dell’abitacolo tremarono, prima piano, poi sempre più veloci. Il terrore invase la donna quando le vide accartocciarsi. Monica chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, era tornata al cimitero.

Le file ordinate di loculi ricambiarono la sua incredulità. Sollievo in un cimitero, così surreale. Forse era per questo che non era impazzita. Era tutto troppo strano per essere reale, nonostante tutto.

Il cielo era buio. Tutto sembrava essere tornato come prima. E Fonte?

Lo vide poco più avanti, aspettarla vicino a una ben precisa lapide. Gli addetti del comune o poliziotti che fossero avevano abbandonato il campo. No, realizzò Monica: non c’erano mai stati.

– Questo non è il mio universo.
Fonte annuì. Come lei, i suoi occhi erano fissi su un punto a metà della parete. Un loculo vuoto, immacolato, dove avrebbe dovuto trovarsi lui. Le iridi dell’uomo erano tornate normali, ma Monica non chiese spiegazioni a riguardo.

– Siamo molto vicini. Ma no, non è casa tua.

– Lui è vivo?

– Sì.

– Perché siamo qui?

Si voltò a guardarla. Delle rughe di preoccupazione gli solcavano la fronte. – Ricordi quello che ti ho detto?

– Sfere e fogli?

– L’omicidio.

Le mancò il fiato. Credette di comprendere, ma non osò dar voce ai suoi timori. Il loculo era aperto, il fondo polveroso. Qualcosa si annidava sul fondo; ragnatele, forse, o chissà che altro. Monica indietreggiò. A separarla da Fonte erano più di cinque metri, che non aveva intenzione di riempire. Rimasero in silenzio, finché lui non si decise a parlare.

– Non credevamo fosse possibile, ma è successo. Ed è innegabile. – Lo vide avvicinarsi al loculo, l’espressione sofferente. – Mi hai chiesto cosa sono: poco più che un guardiano di cancelli. Gli universi, i fogli, non sono del tutto separati. Ti ho portato nel non-spazio perché mi credessi, ma ci sono altri punti, molto più piccoli, singolarità difficili da isolare. Noi, quelli come me, abbiamo l’incarico di proteggerle. Ma ho fallito e qualcosa è passato.

– Mio marito. – rantolò Monica.

Fonte non rispose.

– Chi era la vittima? – domandò. Pur intuendo già la risposta, aveva bisogno di sentirselo dire.

– Tu. O meglio, la te di questo universo. E di ogni altro universo.

Le parve che l'aria le fosse stata strappata dai polmoni. – Per questo conoscevi il mio nome.

Gli occhi di Fonte erano tornati gialli. – Sei l'ultima rimasta. Ti sta cercando, Monica. E non si fermerà finché non ti avrà ucciso.

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Avete visto: io che faccio la contorsionista pur di non usare di nuovo gli zombie come pensavo all'inizio

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