CAPITOLO 1

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Tengo le mani nelle tasche calde del cappotto mentre fisso il cielo, dal quale scende una fastidiosissima e fredda pioggerellina. Decido di esporre le mani alla bassissima temperatura di questa città del Nord Italia solo per bloccare i capelli, che mi ricadono sul viso, dietro le orecchie. Sempre con lo sguardo rivolto verso il cielo e con la pioggia che lentamente scivola lungo le mie guance mi chiedo "perché proprio a me?''. Non riuscivo a spiegarmi in che modo ciò che avevo costruito e progettato per il futuro si fosse ridotto a un bel mucchio di niente. Mi ero battuta, avevo urlato, avevo fatto valere le mie ragioni per portare avanti una guerra, o almeno io la consideravo tale, che non avevo bisogno di combattere; l'Università poteva essere il mio riscatto da anni di prese in giro, da frasi come "non sei un'eccellenza '', "non basta, puoi fare di più'' e da sottomissioni a ignobili caratteri che poi avevano costruito il mio. E pure il mio riscatto, la mia tenacia e ciò che mi era stato concesso per meriti personali erano stati spazzati via da un vento d'ansia che aveva abbattuto i due pilastri di acidità e orgoglio che avevo costruito per difendermi dagli attacchi di cattiveria con cui amici e parenti inzuppavano le punte delle frecce che erano pronti a scagliarmi contro. "Signorina'' sento pronunciare delicatamente, è il proprietario della tabaccheria davanti la quale da più di un'ora fisso il cielo a riportarmi alla realtà. "Signorina entri, fa molto freddo '', ripete ancora, ma scuotendo la testa e sorridendogli educatamente decido che è arrivato il momento di spostarsi da li. L'uomo sorridendomi torna al suo lavoro. Lasciandomi alle spalle l'ora appena trascorsa, osservo i piedi che mi conducono direttamente davanti al cancello del mio appartamento, affittato da una me un po' più spensierata per seguire, comodamente, gli studi lontano da casa. Prendo le chiavi dalla tasca destra del cappotto e una volta inserita la chiave giusta nella serratura faccio tre giri di mandata, una volta sentito il tic del cancello lo spingo in avanti e proseguo fino alla porta di ingresso. Entrando sento scorrere sul mio corpo lo sguardo apprensivo delle mie coinquiline. "E' tutto ok?'' chiedono entrambe e sospirando rispondo di sì; mentre le sorpasso per andare in camera noto i loro sguardi preoccupati, ma non gli do peso, voglio solo stare sola. Nel momento in cui cado a peso morto sul letto la stanchezza delle 48 ore precedenti si fa sentire e comincio nuovamente a piangere, forse per lo stress o forse per la situazione creatasi, e continuo a farlo fino allo sfinimento. E sfinita è la parola esatta per descrivere come mi sento in questi giorni. Una piccola, anzi microscopica, insicurezza ha fatto crollare mesi di sacrifici e impegno che avevo riversato sui libri. Ero stanca, disperata, senza stimoli e soprattutto senza alcuna voglia di andare avanti. E con le stesse sensazioni bloccate nel petto ero andata avanti per due giorni, uscendo dalla mia camera solo per bere e fare la doccia, tutto il resto era stato annullato; ma dopo tre giorni sentii suonare al campanello, aprendo la porta rimasi a bocca aperta e con le lacrime agli occhi e lo sguardo interdetto osservavo le due figure davanti a me:" Mamma, papà...'' sussurrai tra i singhiozzi. Cimentandomi in un pianto disperato buttai le braccia intorno alle loro spalle. Mi abbracciano e sento la pena che provano nei miei confronti. Ma io non voglio che stiano male per colpa mia.

