Akaashi Keiji aprì gli occhi scuri lentamente, la luce leggera che attraversava la tenda della grande finestra della sua camera, gli illuminò il viso diafano e quasi ebbe l'istinto di rimettersi a dormire, Konoha gli aveva ceduto una scatola di xanax, fidandosi del suo buonsenso, e sicuro che non ne avrebbe abusato. Probabilmente la pasticca però gli aveva fatto più effetto del necessario.Spense la sveglia del cellulare che continuava imperterrita a suonare, per poi dirigersi pigramente verso il bagno. Gennaio era il mese più freddo in assoluto lì a Tokyo, e nonostante la splendida giornata di sole regalatagli, Akaashi si costrinse a scegliere uno, tra i suoi pochi cappelli di lana, che non solo gli avrebbero reso la capigliatura spettinata, ma gli avrebbero anche provocato un fastidioso prurito alle orecchie.
Scavando nella scatola dell'armadio riuscì a scovare un vecchio beanie nero sfilacciato con un piccolo gufo ricamato in bianco sul lato, non potè non ricordare l'artefice di quell'insolito presente, e questo bastò per farglielo indossare.
L'edificio della sede di Tokyo dello Yomiuri Shinbun si trova nel quartiere di Chiyoda, le vetrate si propagano infinite, così come la struttura sembra toccare il cielo. Akaashi si infilò velocemente nel portone, salutando educatamente il funzionario della sicurezza, per poi arrivare al ventottesimo piano del palazzo, appartenente a una delle testate giornalistiche più importanti, non solo del Giappone ma del mondo.
Un anno da incubo, di impegnativa gavetta gli aveva fatto scoprire un discreto talento nascosto da barista/cameriere/equilibrista, e nonostante questo era stato obbligato a compiere le mansioni al posto di qualche incompetente al di sopra di lui, con molta soddisfazione però era riuscito a ottenere un ufficio tutto suo e ad affermarsi come uno dei più giovani redattori dell'Hochi Shinbun, la branca del quotidiano che tratta di sport.
- Bokuto-san? -
Sul divano in pelle bianca al lato della reception, Bokuto Kotaro siede scomposto, con le gambe lunghe distese e il gomito poggiato sul bracciolo. Il sofà sembra quasi sofferente di dover accogliere una figura tanto massiccia come la sua. Bokuto gira la testa di scatto al richiamo di quella voce che è sicuro di aver già sentito prima, ma che in quel momento non riconosce, e gli occhi chiari si spalancano non appena ne mette a fuoco il proprietario.
Akaashi non vede Bokuto dall'ultimo anno di liceo di quest'ultimo. Prima che il più grande partisse convocato dagli MSBY, si diedero appuntamento sotto l'albero di ciliegio più grande della scuola. Il maggiore con le gambe incrociate, e Akaashi con le ginocchia appuntite abbracciate al petto, l'uno di fronte all'altro.
Bokuto gli prese una delle due mani sorridendo, con i denti bianchi scoperti e i canini sporgenti, Akaashi lasciò che le dita più grosse di Bokuto si intrecciassero con calma alle sue, più lunghe e affusolate, come sempre divertito dalla sottile ironia della situazione, Bokuto era alto quasi un metro novanta e per niente esile, nonostante ciò le sue manine capaci di quelle schiacciate così violente rimanevano sensibilmente più piccole di quelle da alzatore di Akaashi.
Kotaro l'aveva guardato con gli occhi gialli e grandi, splendenti di felicità all'idea della partenza, all'idea di una nuova casa, all'idea plausibile nella sua testa di dedicare alla pallavolo la sua intera esistenza, l'aveva osservato come si può guardare solo il miglior compagno.
- Akaashi saremo amici per sempre, ne sono certo! -
Disse con l'ingenuità tipica di un ragazzo appena maggiorenne, di qualcuno pronto a conquistare il suo posto nel mondo.
Akaashi serrò le labbra per non piangere, perchè Bokuto stava per andare via, e Bokuto Kotaro oltre che vestiti e qualche vecchia foto si sarebbe portato via con sé un pezzo di Akaashi Keiji. Perchè quelli come lui Akaashi lo sa, tolgono, prendono senza chiedere il permesso, per non restituire, quelli come Bokuto Kotaro vogliono tutto. Sono dei bastardi egoisti, ma inconsapevoli.
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Stasera (BokuAka)
FanfictionPer il mio bene proprio non potevo far altro che amarti. - Oscar Wilde De Profundis