La Grande Divoratrice

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Caro amico dal futuro, sono passati 12 inverni dai primi aerei. Ho appena trovato questo lurido quaderno per scrivere ciò che succede e fare in modo che possa arrivarti. Ormai non cresce nemmeno più l'erba e tutte le bestie o stanno morendo oppure si cannibalizzano, pure gli erbivori. Ma d'altro canto è da 3 inverni che pure noi qua al villaggio facciamo le lotte tra gladiatori e mangiamo gli sconfitti. Io non ho ancora partecipato per fortuna anche perché non so se ne uscirei.

Il giorno in cui tutto è iniziato lo ricordo molto bene, nonostante sia stato tanti anni fa. Una fredda sera di dicembre. Stavo cenando con la mia famiglia, quinto piano in centro città. Mia figlia si alzò da tavola esigendo di giocare. Le avevo comprato la bambola che tanto desiderava e volevo dargliela, ma non riuscivo a trovarla. "Bene e ora, cucciola di tigre (così voleva farsi chiamare), mani sul viso e prima di aprire gli occhi... conta fino a 100" le dissi allontanandomi verso dove ricordavo d'aver lasciato la bambola. "10... 11... 12..." e intanto continuavo a cercare. Mia moglie era distratta da noi e non guardò la tele dove lanciarono l'allarme. "56... 57... 58..." mi sbrigai e cercai di trovarla. Mia moglie iniziò ad aiutarmi ridendo. L'annuncio anti-bomba allineò il countdown con quello di mia figlia. "98... 99... 100! eccomi che ar...".

Il silenzio. La luce. L'onda.

Ci pietrificammo guardando l'immensa luce che proveniva dalla finestra, coprendo tutto. Nessuno emise una parola, non un fiato. Mi gettai sotto al tavolo di istinto senza pensare a loro, mi sentivo come un cane che scappava da un'arma da fuoco. Mia moglie si girò a guardarmi mentre stringeva la piccola... e fu allora che arrivò. L'onda. O, come la ricordiamo al villaggio, "La Grande Divoratrice".

I vetri esplosero lasciando che fossero inondate da un'onda bollente e di una potenza estrema. Stavo piangendo e urlando, impotente di fronte a quel disastro, mentre il calore mi colpiva di striscio, ustionandomi fortemente il braccio. Mentre i loro corpi morti avvolti dalle fiamme e carbonizzati volavano fuori dalla stanza, arrivò il boato, di dimensioni mostruose... seguito da un altro... e un altro ancora... e ancora e ancora e ancora... in tutto il mondo vennero fatti partire 100 coppie di aerei, ognuno carico con 100 testate atomiche, ognuna da 100 megatoni, tutte sganciate a 100 secondi una dall'altre... la radio del mio cellulare parlava ancora da una stazione di Washington, nel bunker del presidente. Gli aerei stavano precipitando, colpiti dalla Grande Divoratrice. Avevo tutto il lato destro del corpo semi-carbonizzato e sanguinante, nonostante il calore avesse cauterizzato le ferite. Cercai di alzarmi e guardare fuori dalla finestra: la città ara stata devastata e il nostro palazzo era uno dei pochi ancora in piedi. Tutt'oggi non ricordo che aspetto avessero i corpi di mia moglie e mia figlia... e forse è meglio così. Mentre cercavo di raggiungere il bagno per prendere il kit di soccorso, un aereo si schiantò nella parte centrale dell'appartamento, portandosi via i cadaveri della mia famiglia e aprendo in due il palazzo.

Mentre il mostruoso bombardiere precipitava ruggendo nella spaccatura che lui stesso si stava aprendo, mi resi conto di star cadendo pure io. Almeno 20 metri di caduta. 20 eterni metri, dove credevo e, sinceramente, speravo sarei morto.

Eppure, lo schifoso destino aveva altro in mente per me. Mentre l'areo precipitava al mio fianco, avvolto da una bellissima luce rossa, data dalle fiamme che avvolgevano i motori, sotto di me si avvicinava sempre di più un albero: un pruno, a essere corretti... il pruno che avevamo piantato io e mia moglie quando nacque la bambina, 10 anni prima. Era tutto spoglio e in parte annerito dal calore, eppure i suoi rami mi fermarono, rendendo la mia caduta qualcosa a cui poter sopravvivere. L'aereo continuò la sua discesa, piantandosi nel terreno e aprendo un solco nell'asfalto, affondandoci di quasi 1 metro e mezzo.