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"Ed è così che si avvia la messa in stato d'accusa nei confronti del Presidente della Repubblica'' sorrido soddisfatta mentre ripeto per l'ennesima volta l'argomento per l'esame a mio padre, che di rimando mi sorride. "Ce la farai, stai tranquilla, sei preparatissima'' mi esorta mia mamma che sta pazientemente sistemando i miei vestiti nell'armadio. E infatti, con l'ansia che minaccia di farmi del male mi presento all'esame del giorno successivo, ma consapevole della mia preparazione, dico a me stessa "puoi farcela'', uscendo dall'aula in cui si è svolto lo scritto, ovvero la prima parte dell'esame. Passa un'ora ed escono i risultati dello scritto e scorrendo il dito sulla lista leggo il mio nome e sussurro a me stessa "30...'' e con la sicurezza di farcela e di superare l'esame mi avvio nell'aula in cui si svolge l'orale ma vengo brutalmente incitata a ritirarmi perché una delle assistenti mi vedeva "confusa''. Ed è così che tutte le mie insicurezze mi ricadono nuovamente addosso, tutti i miei sforzi spazzati via e io mi sentivo inutile. Cerco di essere disinvolta nel momento in cui i miei genitori mi abbracciano e dicono che sono fieri di me anche solo per averci provato, ma non è così che mi sento io; risulta difficile cercare di spiegare cosa sto provando in questo preciso momento perché dentro di me non sento assolutamente nulla, se non un dolore stabile alla bocca dello stomaco che prosegue fino alla gola dove si espande in una moltitudine di singhiozzi che a loro volta si trasformano in lacrime che mia madre prontamente asciuga con un fazzoletto profumato. Mio padre cammina avanti e dietro per la camera cercando di non arrabbiarsi con me perché non vuole che la sua bambina stia male, ma io voglio solo piangere, cosa che sto facendo da circa due ore, e non ho alcuna intenzione di smettere. Trovo Ginevra e Pia con le braccia conserte davanti la porta d'ingresso, mentre seguono con gli occhi i movimenti meccanici che compio per portare la valigia, che mio padre mi ha fatto velocemente riempire la sera precedente, sul pianerottolo del nostro palazzo. Ho deciso di tornare per un paio di settimane a casa mia, giù al Sud, per poter ragionare meglio sulle decisioni che dovrò prendere, prima tra tutte la scelta di lasciare la città in cui mi trovo attualmente che è già incisa nella mia mente. Saluto le mie due amiche e scendo velocemente le scale così da poter raggiungere l'auto dei miei genitori e finalmente partire per tornare a casa. Spengo il cellulare e lo chiudo nella borsa sperando di riuscire a stare un po' in pace senza ricevere le mille chiamate da persone che vogliono sapere come sto. Osservo dal finestrino i campi di girasole e sorrido nel vedere un ragazzino che si arrampica su un albero per raccogliere delle arance, il viso si contrae però in una smorfia nel momento in cui vedo le ciminiere di grandi aziende che rilasciano nell'aria i loro fumi tossici. E non mi spiego come si possa mettere accanto a uno spettacolo di enormi distese di girasoli qualcosa di così tanto nocivo. Questo interrogativo rimbalza nella mia testa deviandomi un po' dai problemi che da giorni affollano quest'ultima, ma il mio sguardo ricade sulla mia borsa mentre in sottofondo sento canticchiare mamma e papà. Mi accorgo di non aver spento il cellulare, sbadatamente, sul quale è arrivato un messaggio da parte di Andrea, un intimo amico di mia cugina Margherita che uscì con noi un paio di volte. Sblocco il cellullare e leggo il messaggio in cui mi chiede di uscire insieme il giorno successivo, 'casualmente' era venuto a sapere che sarei rimasta per un po' a casa mia, e con uno stupido sorriso sulle labbra accetto l'invito e senza aspettare una risposta da parte sua, chiudo definitivamente il telefono. Dopo nove estenuanti ore di viaggio arriviamo finalmente a casa, entrando sento l'odore familiare di vaniglia che mi invade le narici e sorrido sinceramente per la seconda volta in quella faticosa giornata. Mi accorgo che in casa manca mia sorella, Maria Sole, ma nel momento in cui noto questo particolare mia madre mi risveglia dalla mia trance per chiedermi di aprire la porta e fare una sorpresa a mia sorella, ignara del mio arrivo. Apro la porta e sorrido alla ragazza magra e dai lunghi capelli castani che mi trovo difronte e lei portandosi una mano davanti la bocca esclama: "Melody!''