Jab al Pier 18

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La linea dell'R14P passava lungo il corso del quartiere spagnolo, fermava solo qualche minuto a Tuna Square, poi ripartiva e scendeva fino al molo, girava a sinistra e continuava per tutto il lungomare che, sfortunatamente, rispetto ad altri paesi statunitensi non si poteva dire una bellezza per gli occhi: barche sporche, marinai con le braccia rosse di sangue, camioncini e moto posteggiate in doppia fila che caricavano il pescato fresco, clochard ancora dormienti tra i loro cartoni o davanti ad un barile in fiamme.

Hoseok aveva scelto appositamente un posto sulla sinistra del pullman, così da affacciarsi alla parte opposta della strada che, sebbene non fosse tutta questa eleganza almeno non prevedeva la vista di pesce sventrato e ammassato in casse di plastica; non era uno tipo schizzinoso, ma dopo aver lavorato per sei mesi al molo – qualche anno prima – non riusciva più a vedere una di quelle casse senza che alla memoria gli tornasse l'odore di pesce.

Quando Namjoon lo aveva invitato a passare alla palestra Hoseok aveva accettato immediatamente, senza farsi tanti problemi, e quando gli aveva specificato dove fosse – alla fine del Pier 18, a tre negozi di distanza dalla fermata del pullman – il ventiseienne si era ritrovato a ridere, stupito dal fatto che per sei lunghi – lunghissimi, nella sua memoria – mesi fosse sceso ogni mattina a quella stessa fermata e avesse pranzato proprio nella piccola mensa italiana a fianco alla palestra. «Com'è piccolo il mondo.» aveva risposto Namjoon, raccontandogli che "Da Pina" – la minuscola mensa – era anche per lui un ritrovo quasi giornaliero, che la proprietaria era per lui quasi una zia acquisita – data anche l'amicizia con il padre, con il quale faceva lunghe chiacchierate in italiano – e che probabilmente i due si fossero pure incrociati, ma che non si erano mai calcolati. (Perché avrebbero dovuto, tra l'altro).

Hoseok e Namjoon avevano fatto amicizia velocemente – l'erba fumata insieme è sempre un buon metodo per fare amicizia – e fare pausa assieme alla villa, facendo due chiacchiere o mangiando un panino fuori dal cancello in pausa pranzo – scendere fino al Ghetto per trovare un bar con un costo abbordabile non era certo possibile – era diventata una piacevole abitudine. Era venuto naturale, a Namjoon, chiedere all'altro di venirlo a trovare quando alla domanda di cosa avrebbe fatto il giorno seguente – giorno di pausa per entrambi – gli era stato risposto: «Un gran cazzo di niente». E, così, Hoseok si era ritrovato a scendere dall'autobus davanti al Pier 18, arricciando il naso all'odore di pesce nell'aria e attraversando la strada velocemente, incamminandosi verso la mensa che ricordava perfettamente dove fosse; la oltrepassò – notando con un pizzico di malinconia che avesse cambiato l'insegna – e si fermò davanti all'ingresso successivo.

La Palestra Vitali – così recitava la grossa scritta sopra la porta – era ubicata dentro un grosso capannone, posizionato tra due edifici perfettamente adiacenti ad esso, ma parecchi piani più alti; c'era un solo ingresso – almeno che dava sulla strada – ed era centrato esattamente a metà della parete, un muro di circa quindici metri – o così sembrava al ventiseienne. Quando Hoseok spinse il portone di metallo rosso scoprì che se era lunga davvero quindici metri era sicuramente profonda almeno il doppio: tre ring erano disseminati in modo alterno all'interno della palestra, ai lati dei muri vi erano ganci con attaccati sacconi, corde pesanti e piccoli pungiball; non c'erano attrezzature moderne all'interno del capannone – non un tapis roulant, non un vogatore, un ellittica – ma c'erano panche e manubri, tante da essere persino libere – sebbene la palestra non fosse per niente vuota. Hoseok fece un profondo respiro e se ne pentì immediatamente perché venne investito da un forte odore di sudore, arricciò il naso e cominciò a respirare con la bocca. «Ehi, scusami.» chiese al primo ragazzo che gli passò davanti, un tipo alto e con talmente tanti muscoli da sembrare finto «Conosci Namjoon?»

«Vitali?» chiese, sebbene fosse ovvio di chi stesse parlando e non aspettò neppure conferma, girandosi verso il resto della palestra e indicando il ring più lontano «Si sta allenando con Peppermint».

I tre Pretendenti - {Namjin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora