Navigo

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Navigo. Oggi l'aria è secca e il cielo è macchiato di nubi che mi concedono fugaci sollievi dal sole cocente. Cerco sempre di ricordare. Ricordare perché mi trovi qui. La mente è appannata, ma lo scandire dei giorni mi tiene vigile. Con un piccolo coltello da un po' ho iniziato a segnare il tempo che passa, ma sento di trovarmi qui da molto più tempo. Affondo la lama nel legno. Trentatre.

Attendo. La cosa che più mi fa impazzire è l'assenza di fame, e la conseguente privazione dall'andare di corpo. Forse non ne ho mai avuto bisogno, ma so che è una cosa che si dovrebbe fare. So molte cose. Questo posto in cui mi trovo si chiama mare. So che mi piaceva il mare. Ogni tanto appoggio la testa sul bordo della barca, parallelo al filo che divide l'oceano dal cielo, l'oscuro mistero dalla lucente chiarezza, e cerco da quest'insolita prospettiva di capire quale sia l'immagine e quale il riflesso. Che ci sia qualcun altro che navigando nel cielo si sta chiedendo la stessa cosa?

Spesso prego Dio. Mi ripiego su me stesso con le mani congiunte porgendo la nuca al sole e recito parole dal significato lontano che non comprendo, come d'altronde non ricordo bene chi fosse questo Dio, so solo che bisogna pregarlo che le cose vadano meglio. E io voglio che le cose vadano meglio, non ne posso più di stare qui.

L'orizzonte è cupo. Non sono mai stato là, quindi è là che mi sto dirigendo. Da là, dove una scura evanescenza si innalza dall'acqua, provengono dei suoni diversi da quelli che sono solito sentire. Li chiamo suoni di là. Non so se esserne preoccupato o affascinato, ma nel dubbio scelgo di esserne affascinato. Forse perché andare là, è l'unica cosa che posso fare.

É notte. Non dormo, ma questo non mi disturba, perché ci sono le stelle. È come se di giorno il cielo fosse offuscato da una luce spigolosa ed informe che la luna poi, con la calma del buio, raffina e distribuisce candidamente sulla volta celeste, e fa lo stesso con me, mi culla con la sua brezza scrostandomi dalla tensione accumulata al sole. Le sensazioni si fanno più profonde, quando prima il caldo mi invadeva in superficie, ora, fluido, mi percorre dall'interno, e se mi concentro mi sembra quasi di poterlo guidare. Dal petto lentamente scende, arriva ai piedi e si disperde, ma solo in apparenza, perché subito una scintilla accende una piccola fiamma che piano piano si espande, dalla fronte e in tutta la testa.

No!

Improvvisamente mi trovo in piedi. Le palpebre arrancano nel dischiudersi, come se mi stessi svegliando, eppure sono qui, retto e stabile. Luna. Una pupilla marmorea incastonata in un cielo scuro, scuro come non l'avevo mai visto. Nel mare non vi è riflesso, ma a dire il vero non lo vedo neanche il mare, non vedo niente, solo la luna, una pallida luna che si mostra per quella che è, senza splendere di luce riflessa, l'inanime. Provo una sensazione strana, come se le mie stesse palpitazioni mi volessero mandare un messaggio, pizzicandomi le membra. Una lacrima sfugge ai miei occhi. Che cos'è una lacrima?

Un forte suono di là mi desta. Sopra di me un cielo ambrato accoglie il fievole sole mattutino. Sento intriso il mio corpo di un'insolita energia, che stessi finalmente dormendo? Febbricitante, afferro i remi, solco l'acqua con decisione in direzione del fronte ignoto che percepisco più vicino di quanto avessi mai fatto. In apparenza ancora impressa sulla retina, trasparente, mi sembra di vedere quella pacata luna davanti a me, mentre remo in direzione opposta, e mi allontano, mi allontano...

Addio.

Il sudore cola, incessantemente, mi invade gli occhi, il suo sapore salato è ormai impresso sulle mie labbra. Saranno non so più quante ore che avanzo, non penso a nulla, la mente è occupata ad assorbire la fatica, che si accumula sulle tempie rendendomi la testa pesante e annebbiata. Non mi riesco a fermare. Non mi voglio fermare. Voglio fermarmi? Non mi fermo. Tengo lo sguardo fisso innanzi a me attendendo il sole calante. Ho sete di notte, fame di stelle.

Passano uno, due, tre secondi, ore, giorni. Dietro di me, i suoni di là si fanno sempre più vicini e violenti. Il sole non arriva, resta lì dov'è, a piovermi sul capo incandescente. La vista si sta lentamente affievolendo, il campo visivo si assottiglia e le immagini si fanno ovattate, informi. Quando abbia iniziato a remare, lo ricordo a malapena, ciò che è stato prima di quel momento non esiste più, ma devo avanzare, non posso fare altro che avanzare.

Buio. Dove sono? Le braccia si muovono. Perché si muovono? Caldo, caldo. Ogni tanto, un boato. Ogni tanto, un ondata di fresco mi accarezza, dalle spalle, mi sussurra qualcosa.

Ah, ah, ah.

Chi sei?

Ah, Ah.

Vengo da te?

Ah.

Freddo! L'acqua mi investe! Torno a vedere! Il cielo è grumoso, il mare è convulso. Vento di qua, vento di là, balla, e io ballo con lui, mentre la barca balla anche lei sotto ai miei piedi. Cado, rido, mi rialzo, danzo, mentre le nubi ruggiscono. Il mare si innalza, viene ad abbracciarmi! Mi è quasi addosso, quando il tempo si ferma, ed è subito silenzio. Mi fissa col suo sguardo di spuma, come a dirmi: sei pronto? Chiudo gli occhi.

Una luce incerta volteggia sopra di me, mentre sprofondo verso una placida oscurità. L'acqua invade i polmoni e annulla il respiro, la forza mi abbandona. Tutto questo fluido che mi avvolge, com'è morbido. Mi sento piccolo, sempre più piccolo, ridotto ad un granello di vita. Non ho voglia di muovermi, respirare, pensare. Voglio solo essere, ora che non c'è più un prima, forse neanche un dopo, e fluttuare in questa candida culla. Ecco, lo sento, anche la mente va a spegnersi. Finalmente, quiete.

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