Scesi lentamente dall'albero e cercai di sfruttare al meglio il 20% di batteria restante del cellulare per ricevere istruzioni, mentre le lacrime cercavano di uccidere il telefono e annullavano qualsiasi dolore fisico. Un male lacerante mi colpì allo stomaco mentre realizzavo che erano effettivamente morte e mi piegai al suolo a urlare.

La radiolina parlò: "-zzzzttt- rifugio sicur -kzzz- a Mexic -bzzzt- City". Appena sentite quelle parole, cercai di alzarmi e incamminarmi. "loro vorrebbero che io cercassi di salvarmi" ripetevo a modo di cantilena per rallentare il battito cardiaco.

Ho camminato per giorni e giorni, senza una vera idea di dove stessi andando. So solo che non incontrai altro che morte. Dalle bestie urlanti per il calore che le aveva cotte vive, alle persone che gridavano piangendo i loro morti, io camminavo per la mia via. Ho sciacallato qualche poveraccio messo peggio di me, chi vivo e chi morto.

Dopo un paio di settimane ancora nessun segno di Mexico City o vita vera. Fu lì che iniziai a perdere la testa. Mi dimenticai molte cose di me che tutt'ora non so. Quanti anni avessi, il nome della mia città... i nomi delle due donne più importante della mia vita... il mio stesso nome. Quest'ultimo finché, sciacallando una casa alla ricerca di cibo, non mi imbattei in un uomo anziano, cieco da un occhio, senza una gamba e con un fucile in mano. "Chi sei tu... giovane che ti approfitti di me?". Non risposi. Non sapevo il mio nome. Io ero nessuno. Ero nessuno... "Io non so come mi chiamo, le bombe me lo hanno fatto scordare, io non sono.". L'uomo col fucile rise: "Nessuno è davvero nessuno a questo mondo, nemmeno ora che non esiste più l'idea di essere... tieni" disse allungandomi il suo fucile. "Usalo là fuori, forse sei l'unico sciacallo gentile che esista... ha 10 colpi carichi... e quando ti chiederanno il tuo nome, tu digli quello che hai detto a me. tu sei nessuno... il tuo nome ora è... Nemo". Presi il fucile mentre l'uomo diceva il mio nuovo nome e si spegneva, dolcemente o meno questo non lo so... ma è di sicuro andato in un posto migliore di questo mondo.

Caro amico del futuro, mi presento. Io sono nessuno.

Io, sono Nemo.

Nella sua casa trovai anche una maschera antigas e qualche benda per fasciarmi il braccio. Nonostante fosse rotta, la maschera avrebbe comunque coperto la mia faccia e il vetro nero mi avrebbe protetto gli occhi. Mentre uscivo da quella casa, sentii che la mia nuova vita stava cominciando, che mi piacesse o meno. Nel cielo ancora volava qualche bombardiere, si udiva qualche fischio dalle testate che precipitavano, ma la Grande Divoratrice non si palesava più. Le testate precipitavano troppo lontane da me per potermi colpire, ma abbastanza vicine per farmi sentire il boato mostruoso.

Per le prime lune (unico modo in cui ormai riconosco lo scorrere dei soli), tipo le prime 6 o 7, tutto andò "bene": avevo usato solo 3 proiettili, ma le cose attorno a me stavano cambiando. Le bestie si facevano più strane e aggressive, sempre più persone morivano di radiazioni ed entro la 12esima luna, il primo inverno nucleare, avevo finito i proiettili...

Ero anche arrivato a Mexico City, l'avevo trovata... completamente a pezzi, rasa al suolo. Crollai sulle ginocchia nella disperazione e nemmeno riuscii a piangere. Barcollai verso la città, dolorante per tutto il camminare... tutto morto o consumato dalla Grande Divoratrice, persino le carcasse degli aerei erano ridotte in briciole.

Una radio parlò ancora citando un villaggio di sopravvissuti chiamato "Argo". Solo 40 km da me.

Un altro viaggio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 03, 2021 ⏰

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