Per Taehyung le montagne sapevano di sabbia, così come la vita umana aveva il profumo di polvere lasciata bruciare al sole.
Aveva sempre odiato la gente in generale, l'iposcrisia e la mancanza di verità che inpregnava la nostra società. Che ormai era un telo che pendeva sulle nostre teste, prossimo al collasso.
Ci vantiamo infatti, del nostro essere razionali e perpetui, di aver vinto l'anonimato della morte con il per sempre di una parola incisa su carta. Eppure sappiamo, in qualche oscuro e contorto meandro della nostra limitativa razionalità, che la nostra è solo un convinzione per allietare giornate monotone, gabbie attorno ai nostri istinti primordiali.Ma sorridiamo, perché se la memoria dura più di un secolo, la parola scritta dura più di mille generazioni. L'unica cosa che può sconfiggerla, è il cammino inesorabile di madre natura, che marcia verso la decomposizione di quel nostro gingillo, lanciato nell'oceano.
Ma noi ci sentiamo comunque potenti, sabbia che seppure insulsa, racchiude le meraviglie di conchiglie erose.Diamo per scontato così tante cose, noi umani, come Licurgo, che dallo splendore del suo trono si credeva tanto invincibile, da accecare persino Dioniso.
E Taehyung aveva dato per scontato Jimin. Come l'erba del suo giardino, che pensava sarebbe ricrescuta, dopo averla tagliata. O anche che la pittura spennellata sul suo quadro avrebbe mantenuto i suoi colori accesi per sempre.
Quanti scherzi che ci gioca il concetto di eternità.
E invece, l'erba non era più cresciuta, lasciando una macchia marrone nel prato, che puntualmente, ad ogni pioggia, si trasformava in fango; i suoi quadri, lasciati marcire all'ombra dell'insicurezza di un'artista acerbo, stavano seminando semi di colore su un parquet scricchiolante, dove la polvere si posava delicatamente.
E ora, Jimin era steso e non respirava.Taehyung odiava gli ospedali, lo aveva sempre fatto. Forse perché i muri bianchi erano impregnati di troppe emozioni, che lo facevano impallidire di fronte a quella che era la sua vita mediocre; o forse perché andavano contro ogni preconcetto che l'uomo si era autoimposto con le religioni : il riassumere in un unico edificio la vita, la morte e il dolore.
Queste sono i tre pilastri che gravano sull'esistenza, che la incatenano in un corpo celeste che prima brilla, poi si stringe, e infine muore, costellato da tanti effimeri piaceri ridicoli, che viaggiavano imperterriti verso il nucleo di quel piccolo grande buco nero.
E che poi vengono inghiottiti.
Per tutta la sua miserabile esistenza da uomo comune, che sarebbe morto senza che nessuno si sarebbe ricordato di lui, aveva vissuto secondo questi tre semplici concetti, alternando la depressione nel contenere una mente più vasta del suo fiacco corpo, a quelli di euforia dovuti ad un orgasmo soddisfacente.
Insomma, lui era un buco nero vorace e determinato a sterminare ogni piccola e bella cosa che gli girava attorno. Eppure, Jimin, per lui non era mai stato una semplice stella.
Bensì una galassia distante e colorata, lucente e splendete. Così pura, da aver paura di sfiorarla.Lui era l'artista maledetto, colui la cui mente non comandava il corpo, i cui desideri erano solo puerili e faciullesche speranze per il futuro, mentre le mani erano semplici prolungamenti del suo cervello. Difettosi, però, perche sembravano non rispondere a nessun stimolo impartito.
Jimin, invece, era la tela perfetta. Bianca immacolata, eppure così eloquente nella sua semplicità. Jimin era il biancore nella testa martoriata di un'anima altrettanto consumata dalla vita, che sa di non meritarsi tale qualità per i suoi quadri, ma che, egoisticamente, la conserva nella cantina polverosa, sperando che le sue mani si trsformino improvvisamente in degne messagere per tanta meraviglia.
Che si trasformino negli sbocchi che possano far liberare il suo corpo dalla voglia di fare qualcosa di grande.E così aveva fatto anche quella sera. Sapeva che era affamato di vita, aveva vista una preda succulenta ed era subito corso ad azzannarla, lasciando Jimin dietro.
Jimin doveva rimanere incontaminato, lontano dal suo mantello sporco e strappato di oscure passioni e peccati. Che gravavano sulla sua anima.Ma, giustamente, la galassia si stava allontanado sempre di più, stanca di aspettare un vecchio ed esitante buco nero, cadendo però nella trappola di un altro cannibale.
Ora, da lontano, la vedeva combattere per la vita, vicina alle fauci del mostro, sull'orlo della morte. Ma il Bene non si è mai piegato al male e, combattivo, lottava con ogni fibra del suo corpo.
Ma se il corpo muore, così ogni cosa che contiene perisce.
Perché per quanto possiamo sforzarci di dare un'identità ultraterrena a ciò che consideriamo degno di valore, sarà sempre e solo un temporaneo cumulo di polvere.E a Taehyung non rimaneva nulla, se non pregare. Mani cinte, sguardo piegato, lacrime negli occhi. Corona di spine a cingergli il capo, sussurri trattenuti per non tramutarsi in dighe.
Se solo fosse abbastanza capace da porre quel quadro in un'eterna teca, magari Jimin avrebbe sfiorato l'eternità.
《 Torna da me, amore mio, ho così tanto da dirti, così tanto da dedicarti.... Dammi un'ultima possibilità, solo una, per purificarmi e raggiungerti nell'eterno Empireo che si staglia sopra di noi, così da saperti amare come solo tu meriti.....》.
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"AUREOLA DI BUGIE" |vmin
Fanfiction• • • 《 Quante bugie diceva Taehyung. Tante, troppe. E Jimin se le ricordava tutte, una per una, impilate nell'immensa e polverosa biblioteca che era la sua innoc...