L'eco sul mare

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La casa era stata assorbita dal silenzio per tutte le ore precedenti al loro ingresso; ogni oggetto sembrava in pace, in uno stato di tranquillità quasi umano – come se il divano non fosse semplicemente un oggetto buttato lì, in mezzo al soggiorno, ma avesse deciso di tacere e rimanere immobile, in casa, aspettandoli. Namjoon aprì la porta d'ingresso e le loro risate riempirono quello spazio quieto; tutto sembrò prendere vita al loro passaggio, colorandosi del loro passeggiare sbilenco tenendosi per mano, ubriachi di vita e birra scadente, in piena notte. Dalle tapparelle abbassate passava la luce di qualche macchina di passaggio, tra gli spiragli del legno, illuminando ad intermittenza parti del corridoio il tanto da farli camminare sicuri tra le scarpe buttate a terra e il tappeto. Namjoon aveva fatto una voce buffa, senza neanche farlo apposta, aprendo il portone del suo palazzo; Seokjin aveva cominciato a ridere a crepapelle senza più fermarsi. Avevano continuato a ridere uno dell'altro, sommessi, con le lacrime agli occhi, dimenticandosi di quella voce buffa. Erano stupidamente felici, quei due, con le dita a cercarsi nel buio.

Seokjin continuava a pensare che quella sembrava proprio una delle serate più incredibili che avesse mai vissuto in vita sua, anche se non gli era chiaro perché. Non ci aveva capito nulla dell'incontro, aveva chiesto più volte a Namjoon nelle pause, ma aveva ottenuto ben poco riscontro, troppo occupato ad aiutare Yoongi e a parlare con il padre. Quando Peppermint aveva vinto Seokjin ci aveva messo un po' a capirlo. Il pubblico era esploso in ovazioni e applausi, il commentatore quasi non si sentiva, e Seokjin aveva spostato lo sguardo su Namjoon per capire cosa stesse succedendo. Gli era bastato uno sguardo per capire che avevano vinto. Seokjin aveva pensato: "Abbiamo vinto!". Abbiamo. Aveva continuato a pensare al plurale, includendosi come se lui stesso avesse fatto qualcosa. Forse era solo un modo di dire da "tifoso" – per quanto potesse esserlo. Forse, invece, era dato dal fatto che Namjoon aveva abbracciato il padre e, poi, era andato subito da Seokjin, lo aveva sollevato, lo aveva baciato e gli aveva detto: «Abbiamo vinto! Amore, abbiamo vinto!»

Amore. Abbiamo. Namjoon. Era passato così poco da quando lo aveva visto per la prima volta dalla finestra, eppure non aveva paura, anzi, si crogiolava in quelle sensazioni totalizzanti che portavano via ogni altra cosa. Gli stava dando tutto di sé stesso: emozioni, tempo, ogni pensiero, ogni azione; gli aveva regalato il suo passato, perché nulla del prima sembrava più avere importanza; gli stava dando ogni istante del suo presente, completamente, non solo avendolo con sé, ma avendolo pienamente concentrato solo e soltanto su Namjoon; gli stava donando il suo futuro, perché, ormai, Seokjin era completamente fottuto.

«Sono completamente fottuto».

Namjoon si girò a guardarlo leggermente preoccupato: «Non ti senti bene?» gli chiese, interrompendo senza fatica quella risata a metà. Seokjin sorrise, scosse la testa. «Dimmelo se ti viene da vomitare», gli accarezzò il volto, «Hai bevuto troppo».

Seokjin scoppiò a ridere: «Si vede che non sei un bevitore».

Entrarono in stanza punzecchiandosi come al solito, beandosi del fatto che fosse una cosa loro – come se nessun'altra coppia al mondo si prendesse in giro così bene. Seokjin gli elencava tutti i superalcolici che beveva per gusto e delizia, decisamente più forti della birra del discount. Namjoon gli descriveva le peggio sbronze che aveva preso dopo litri e litri di birra o vino in cartone buttato giù. Alla fine, avevano concluso con Namjoon non aveva classe, e che Seokjin era ubriaco, ma non di birra: «Tu sei ubriaco di me tanto, lo sappiamo entrambi». Seokjin avrebbe voluto ribattere, ma Namjoon lo aveva preso per i fianchi e si era avvicinato al suo volto piano, guardandolo negli occhi, poi lo aveva baciato con dolcezza, in un modo carino che era tutto suo, tutto loro, e non era loro modo per niente. Tanto ogni cosa loro era loro e Seokjin era davvero ubriaco di Namjoon e completamente fottuto.

Seokjin provò ad approfondire il bacio, ma Namjoon si allontanò di poco, interrompendolo del tutto: «Ho una cosa da farti vedere».

«Devo avere paura?»

«Sempre».

Risero, Seokjin non ebbe nessuna paura. Non ne aveva avuta quando lo aveva invitato a rimanere alla festa della vittoria, non aveva avuto paura quando lo aveva baciato davanti a tutti, in quel bar nauseabondo e appiccicoso. Non aveva avuto nessuna paura neanche quando Peppermint, ubriaco marcio, si era inginocchiato davanti alla sua fidanzata e le aveva chiesto di sposarlo offrendogli la sua cintura e Namjoon gli aveva sussurrato: «Non ti preoccupare, quando lo farò io avrai un bell'anello». Lo aveva trovato carino, aveva riso, aveva sentito il cuore accaldarsi, aveva immaginato anche il momento, anche se stava scherzando.

Namjoon lo prese per mano e lo portò alla porta finestra, la spalancò e gli mostrò la vista: il palazzo davanti, la strada semivuota, i lampioni illuminati. Seokjin si poggiò con le mani alla ringhiera, abbassò lo sguardo notando quanto fosse corto il balcone – non ci stavano nemmeno i suoi piedi – e poi alzò lo sguardo al cielo, rendendosi conto che non riusciva a scorgere neppure una stella, troppa l'illuminazione artificiale. «Cosa devo guardare?»

Namjoon non rispose, si allontanò un istante, accese lo stereo – già impostato sulla canzone giusta, perché si era preparato il momento – e tornò da lui nell'istante esatto in cui una canzone che entrambi conoscevano bene partì.

Seokjin non ebbe paura, ma si sentì arrossire, si sentì incredibilmente fortunato e felice, si sentì stupidamente innamorato, mentre "Unchained Melody" – la colonna sonora di Ghost – riempiva la stanza e il mento di Namjoon si poggiava alla sua spalla, così tremendamente vicino al suo orecchio.

Seokjin non ebbe nessuna paura neanche quando Namjoon cominciò a cantargli la canzone all'orecchio; chiuse gli occhi, ascoltò la sua voce calda, si lasciò andare completamente alle emozioni, ad un passo dal voltarsi e ringraziarlo di ogni cosa. Seokjin si rese conto di sorridere solo quando ridacchiò ad una stonatura, quando lui gli diede un pizzico leggero al fianco per fargli pagare la presa in giro, quando gli fecero male le guance mentre le braccia di Namjoon lo strinsero a sé forte.

«Sono il tuo Patrick Swayze?» chiese sottovoce, interrompendo la canzone. Seokjin annuì tenendo gli occhi chiusi, mentre dondolava impercettibilmente a tempo di musica. «Seokjin...»

«Dimmi».

«Ti amo».

Seokjin riaprì gli occhi e trattenne il respiro, smise di ballare, smise di sentire la musica. C'erano solo quelle due parole a rimbombargli nella testa, ma in modo silenzioso, le sentiva più con il cuore che con le orecchie. Sembrava un eco sul mare.

Namjoon rimase in silenzio, ma sentiva il proprio cuore battergli forte in petto, spaventato da ciò che gli aveva appena rivelato. Era vero, ormai ci pensava da giorni, e non si vergognava di ciò che provava per Seokjin. Era capitato e basta – era inutile far finta di niente – ma Namjoon aveva paura, paura che si spaventasse per come le cose stessero andando veloci. Perché era vero, le cose erano veloci, tra loro, e se fosse stato chiunque altro non avrebbe avuto tutta questa fretta, ma con Seokjin non riusciva a fermare ciò che provava.

Seokjin si girò piano, con il volto ancora stupito, ma non scappò, non distolse lo sguardo, non provò a scherzarci su. Seokjin fissò Namjoon negli occhi e in un sussurro rispose: «Voglio fare l'amore con te».

I tre Pretendenti - {Namjin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora