L'AQUILONE

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Gli batteva forte il cuore, sentiva martellare ininterrottamente il torace, gli mancava l'aria e la voce in gola; non riusciva a emettere suoni, a dire quella dannata parola e teneva gli occhi sbarrati puntati su quegli sporchi innocenti piccoli piedi, il volto ricoperto di terra sottile come polvere di un marroncino acceso che d'estate, quando si correva a piedi nudi, si alzava fitta, si posava sul collo ed entrava in bocca. Era steso col dorso rivolto verso il sole, le braccia aperte rigide come il tronco di un albero, la faccia nascosta in una piccola fossa creata dall'impatto col suolo e immobile, sembrava come se si fosse improvvisamente addormentato. E lui lo fissava paralizzato, non riusciva a togliere lo sguardo da quei piedini morti e gli sembrava di sentire dentro di sè gridare aiuto ma fuori tutto taceva, erano soli in due in quella via ed era come se non fosse successo niente, come se il presente continuasse perpetuo a diventare futuro ma lì, in quei due metri di strada, il tempo si era fermato per entrambi. Un grido timido spezzò il silenzio:"Aiuto". Suonava strano ma lo ripetè più forte una, due volte fino ad urlare; iniziò a correre verso una qualsiasi direzione fino a che un uomo molto alto lo sentì e gli chiese :"che succede?". A quella domanda, col fiato corto, si bloccò. Cosa stava succedendo? Non lo sapeva o forse non lo voleva sapere, non voleva credere che fosse davvero morto lì a due passi da lui, dietro di mezzo metro mentre correvano verso l'aquilone. Con difficoltà riuscì a trovare le parole:" un bambino è caduto per terra ed è morto". L'uomo si alzò di scatto, gettò la sigaretta a terra e iniziò a correre guidato dal piccolo, verso la fine del mondo.

Lo portarono via e non lo rivide mai più, i genitori non gli permisero di partecipare ai funerali ma pianse a lungo, più di tutti gli altri cari. Perché lui era l'unico a non sapere, in fondo se lo aspettavano in molti, conoscevano la sua situazione, ma lui non sapeva, non glielo aveva mai detto, era sempre riuscito a nascondere il suo fragile cuore. Eppure era così felice quel giorno perché finalmente avrebbe raggiunto il suo aquilone, ma si dimenticò del suo cuore. Avevano così tanta gioia dentro da pensare di esplodere come micce surriscaldate, volevano correre, volare come gli aquiloni nel cielo e ci fu un momento in cui pensarono di potercela fare. Volevano sentirsi leggeri, belli ed eleganti e correvano uno dietro l'altro imitando l'aquilone. Mancavano una decina di minuti e l'avrebbero raggiunto, finalmente avrebbero potuto volare.

Da quel giorno continuò a crescere, a giocare con gli altri bambini, a sporcarsi con la terra e aveva un nuovo amico ; correvano con le scarpe perché faceva freddo, era arrivato l'inverno e tutti avevano le scarpe. Si rincorrevano pazzi di gioia e si strappavano i vestiti, si abbracciavano, si baciavano, si tiravano i capelli e avevano sempre molta sete. L'acqua scarseggiava un po' ma non importava, loro erano felici anche d'inverno e non vedevano l'ora che arrivasse l'estate per potersi rincorrere di nuovo a piedi nudi, per sentire il sole bruciare il collo e avere gli occhi e il volto ricoperti da quella terra secca e sottile. Si divertiva sempre e l'inverno gli piaceva molto e correva, correva più che poteva ma sapeva che non sarebbe mai più stato in grado di volare, non senza di lui. Tra poco sarebbe passato un anno, avrebbe affrontato la sua prima estate senza di lui ma non si preoccupava, non ci pensava più, era arrabbiato. Era arrabbiato perché se n'era andato così bruscamente; gi aveva rubato il cuore ed era morto, era un ladro egoista, non aveva pensato a lui quando se n'era andato. Voleva solamente comprare quello stupido aquilone che non si era mai potuto permettere e ha corso come un pazzo verso una meta irraggiungibile e improvvisamente l'aveva lasciato, caduto per terra ad un passo da lui, pugnalato alle spalle. Aveva lasciato il sogno a metà, l'altra parte l'aveva persa per strada tra le grida di aiuto. Non l'avrebbe mai più rivisto, non voleva mai più vederlo neanche attraverso quel pezzo di legno secco a forma di croce piantato tra gli anonimi morti. Disprezzava per coprire il dolore, mai un fiore su quella tomba ma non lo voleva ammettere, rifiutava di pensare che fosse morta anche una parte di lui.