. Il perché i nostri genitori abbiano scelto dei nomi così particolare non è sconosciuto ma, almeno nel mio caso, privo di qualunque logica. Due braccia che si legano intorno al collo mi fanno allontanare dai miei pensieri e abbraccio sorridendo mia sorella dicendola un sincero "mi sei mancata'' e sentendomi rilassata rispetto ai giorni precedenti mi addormento tra le braccia della mia sorellina. L'indomani mi sveglio presto, dopo essermi addormentata ho avuto un incubo ed è risultato impossibile riaddormentarsi, sono stanca ma mi sento meglio. Accendo il cellulare e il primo messaggio che mi affretto a leggere è quello di Andrea, gli invio il buongiorno e chiedo se l'uscita fosse confermata e inviandomi un cuore risponde di sì. La mattina passa in fretta e dopo aver fatto la doccia, prendo la macchina e aspetto mia sorella davanti al suo liceo così da evitarle un viaggio in autobus, ma mentre canto indisturbata una canzone che passa alla radio vengo disturbata da qualcuno che bussa fastidiosamente e disturbandomi al finestrino; infastidita alzo lo sguardo e vedo Luigi e Federica, i miei due migliori amici che mano nella mano mi sorridono calorosamente. Esco sorridendo dalla macchina e li abbraccio scusandomi per non aver risposto ai loro messaggi. Mi guardano in modo apprensivo e capisco che vogliono accertarsi che io stia bene e sorridendogli li invito a cena il giorno successivo, così da poter parlare meglio e senza essere disturbati. Sono una coppia affiatata che emana amore da tutti i pori, facendo credere anche a me che quel sentimento così forte, forse, può migliorare le vite di molti. Dopo averli salutati rientro in macchina e da lontano vedo arrivare mia sorella con lo zaino di pelle in spalla e gli occhiali da sole per difenderla da quei fastidiosi raggi solari di gennaio. Mi saluta con un bacio sulla guancia e mentre scelgo la strada più veloce per tornare a casa nella macchina rimbomba una familiare melodia. "Sole!'' urlo rivolgendomi a mia sorella che per tutta risposta alza il volume della radio e inizia a cantare. "Is this the real life? Is this just fantasy? Caught in a landslide, No escape from reality'' intona mia sorella guardandomi e togliendo le mani dal volante e unendole come fossero un microfono continuo: "Open your eyes, Look up to the skies and see, I'm just a poor boy, I need no sympathy, Because I'm easy come, easy go,Little high, little low, Anyway the wind blows doesn't really matter to me, to meeee''. Concludiamo il nostro concerto cantando insieme la frase "Anyway the wind blowsssss'' rovinando del tutto la celebre canzone dei Queen. Dopo 6 minuti di puro godimento dati dal grande Freddie, arriviamo a casa dove dopo aver pranzato con mamma rientrata dal lavoro io corro a prepararmi per uscire con Andrea. Mentre mi trucco e scelgo cosa indossare, il ragazzo che dovevo incontrare da li a un'ora mi scrive dicendomi di vederci sotto casa sua. Sono pronta e mi ritrovo sotto il palazzo in cui abita Andrea, lo chiamo e nel momento in cui gli chiedo di scendere così da poter uscire, mi dice :"No dai, Sali a casa, non mordo''. Ma io non ne ho alcuna intenzione e insisto affinché scenda, ed ecco che nel giro di pochi secondi la situazione cambia e sento dall'altro capo del telefono il ragazzo che con tono annoiato bofonchia un "scusa avevo dimenticato di avere un impegno, facciamo un'altra volta'' e così si conclude la telefonata. Resto li, paralizzata e con le lacrime che minacciano di scendere mi chiedo nuovamente "perché proprio a me?'' e la situazione non è nuova solo che ora il mio volto non è bagnato dalla pioggia ma è rigato da lacrime salate che non sono riuscita a ricacciare indietro. E di nuovo mi sento vuota, ricomincia da capo quella giostra di emozioni altalenanti che da giorni mi tortura: si alternano dentro di me rabbia, tristezza, delusione, disgusto e dolore che si mescolano sapientemente con la paura e con il desiderio. La paura di lasciarsi sopraffare dal dolore e da quel turbinio di emozioni, ma soprattutto il desiderio che questo avvenga.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 28, 2023 ⏰

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