3.

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In punta di piedi, mi muovo furtiva nell'ingresso di casa mia quasi fossi una ladra professionista. Sento mormorii provenire dalla sala da pranzo quindi capisco che i miei genitori sono già in piedi. Muovo altri due passi in direzione delle scale, fisso gli scalini imponendo loro il silenzio.
Un solo scricchiolio e vi distruggo.
Sono talmente impegnata a lanciare loro qualche disgrazia che non mi rendo conto dello stridulo rumore proveniente dal mio piede destro. Piano, abbasso lo sguardo e strizzo gli occhi furiosa quando mi rendo conto di aver appena schiacciato un maledettissimo giocattolino di plastica. Per la precisione si tratta di un piccolo pollo giocattolo. Il preferito di Judas, il cane della famiglia. Uno stupido San Bernardo che mi detesta. Sì, mi è capitato delle volte di calpestargli la coda mentre dormiva, e allora? Nessuno lo costringe a sonnecchiare e rilasciare bava come fossero le cascate del Niagara nel bel mezzo della cucina o della biblioteca. È un idiota. Fine della storia.
«Vivienne Fitzgerald, sei tu?!» urla la donna che mi ha messo al mondo venticinque lunghi anni fa.
«No?» deglutisco.
Accidenti, volevo solo prendere le mie cose, poi dir loro «ciao ciao» e filare via.
«Vieni qui, signorina. Subito!» esclama mio padre.
Con un sospiro mi dirigo al patibolo. Percorro la breve distanza e non appena varco la soglia della sala da pranzo noto i miei genitori, ancora in vestaglia, seduti al tavolo. Ci sono solo due tazze di caffè posizionate di fronte alle loro figure. Niente tavola imbandita di cibo – salutare, ovvio. I due mi fissano attenti, scrutano il mio abbigliamento e mia madre solleva un sopracciglio quando nota la larga t-shirt che indosso.
«Dove sei stata?» domanda mio padre.
«Di sicuro non qui.» ribatto.
«Ti sembra il momento di essere spiritosa, Vivienne?» stringe gli occhi l'uomo.
«Non lo è mai, papà.» sospiro poggiandomi al tavolo con il fondoschiena.
«Hai riempito di vergogna questa famiglia, Vivienne Marie.»
Oh, no... non anche il secondo nome. Credo faccia concorrenza a quello che attualmente marchia, per gentil concessione di Danny il tatuatore, il mio fianco.
«Mi dispiace di essere scappata senza aver detto nulla, mamma, ma...» stringo il labbro inferiore tra i denti per alcuni secondi prima di proseguire. «non ho intenzione di sposarmi. Non ora almeno. E di sicuro, non con Patrick Denver.»
«Sei chiaramente impazzita. Fra qualche ora chiameremo i Denver e tu ti scuserai con Patrick, poi farete insieme un'intervista e tu dirai che hai avuto una crisi-»
«Mamma» la fermo «io non chiamerò nessuno. L'unica crisi che ho avuto era dovuta al fatto che mi stavo per sposare con un perfetto sconosciuto.»
«Sconosciuto?! Conosciamo i Denver da anni!» esclama indignata, quasi non potesse credere alle mie parole.
«Non ho nemmeno idea di quanti anni abbia quell'uomo. Punto secondo, se ho accettato questo... matrimonio è stato solo perché per la prima volta in venticinque anni vi ho visto felici di qualcosa che mi coinvolgeva in prima persona.» ammetto.
«Che stai blaterando, Vivienne?» mio padre mi osserva confuso.
«Io vi amo moltissimo, avete provveduto alla mia educazione personale e scolastica in maniera egregia ma non c'è altro. Non sapete quali siano i miei obiettivi, cosa mi piaccia e cosa non. Voi non mi conoscete e me ne rammarico ma adesso basta così. Non posso sacrificare la mia vita e i miei sogni solo per assecondare un vostro capriccio. Siete già benestanti, non avete bisogno dei Denver per accrescere la vostra ricchezza.»
I miei genitori mi osservano attoniti, troppo sconvolti dall'audacia delle mie parole. Non mi sono mai rivolta a loro in questa maniera, non ho mai contestato in maniera vistosa le loro parole solo per evitare scontri che sarebbero risultati inutili, in particolar modo quando ero ancora minorenne. Adesso, però, non sono più una bambina e questa casa... il loro mondo, mi sta troppo stretto.
«Adesso prendo le mie cose e me ne vado. Starò un paio di giorni da Delia, poi tornerò a lavoro e mi cercherò un posto in cui stare.»
«Tu non te ne vai!» esclama mia madre.
«Me ne vado, mamma.»
«Esci da quella porta e non entrerai mai più.» afferma.
«Così sia, allora» accenno un piccolo e triste sorriso «mi spiace non essere riuscita a trovare un punto d'incontro con voi.»
Non lascio loro un altro secondo per potermi comandare o ferire, esco dalla stanza e mi dirigo in fretta verso camera mia.
Recupero la mia borsa e ci metto dentro il cellulare, il caricatore, il portafogli e qualche altra cianfrusaglia utile. Afferro il borsone sotto al letto e lo riempio di tutti i vestiti che riesco a farci entrare, poi lo chiudo con uno scatto. Mi guardo intorno, sapendo già che rinuncerò a molte cose tra cui la mia collezione di classici ben sistemati nella libreria ma va bene così, forse un giorno riuscirò a recuperare tutto. Metto la borsa in spalla, afferro il borsone e raggiungo il portone di casa. Non c'è nessuno ad augurarmi buona fortuna, nemmeno Jerry, il maggiordomo di papà. Forse è meglio così.
Quando mi chiudo la porta alle spalle, afferro il cellulare e mando un messaggio a Delia. Sarà sicuramente impegnata al momento quindi non conto di ottenere risposta prima dell'ora di pranzo, durante la pausa. La mia amica lavora in una galleria d'arte, adora tutto quello che riguarda quel mondo e pensa anche che un giorno i suoi quadri, gelosamente custoditi nello studio di casa sua, saranno esposti in qualche importante museo. Anch'io credo che sarà così. Se c'è qualcuno in grado di ottenere quello che vuole quella è proprio Delia Heart.

