Il Cavaliere e il Lupo

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Vagava con la gola gravida d'aria simile a vapore, attorno a lui un'afa insostenibile. Respirare, per quanto vitale, gli risultava ributtante. Sentiva il pasto del pomeriggio risalirgli fino alla bocca. Cercare di farsi strada attraverso i denti.
Il cavaliere per la prima volta indugiò, con una focosa scossa alle briglie arrestò i cavalli e, incapace di poter volgere lo sguardo in direzioni precise, lo puntò ai suoi piedi. Perché proseguire oltre, se quell'oltre prospettava il nulla?
Prospettava il nulla. Non credeva potesse essere vero: viaggiare osteggiato da inconvenienti di ogni tipo, nell'attesa di quell'avversario, condotto verso di lui dalla semplice tempra di un pensiero, da un'ossessione: Il Lupo. C'era riuscito per tutto quel tempo. Non gli era parso neanche tanto difficile. E adesso desisteva, e perché poi? Per l'afa? Il sonno? La paura? Forse un presentimento? O forse, il vago rimestare tra i ricordi? Non fornì mai una risposta a questo proposito, né a se stesso, né a qualcosa che si sapesse vivo. E' certo, però, che gli salì alla mente la moglie, il corpo esile, la chioma fulva che le sfiorava le spalle, gli occhi rilucenti del bagliore di quello che era stati. Lui, lei, i loro bambini.

Pensare alla moglie lo portò a riflettere sull'eventualità che forse aveva rovinato tutto. In quei giorni, non aveva mai smesso di ridestare la robustezza di quei ricordi, che egli stesso aveva riletto nella forma di sonetto. Non era un abile poeta, non si dilettava nel dare corpo ai propri pensieri. Ma sapeva che solo la poesia sarebbe riuscita a preservare i colori del passato, a fornirlo di quelle tonalità fredde di cui adesso sentiva l'irreprensibile bisogno. Perché sì, la torrida estate era sopravvenuta troppo presto, il cavallo si lamentava di continuo, l'armatura gli serrava le membra, tutto, negli ultimi giorni, compresa e soprattutto la testa, girava. Il vortice e il tramestio del mondo lo avvilivano con ogni espediente, suono, sostanza o colore che fosse. Forse tutto questo era il Lupo al quale tempo prima giurò di sottrargli la vita. Magari, nel corso del viaggio, la morte lo aveva preceduto da tempo e l'animale adesso lo tormentava in forma di spirito. Si era dissolto nell'aria, in quel calore e in quello che la vista attonita credeva di poter scorgere. Era riuscito a trovare un modo di allungare gli artigli verso di lui, senza che la sua spada potesse arrecargli danno. Nel cielo, le fauci non avevano mai smesso di strappare e macellare la tenera carne di quei bambini, su cui si riversava copioso il sangue che l'infame creatura non aveva cura di tenere in bocca o ingerire.
Per questo rifletteva guardando la terra sotto i piedi: temeva il cosa avrebbe potuto trovare davanti o dietro di sé.
Ricordava di averla inseguita, la bestia, di aver fatto vibrare nell'aria i pugni e di aver gridato per esprimere sgomento, rabbia e paura. Ma il Lupo era corso via subito, avvolto nel suo mantello rosso, facilitato dalla magrezza, nonostante il carico delle quattro salme sbrindellate.
Quella sera, lui e sua moglie non avevano espresso giudizio. Erano divenuti di colpo distanti. Lei ammutolita dal trauma, lui dall'idea che la mattina dopo avrebbe intrapreso un viaggio.
Solo allora, quando si era spinto al di là dei confini della terra, si rese conto di aver commesso un errore, di aver ciecamente inseguito la più diafana delle vendette. Al Lupo - morto o vivo che fosse- ora non pensava più. Sarebbe tornato, agognando la speranza che sua moglie fosse rimasta la stessa, che gli anni in cui l'aveva abbandonata non avessero infiacchito l'immagine che lei doveva avere di lui. Sarebbe tornato.
Si degnò di ben poche soste per il viaggio di ritorno. Si fece bastare gli scarsi averi e il cibo rimastogli. Viaggiò giorno e notte, il cavallo morì presto. Ne seguì un altro e molti altri ancora. Valli, boschi, città e montagne gli scorrevano attorno senza che lui li guardasse. Dormì sempre il necessario, le forze andavano ripristinate, ma non si concesse altro. Lo svago si ridusse alla lettura dei sonetti, che leggeva comunque mentre trottava a cavallo. In sei mesi, entrò nella città in cui era cresciuto e verso sera raggiunse l'abitazione dove per molto tempo la famiglia del Cavaliere aveva dimorato.
Avanzò verso la semplice dimora in legno, due semplici tocchi con le nocche e quindi due suoni. Di rimando dei passi arrivarono alla porta, lui non poteva vedere chi fosse, ma capì che stava indugiando al solo pensiero di agire. Solo dei piccoli piedi potevano essersi mossi così leggiadri, pensò il Cavaliere.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 18, 2022 ⏰

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