Ma giunse di nuovo l'estate più calda che mai e un giorno alzò lo sguardo al cielo, vide il sole bruciare e per la prima volta un aquilone volare. Silenzioso sfregiava l'azzurro e padrone del vento danzava leggero come un uccello. Lo seguiva con gli occhi, elegante come le farfalle, fragile e resistente, lontano dai pericoli terreni lo vedeva allontanarsi guidato da un filo invisibile, chissà verso dove. Lo guardò e si ricordò di lui, di quanto gli piacessero gli aquiloni e si domandava ogni tanto osservandolo, quale fosse il suo segreto. Coglieva in lui una gioia, una pace assoluta quando alzava lo sguardo al cielo e viaggiava con gli aquiloni. Era completamente assorto da quel gioco e lui voleva tanto capire perchè, perchè tutto questo lo rendeva così felice. Glielo chiese spesso ma lui se ne stava sempre zitto e si limitava a sorridere; non lo capì mai. Ogni giorno d'estate il pomeriggio si alzavano nel cielo e loro due si fermavano a guardare in silenzio catturati dai brillanti colori. Ogni giorno lasciavano il gioco con gli altri bambini per vedere gli aquiloni, così alti da perdersi tra l'aria, così muti da gridare il loro potere. Quando ne vide uno per la prima volta decise che lo voleva e andarono dal costruttore di aquiloni; camminarono a lungo, dall'alto sembravano così vicini ma seguendoli si resero conto che arrivare era faticoso. " Voglio anche io un aquilone!", disse senza sapere ingenuo, che la bellezza aveva un costo che lui non poteva pagare. Tornarono indietro verso casa e per ammazzare lo sconforto giocava con la terra arida infilando i piedi uno alla volta sempre più in profondità, fino a sentire la freschezza dell'umido. Fu lì, per la prima volta, che osservò con attenzione i suoi vivaci piendini e notò che in base ai suoi stati d'animo, alle sue emozioni, avevano sempre dei movimenti diversi. Adesso con il caldo avrebbero giocato scalzi, si sarebbe ricordato di lui sì e non solo per i piedi e per gli aquiloni ma perchè oramai quella strada non la percorreva più nessuno, spoglia e desolata era diventata maledetta e le persone avevano paura. Si fermava a guardare di sfuggita in quella direzione e correva avanti coprendo coi passi i ricordi, perchè quella era la via dove un giovane innocente improvvisamente era caduto morto. Questo era quello che vociferava la gente e nessuno oramai guardava più in quella direzione.

Ma per lui quella era la via in cui aveva perso, si sentiva sconfitto e sopraffatto dai ricordi, lì erano morti in due perchè era morto il loro legame, erano morti i loro sorrisi, il suo coraggio, era scoppiato il suo cuore in mille pezzi e li sentiva vagare tuttora dentro il suo fragile petto, lo sentiva in gola il cuore toccare le corde vocali e bloccarsi tra la voce e il respiro, lo sentiva mentre ordinava senza sosta alle lacrime di scendere, di ferire quel che rimaneva di lui. Chi era lui? Era come quella lacrima che racchiudeva in sè tutta la sua sofferenza e silenziosa si schiantava pesante sul suolo sommersa dalla terra, nascosta per sempre agli occhi degli altri. Era così, sofferenza coperta dalla terra e quando gli succedeva di impazzire, quando in lui dentro tutto prendeva una direzione diversa in balia del caos, si accucciava e si stringeva forte le braccia con la testa nel tentativo di fermare i suoi pensieri, i suoi problemi; voleva fermarsi sì, frenare, tornare indietro e ripercorrere quei passi e continuare all'infinito fino a non vedere più niente, accelerare fino a raggiungere il limite e sapeva che oltre quel limite avrebbe trovato per sempre la pace. Ma rimaneva lì fisso immobile in piedi lasciando il tempo trapassare le sue spalle e percepiva il presente avanzare contro di lui e investirlo, penetrarlo mentre il passato lo raggiungeva da dietro, lo travolgeva completamente e lo superava. Era tutto molto chiaro e lui voleva essere sordo, voleva fosse meno importante infatti aveva imparato a dare meno valore alla gente, a non avvinghiarsi più a nessun tipo di anima simile alla sua altrimenti abrebbe passato di nuovo quest'inferno.

Ma un giorno si svegliò e si alzò dal letto diverso, si vestì e uscì fuori a guardare il sole, a sentire il vento e vide l'aquilone nel cielo volare. D'un tratto capì perchè gli aquiloni lo rendevano così felice, capì perchè non glielo disse mai, era così semplice, talmente semplice che se ne stava sempre lì a guardare e a sorridere. Perchè sono irraggiungibili. E lui voleva essere irraggiungibile come gli aquiloni, voleva scappare e fuggire sempre più in alto, sempre più lontano, prendere il volo e diventare come loro. Rideva perchè sapeva di non poterli mai toccare e questo lo divertiva da pazzi; correva solo per il bello di correre e in fondo sapeva che sarebbe successo qualcosa se avesse provato a raggiungere l'irragiungibile. Quel giorno decise che gli avrebbe comprato un aquilone e glielo avrebbe portato. Percorse quella via tranquilla guardando sempre verso l'alto, verso gli aquiloni come facevano loro due, guardò quell'uomo abbronzato negli occhi e comprò l'aquilone più bello che aveva. Tornò indietro senza giocarci e lungo il tragitto imparò una cosa importante: imparò a lasciarlo andare per sempre, imparò a liberarsi l'anima da quel carico di ricordi, a cancellare e a tagliare quel legame di sofferenza. Andò al cimitero, raggiunse la sua croce:" Ti ho fatto un regalo amico mio", avvolse l'aquilone stretto al legno e lo lasciò fluttuare, si pulì una lacrima col gomito e attese un attimo prima di andare. Era la prima volta che sentiva il canto frusciante dell'aquilone così da vicino.

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