Il mio capo.

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Capitolo5

Solo cinque giorni dopo il mio colloquio con Jack mi ritrovo a camminare per le strada dannatamente affollate di Los Angeles. Questo posto è tutto il contrario di Nashville, le strade sono dominate da persone che si credono dive - e forse lo sono per davvero, giurerei di aver visto Kim Kardashian. 

Sospiro aumentando la stretta attorno al bicchiere di carta contenente il mio cappuccino, riprendendo a camminare. Mi fermo davanti alle strisce pedonali, guardando alla mia destra e, successivamente, alla mia sinistra, assicurandomi che non ci siamo macchine.
Tutto accade in fretta. Appena muovo un passo per attraversare la strada, uno stupido cretino rincitrullito in sella ad una costosissima moto mi passa davanti facendomi venire un attacco di cuore.
Il mio bicchiere cadde sull'asfalto, bagnandolo. Finisco col sedere per terra, mentre cerco di riprendermi dallo spavento. Per un attimo ho creduto che avrei fatto visita a Dio in Paradiso prima del previsto. 

Una macchina frena quasi immediatamente davanti al mio corpo. Un ragazzo scende di corsa corredo in mio soccorso. Mi aiuta ad alzarmi e mi sorregge per un un braccio in caso dovessi cadere.
Cosa alquanto probabile dato che le mie gambe in questo momento sembrano essere fatte di gelatina. 
"Sto bene, grazie." sorrido gentilmente, nascondendo il terribile dolore che prova il mio sedere.
 
"Credi di esserti rotta qualcosa?" chiede gentilmente. 

"Fortunatamente no, sono intera, credo." sospiro, passandomi una mano tra i capelli, cercando di rimetterli a loro posto. "Quel cretino stava per investirmi." do voce ai miei pensieri, scuotendo la testa ancora sotto shock. 

"Lo so." approva. "Vuoi che la porti in ospedale o qualsiasi altra cosa?" chiede indicando l'auto accostata sul ciglio della strada. Scuoto la testa.

"Grazie lo stesso." sorrido attraversando di corsa la strada. Do una rapida occhiata al mio piccolo orologio da polso, comprato al mercatino dell'usato qualche anno prima.
Sono le dieci e tra circa un quarto d'ora ho il colloquio con il figlio di Jack. Sospiro frustrata, ricominciando a camminare a passo svelto in cerca del edificio, solo che mi sembra di essere in un labirinto di spacchi.
Qui tutti gli edifici sono uguali, l'unica cosa che li differenzia è l'insegna. 

Cerco con gli occhi una scritta che raffiguri la 'Jay Company', passandomi una mano tra i capelli. Noto in lontananza un edificio diverso dagli altri, che assume sempre più un'aspetto famigliare.
E' simile a quello in cui ho fatto il primo colloquio, quello con a capo Jack. 
Sorrido vittoriosa, accelerando il passo, fino a raggiungere la porta di vetro.  La apro ed entro dentro l'edificio, attirando lo sguardo di tutti su di me, come una calamita.
Stringo i denti, sentendo il mio corpo andare a fuoco per l'imbarazzo. Odio essere al centro dell'attenzione. 

Cerco in ogni modo di non pensarci e mi dirigo a passo svelto verso l'ascensore. Aspetto con impazienza che le porte si aprano e vi entro dentro, premendo sul bottone che porta all'ultimo piano, come mi ha detto Jack. 

Mi appoggio contro la parete, guardando il mio riflesso nello specchio. Sbuffo esausta. Le mie guance sono colorate di un antipatico color rosso porpora e i miei capelli sono leggermente spettinati, mentre il mascara macchia lievemente la parte inferiore ai miei occhi.
Mi passo in fretta una mano tra i capelli, cercando in tutti i modi di aggiustarli il minimo possibile, mentre, con l'altra mano, tento di aggiustarmi il trucco, togliendo la parte del mascara colato. 

Le porta si aprono, facendomi sussultare. Mi affretto a riassumere una postura corretta, uscendo infine dall'ascensore. 
Una ragazza, sicuramente poco più grande di me, mi viene incontro sorridendomi. 

"Stai cercando qualcuno?" chiede con un sorriso dipinto sulle labbra, mentre tiene in mano alcuni fogli. 

"Io umh..." mi blocco guardandola smarrita. In realtà non so chi sto cercando.
Cosa devo dirle? Il figlio di Jack? Lei almeno conosce Jack? Uff... quell'uomo ha pensato a tutto tranne che dirmi il nome di suo figlio. 

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