Dopo aver fatto una piccola sosta a casa della mora per lasciare l'ingombrante borsone raggiungo il Lily's a piedi. Ci vorranno all'incirca quindici minuti a piedi dall'appartamento. Quando apro la porta del negozio il famigliare suono del sonaglio a vento mi fa sorridere. È più originale del solito campanello e poi il suono è così delicato da far rilassare nell'immediato.
«La fuggitiva fa ritorno all'ovile!» esclama con una risata la donna dietro al bancone.
«Puoi dirlo forte Cece.» sorrido raggiungendola.
La donna apre le braccia pronta ad avvolgermi, non me lo faccio ripetere due volte e stringo le mie attorno alla sua vita.
«Come stai, piccola?» domanda.
«Adesso che ho mandato all'aria il loro matrimonio e me ne sono andata di casa? Bene.»
«Ne sei certa?» si scosta per potermi osservare in volto.
Eccome se mi conosce.
«Lo so che è assurdo aspettarmi qualcosa e rimanerci male quando non accade dopo venticinque anni ma credevo che almeno mio padre mi avrebbe urlato contro di filare in camera, invece niente... quasi come se gli avessi fatto un favore ad andarmene.»
«Sono certa che non sia così. Per quanto tu li abbia sconvolti sei comunque la loro bambina e nel loro contorto modo ti vogliono bene.»
Emetto un lungo sospiro ma non commento.
«Vedrai, le cose andranno meglio. Adesso stai dalla pazza?» domanda scacciando via la tensione.
«Sì» rido «almeno per un paio di giorni. Voglio cercarmi un posto mio e ovviamente lunedì torno a lavoro.»
«E io che pensavo avresti cominciato oggi. Che idiota!» batte una mano sulla coscia coperta dai jeans.
«Devo organizzarmi bene, mi serve il fine settimana.»
«Il fine settimana ti serve per riprenderti dalla sbornia dopo stasera.» alza gli occhi al cielo.
Come ho già detto, mi conosce troppo bene.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 08, 2021 ⏰

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𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora