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what if one of us have the guts tonight?

Amburgo, 2:22 am

Annientati.
Tutti quanti, annientati.
Dalle vostre menti, dal vostro ardore di vivere e morire, dal vostro sogno di libertà inumana e prigionia terrena. Annientati dall'El che canta celeste e fuori dall'ordinario, una melodia utopica che nessun essere può udire o comprendere.

Coperti di catrame, avvolti nella sordità terrena di questa dimensione, schiacciati dal non essere. Si muovono lente, le creazioni del circo nero. Per le strade, nelle scatole luminose, dietro le scrivanie. Insegnano e parlano la lingua dei sordi, predicano bugie, confessioni false.

Intaccano pareti bianche, intonse, le imbrattano e le sporcano a loro piacimento. Con brutti disegni, linee sconnesse volte a formare simboli bui, neri. Creazioni velenose che escono dalle parti più buie di questa dimensione.

Così con l'El, muore il canto della rivolta. La luce in fondo al tunnel viene giocosamente usata come distrazione da tutto il candore che c'è nel buio, da tutte le risorse che si possono prendere e schiacciare sotto il peso dell'utile.

Non è quella la via giusta. Non è quella la salvezza. Vi stanno ingannando tutti quanti. Quella è la strada verso la disfatta, hanno insegnato il falso a tutti da quando tutti ne abbiamo memoria. Ma non ce l'abbiamo, ce l'hanno bruciata.

Così muore, con esso, il riflesso dell'io nell'altra dimensione. Troppo pesante ormai, per scappare e librarsi nella volta, via verso l'oltre, lontano dal niente.

Così nella notte, muore anche una madre, con il figlio in braccio, piangente solitudine e rabbia. Le parche ne stanno pianificando il fato, inesistente nella mente di quest'uomo. Inesistente nella vita e nella mente di molti altri, fautori stessi della loro fine, raggruppati da tempo chissà dove e in quale vita. Ritornati unico, in questo girone dell'El.

Così ricomincia una vita, ricomincia un canto. Rialzato da corde vocali e cristalline parole, cariche di ira e risentimento. Carica di urla e colpi taglienti di lingua. Corpi che ascoltano e si fanno carico di tagli e squarci terreni, che non scalfiranno mai il ritorno, il nuovo inizio.

Così si innalzano, le voci della rivolta, alte verso l'El che inerme ora ascolta i suoi stessi figli, straziato, distrutto e ricostruito da capo, sotto le mani e gli occhi di chi, il capo abbassato, mai più riuscirà a tenerlo.

Questo, pensa Mikkel, mentre corre a rotta di collo giu per le vie buie del quartiere, è tutta la verità che gli serve sapere. Tutta la verità che gli basta tenere schiacciata nella sua scatola cranica, con la paura di perderla durante la corsa.

Ha paura che il vento sulla faccia gliela cancelli dalla testa. Ha paura che gliela rubino questa  verità, che qualche pensiero tossico gliela strappi e la ricopra di sporche bugie e distorsioni velenose. La vuole intonsa questa verità, non la vuole far toccare a niente e nessuno.

È l'unica cosa che ora fa muovere le sue gambe. L'unica cosa che gli resta per rimane lucido mentre scalpita come impazzito, con il fiato corto e le pupille dilatate dalla paura.

Troppo lontana casa sua, troppo vicino quel parcheggio. Voleva andarsene, in un'altra dimensione, viaggiare in un altro universo e sparire come niente, sotto la luce di quei lampioni, senza lasciare alcuna traccia.

Giu per le strade deserte, alla luce perlacea della luna e di quei lampioni così alti, Mikkel inciampa nei suoi stessi passi mentre i polmoni collassano. Perde pezzi, li ritrova, continua a correre più veloce di prima.

Una macchia verde che rotola sul grigio dell'asfalto. Con quelle mani bambine guantate di un rosso carminio che non è il suo. Appartenente invece alle arterie di qualcun altro.

Un parcheggio lontano, qualche luce al neon di troppo e l'odore della morte.

Mikkel non l'aveva mai sentito per davvero l'odore della morte. Non sapeva neanche come immaginarselo. Non voleva farlo.
Lui che l'aveva sempre portata con se, come un marchio sul suo nome. La morte.

Era tanto vicina come parola. Da sempre lo rincorreva, tutti lo sapevano, tutti ne parlavano. Ma Mikkel di persona non ci si era mai scontrato.

Poi ad un tratto, ecco che lì, sulla cima della vetta, all'inizio della strada, un'ombra ride alle sue spalle. Lo sbeffeggia, cattiva e insolente.

Con i capelli scarmigliati ed un rivolo rosso che corre giu per una narice, l'ombra ride di Mikkel. Con i suoi stessi occhi annacquati ed i suoi stessi canini bianchi, l'ombra continua a ridere, scintillante nella notte.

Mikkel corre ancora, inciampa e cade di faccia.

L'impatto con i ciottoli lo ammazza, lo stordisce fin dentro alle ossa. Sente il corpo tremare sotto l'urto, sdraiato sul freddo delle pietre ora nere, ora bianche, non sente più nulla.

Il cuore pompa impazzito mentre gli esplode in gola e lui quasi si strozza con il suo stesso fiato.

Uno, due, tre, respira.

Una nebulosa calda che gli avvolge le braccia ed il collo, corre veloce verso la sua testa, lo imprigiona e lo amalgama. Si impadronisce di lui, impotente, inerme sulla strada.

Uno, due, tre...
ho
Mikkel non si muove ma gira gli occhi rotti, su, verso la via, verso la vetta. L'ombra è ancora lì, con la sua risata bambina e cristallina, lo sbeffeggia, piegata in due, mentre ride di pancia.

Poi alza il capo e Mikkel si vede. In cima alla strada, mentre ride e si sbeffeggia, piegato in due dalle risate. Con gli occhi annacquati ora così limpidi, ed i canini perlacei ora più brillanti.

Mikkel ride nel buio, vestito di un rosso e di una fanciullezza che non gli appartengono più.

Una luce solitaria si fa spazio nella pece. Una voce lontana si attacca al telefono ed inizia ad urlare parole sconnesse bagnate di lacrime.

Mikkel non le sente, ha le palpebre sbarrate, incastrate sulla cima della via. L'ombra non lo molla, con quell'indice puntato e la risata distorta che gli perfora i timpani.

Continua a gracchiare, piegata in due, i capelli fuori posto, la camicia imbrattata e le dita carminie. Se le guarda, le passa una ad una come non fossero sue.

Il viso si squarcia con una bocca tremante, i polpastrelli sussultano a mezz'aria mentre vengono mossi uno ad uno. L'ombra ride ancora, con gli occhi ora non più annacquati, ma pieni e impazziti.

«Stai fermo lì»

Buio. Si sente solo questo ora. Il nero della notte ed un silenzio calmo, spezzato di netto.

Mikkel si volta.

È in cima alla via, con i denti bianchi scoperti e le mani bambine alzate a mezz'aria. Se le guarda ancora mentre tremano. Sono sporche, sono rosse.

«Non ti muovere, ok?»

La luce lampeggiante gli perfora le pupille dilatate. Il petto si alza e si abbassa, una risata sconosciuta gli risuona in testa. Non gli piace il rosso, lo vuole strappare via dalle sue mani e dalla sua camicia.

Non lo vuole più vedere, ma gli lampeggia in viso mentre muove lo sguardo dall'uomo davanti a se a quello che gli sta intorno.

Uno, due, tre, respira.

«Credo di aver fatto del male a qualcuno»

Poi un sibilo acuto, due timpani esplodono e nient'altro che notte.

Aufständischen - le voci della rivoltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora