shot

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Essere bambini poteva essere parecchio faticoso. Gli adulti dicevano sempre che sarebbe stato bello tornare piccoli, quando non avevano preoccupazioni, non dovevano andare al lavoro, non dovevano pagare le tasse, non dovevano pensare a niente.
Louis William Tomlinson, otto anni e mezzo e un nome più lungo di lui, come gli diceva sempre sua nonna, facendolo arrabbiare, non era affatto d'accordo. Insomma, cosa potevano saperne i grandi di cosa volesse dire essere un bambino? Di quanto potesse essere stressante dover tenere in ordine la propria cameretta, fare i compiti tutti i giorni e soprattutto riuscire a fare goal durante le partite di calcetto al parco?
Questo, forse era il suo problema principale. La sua squadra perdeva sempre e, a volerla dire tutta, non era nemmeno colpa sua.
Liam e Zayn se la cavavano piuttosto bene (almeno quando non litigavano tra di loro per chi dovesse stare in attacco e chi in difesa); il problema pricipale, come sempre, era Harry.
Non che gliel'avesse mai detto, ovviamente, ma avere in squadra un bambino di sei anni, magrolino e totalmente scoordinato, non era il modo migliore per vincere le partite. Per di più era tremendamente impegnativo. Erano più i pomeriggi passati a difenderlo da quelli che lo prendevano in giro (Louis dava dei calci negli stinchi piuttosto temibili, aveva scoperto), oppure alla fontanella del parco per bagnargli le ginocchia sbucciate, che quelli passati a giocare.
Però erano amici, e per gli amici si faceva anche questo, tanto più che Harry abitava nella casa di fronte alla sua e passavano insieme intere giornate, nonostante le età diverse. Louis era abbastanza egocentrico da adorare il fatto di avere accanto qualcuno che sembrasse venerarlo, e per di più non era male ogni tanto avere un po' di compagnia maschile. Lottie, la sua sorellina di un anno, stava imparando a camminare, e sua mamma come se non bastasse era incinta.
Di un'altra femmina. Ugh.
E poi uno diceva che i bambini non avessero nessun pensiero al mondo!
Per tutte queste ragioni, Louis stava guardando male suo nonno, mentre lui, dimenando il bastone, si lamentava della vecchiaia, e di quanto sarebbe stato bello invece avere la sua età.
-Che cazzata- sbottò, incrociando le braccia e sedendosi all'angolo del divano.
-Ragazzino!- spalancò la bocca il nonno, per la sorpresa -Dove hai imparato questi termini?-
Louis alzò le spalle. Forse non era il caso di dirgli che al parco ne aveva imparati anche di peggiori. Ruth, la sorella di Liam, e il suo ragazzo, erano stati parecchio dettagliati nell'illustrare il ventaglio di espressioni colorite che si potevano usare nel mondo dei grandi.
Ovviamente sua madre scelse giusto quel momento per arrivare in sala, così da poter sentire tutto. Louis venne messo istantaneamente in punizione, costretto a rimanere in cucina con in bocca una saponetta per ben cinque minuti.
-Mphmph-
-Cosa tesoro?- chiese candidamente sua madre dopo due minuti, continuando a lavare i piatti.
Louis si tolse la saponetta di bocca per un attimo.
-Fa schifo mamma- protestò -Sto per vomitare-
-Tutta salute- cinguettò Jay allegra -Vedrai che la prossima volta ti ricorderai di moderare il linguaggio-
Rassegnato, Louis si ficcò di nuovo in bocca la saponetta. Sapeva di lavanda, per di più, e lui odiava la lavanda.
Fortunatamente, come sempre, ci pensò Harry a salvarlo.
Erano passati esattamente quattro minuti e ventidue secondi, quando il campanello suonò. Di volata, Louis corse ad aprire, sputando la saponetta sul tavolo, insieme a un quantitativo considerevole di saliva.
-Louis!- lo richiamò sua madre, a metà tra lo spazientito e il rassegnato, ma lui già non l'ascoltava più.
Aprì di schianto la porta, ed Harry era lì, un cappellino con le orecchie da orso a coprirgli i ricci e le guance rosse per il freddo.
-Andiamo?- gli disse semplicemente.
Louis annuì, e Harry si voltò a salutare Anne, sua madre, ferma sulla porta di casa loro, in attesa che il figlio entrasse e fosse al sicuro.
-Mammaaaaaaaaa- urlò Louis, già infilandosi la giacca -Noi siamo pronti-
Johanna uscì dalla cucina, asciugandosi le mani in uno strofinaccio.
-Eccomi! Oh, ciao Haz!-
Gli fece una carezza veloce sulla guancia, quindi avvisò il padre che sarebbero usciti e, dopo aver messo la piccola Lottie nel passeggino, bardata come se dovessero salire sull'Everest, finalmente furono in strada.
Era il 20 di Dicembre, e Louis era più che elettrizzato dal fatto che mancassero solo quattro giorni al suo compleanno. Tutta la città era già stata addobbata, e luci colorate brillavano ad ogni angolo, perchè quello sarebbe stato un giorno di festa per tutti.
-Ragazzi, siete proprio sicuri di volere il gelato?- chiese Johanna, spingendo il passeggino. Lottie sbatteva i piedini, gorgogliando fastidiosamente. Louis trattenne una smorfia, al pensiero che nel giro di cinque mesi avrebbe avuto un'altra di quelle cose in giro per casa.
-Certo- rispose poi, sicuro -Cioccolato e menta!-
-Harry, anche tu?- si assicurò sua madre.
-Quello che prende Louis- rispose il bimbo, sbattendo gli enormi occhi verdi.
Louis gli rivolse un gran sorriso, dandogli una piccola spallata, che in realtà lo spostò di mezzo metro.
-Boo, non essere irruento- lo riprese subito sua madre, dirigendosi verso la gelateria.
Louis sbuffò, poi rimase ad occhi aperti nel vedere la meravigliosa tenda ricoperta di luci fuori dal negozio.
-Hai visto Haz?- disse a quel punto, indicandole -Si stanno tutti preparando per il mio compleanno-
Harry si morse il labbro inferiore, un'espressione confusa sul viso, mentre con gli occhi guardava prima Louis, poi le luci, poi Johanna.
-Sì...- mormorò infine, leggermente incerto, ma Louis non se ne curò, troppo eccitato.
Stava già correndo dentro la gelateria, quindi non potè vedere la carezza comprensiva che Johanna fece sul cappello di Harry, spostando appena le orecchie dell'orso.


It hurts to say but I want you to stayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora