L'anima dell'astuto è come la serpe: liscia, lucente, lubrica, fredda.
(Niccolò Tommaseo)Hogwarts, 15 maggio 1972
Una luce dai riflessi verdognoli penetrava incerta dalle ampie e strette vetrate del dormitorio, creando un suggestivo gioco di chiaroscuri con le lampade accese. La ricercatezza dell'arredamento, come la scrivania di ottima fattura, il letto dagli intarsi preziosi o il tappeto kilim intessuto a mano, contribuivano a rendere l'ambiente estremamente raffinato, degno degli eredi più prestigiosi della Casa Serpeverde. L'aria era pregna di un profumo fresco e legnoso che, dal bagno, si era diffuso nell'ambiente insieme ai vapori della doccia, rendendo l'atmosfera del sotterraneo più umida del solito.
Era quasi ora di cena, e Lucius Malfoy stava terminando di prepararsi per andare in Sala Grande. Prese la giacca scura, poggiata sullo schienale della sedia in ciliegio, e la indossò velocemente.
Si guardò allo specchio portando la mano destra sul nodo della cravatta verde argento, correggendo un'imperfezione inesistente.
Era elegantissimo, come sempre, anche con la divisa della scuola.
Esaminò con attenzione l'immagine riflessa davanti a sé, indugiando a lungo sulla propria figura, nel tentativo di trovare un difetto per poterlo sistemare in tempo.
Prima di vedere lei...
Un lungo sospiro uscì dalle sue labbra a questo pensiero. Tornò a guardare il proprio riflesso, scrutando gli occhi azzurri dalle incredibili sfumature grigie, il viso affilato e altero, le labbra ben delineate.
Perfetto.
Sì, il suo aspetto in quel momento era sicuramente privo di difetti, ma dentro sentiva qualcosa d'indefinito che gli scuoteva i sensi e che neanche la doccia scozzese era riuscita a sedare.
Doveva ragionare, dannazione; non era uno stupido Tassorosso né un maledetto Grifondoro.
Era una Serpe, dopotutto, e le serpi vivono nell'ombra, calcolano e pianificano.
Diede un'occhiata veloce all'orologio appeso nella stanza.
Le sette meno dieci.
Si squadrò per un'ultima volta allo specchio lisciando i capelli chiarissimi – diventati troppo lunghi – stretti in una coda ordinata.
Era pronto.
Scese in Sala Comune, a quell'ora piena di studenti in fermento per la cena imminente, e si guardò intorno.
Come aveva immaginato, lei era lì.
La creatura più bella che avesse mai visto.
I lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri e l'incarnato chiaro l'avevano resa una delle fanciulle più ammirate e invidiate di Hogwarts. Ma ciò che affascinava Lucius erano i suoi gesti eleganti e aggraziati e la sua aria da nobile fanciulla Purosangue.
Si conoscevano fin dall'infanzia, da quando, durante le interminabili feste che venivano organizzate tra le varie famiglie appartenenti alle Sacre Ventotto, gli adulti si intrattenevano in noiosissime conversazioni e i bambini cercavano di sgattaiolare in giardino per giocare.
A quei tempi, Lucius non avrebbe scommesso un solo zellino su quella bambinetta tutta pelle e ossa, che restava in disparte quando i suoi amichetti cercavano di coinvolgerla nelle loro attività ludiche.
Da qualche tempo, invece, si era reso conto che quella giovane donna stava popolando i suoi sogni notturni in atteggiamenti che di amichevole avevano ben poco, facendolo svegliare tutto sudato e tremendamente eccitato.
Ci aveva provato, eccome, Salazar gli era testimone, a soffocare quel sottile turbamento che provava ogniqualvolta le si trovava vicino. Tanto che la sua mente, in primo momento aveva rifiutato ogni pensiero elaborato in tal senso relegandolo in un remoto angolo del suo cervello.
Poi si era arreso alla realtà.
Lucius Abraxas Malfoy si era invaghito perdutamente di una delle sorelle Black.
Non si trattava di una semplice cotta adolescenziale che si sarebbe esaurita in breve tempo tra le mura di Hogwarts, ne era cosciente; la desiderava, ma non soltanto come un ragazzo desidera una ragazza.
Voleva che fosse sua, per sempre. E per raggiungere il suo obiettivo avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Era una serpe, innamorata, ma pur sempre una serpe.
«È meravigliosa, vero?» Una mano si posò sulla sua spalla. Anche senza girarsi Lucius riconobbe la voce stentorea del suo amico Herbert Parkinson, Purosangue di antica nobiltà, ricco e assolutamente ambizioso.
Ma non quanto lui.
«Si, caro il mio Herbert, ma non è per te. È riserva privata di caccia, non te ne sei accorto?» Lucius si girò verso di lui, gli occhi grigi stretti in due fessure dure come l'acciaio, quasi volesse fulminarlo.
Era un vago senso di possesso che parlava al suo posto e che l'aveva portato a difendere Narcissa dalle attenzioni dell'amico come se fosse già la sua promessa sposa.
Il giovane Parkinson lo guardò interdetto per un secondo, poi, sorridendo gli diede una pacca sulla spalla. «Lo vedremo Malfoy, lo vedremo» disse, avviandosi verso l'uscita.
Il ragazzo lo seguì con gli occhi fino a quando non scomparve dalla sua vista, mentre rifletteva sulle sue parole. Da sempre in competizione con l'amico, non si era mai accorto che anche Herbert fosse attratto dalla giovane, verso la quale stava evidentemente concentrando le sue mire.
Sarebbero stati rivali pure in amore, ma questa era una sfida che doveva vincere per forza.
Lucius sorrise. Narcissa Black sarebbe diventata sua moglie.
A ogni costo.
Hogwarts, 22 maggio 1972
Era stata una settimana d'inferno: tra lezioni infinite in preparazione degli esami di fine anno e l'incarico di Prefetto della sua Casa, e Lucius ancora non aveva avuto il tempo di elaborare una strategia per ottenere la mano della ragazza di cui era innamorato.
L'aveva vista pochissimo, durante quei giorni, anche perché Narcissa, essendo di un anno più giovane, seguiva orari diversi dai suoi; ciò nonostante, quando Lucius la incrociava in Sala Comune, non perdeva occasione di osservarla con attenzione: il modo in cui si muoveva, eterea e delicata, oppure il suo sorriso, al tempo stesso cortese e riservato gli piacevano da morire.
E ogni volta si convinceva sempre di più della bontà della sua scelta, figurandosi nella mente scene della giovane nel suo ruolo futuro di Lady Malfoy.
Il salone di Malfoy Manor scintillante alla luce dei grandi lampadari, un quartetto d'archi che suonava melodie antiche, bicchieri pieni di costoso vino elfico della migliore qualità. E tra tutti lei. Bellissima in un abito azzurro come i suoi occhi, che sorrideva per accogliere gli ospiti, elegante e raffinata come solo lei poteva essere...
Già era perfetta. E sarebbe diventata un'impeccabile padrona di casa.
Avrebbe dovuto scrivere a suo padre circa la propria intenzione di impalmare Narcissa Black e si ripromise di farlo quanto prima. Le regole erano ferree: lui non avrebbe mai potuto chiedere la ragazza in sposa direttamente a Cygnus Black III, ma avrebbe dovuto farlo attraverso suo padre.
Sorrise al pensiero.
Abraxas Malfoy non avrebbe potuto desiderare di meglio per lui: non solo la giovane era una Purosangue, ma la famiglia dei Black, ricchissima e rispettata, apparteneva alle Sacre Ventotto, vantando tra i propri antenati anche un Preside di Hogwarts. Sicuramente non avrebbe avuto nulla da ridire.
Con questo proposito in mente si avviò con passo rapido verso l'aula di Trasfigurazione dove l'aspettava l'ennesima lezione con la Professoressa McGranitt.
Non era di certo la sua materia preferita: ogni volta la seguiva con malcelata noia, lo sguardo fisso sull'insegnante ma la mente altrove.
Mentre precorreva veloce il corridoio, la sua attenzione venne catturata da alcune voci che provenivano dal cortile. Cercando con gli occhi la fonte di quei suoni, vide davanti alla fontana due studenti che parlavano con un atteggiamento confidenziale. Riconobbe subito la figura massiccia di Herbert Parkinson che stava conversando amabilmente con una ragazza che non riuscì a identificare perché di spalle, anche se sembrava avere un'aria vagamente familiare.
Lucius si fermò dietro una colonna per osservarli meglio: Parkinson sorrideva alla giovane mentre, con il dorso della mano, le sfiorava una guancia in una carezza delicata. Lei abbassò la testa, come imbarazzata da quel gesto così intimo, girandosi leggermente verso sinistra. Fu allora che Lucius la riconobbe.
Era Narcissa. La sua Narcissa.
Il respiro gli si fermò in gola, gli occhi sgranati all'inverosimile mentre il suo cuore perdeva un battito.
Non poteva essere vero, non era lei.
Con una mano si portò nervosamente indietro i capelli biondissimi, mentre tentava
di avvicinarsi ancora un altro po' per cercare di capire cosa si stessero dicendo, tremando internamente di rabbia e di gelosia.
Narcissa si allontanò di poco, sedendosi su una panchina con estrema eleganza. Rialzò lo sguardo, ancora fisso a terra, quando il suo cavaliere le si inginocchiò davanti prendendole le mani. Le parole che le sussurrava sembravano quasi una dolce carezza, alla quali lei reagì arrossendo vistosamente.
A quella vista, Lucius chiuse gli occhi e, voltandosi, tornò sui suoi passi verso i sotterranei.
Come aveva potuto pensare che quella serpe di Parkinson non si sarebbe mai fatto avanti con Narcissa?
Qualche volta aveva sentito i suoi compagni commentare la bellezza delle studentesse, Serpeverde e non, e la giovane Black rientrava sempre tra le più ammirate.
Ma ciò che aveva visto nel cortile l'aveva sconvolto.
Doveva agire al più presto, altrimenti l'avrebbe perduta per sempre.
Quella sera Lucius non aveva affatto fame. La sua mano trascinava il cibo da una parte all'altra del piatto con la forchetta, quasi a cercare nell'arrosto o nelle patate la soluzione al suo problema, mentre la mente pensava ed elaborava.
Anche lei era lì, a tavola, parecchi posti più giù e, come lui, non sembrava avere molto appetito, il viso poggiato su una guancia e gli occhi azzurri persi dietro ai suoi pensieri.
«Sapete la novità?» La voce stridula di Verena Bulstrode arrivò all'orecchio del giovane Malfoy, nonostante non avesse alcuna voglia di ascoltare i pettegolezzi della giornata.«La nostra Cissy ha fatto colpo su Parkinson!».
A quelle parole Narcissa sembrò riemergere dalla bolla in cui si era isolata e, irrigidendosi sulla panca, cercò di nascondere il disappunto per l'atteggiamento poco riservato della compagna.
«Verena, cosa stai dicendo? Non essere sciocca» le rispose con distacco.
«Perché, vorresti negare che Parkinson è cotto di te?» Ribatté piccata l'altra. «Anzi, ti dirò di più. È così innamorato che, proprio questa sera, sta mandando un gufo a suo padre perché scriva al tuo per prendere accordi sul vostro matrimonio. Me l'ha confidato sua sorella Eleanor. Vedi che non è venuto a cena?».
Il rumore metallico di una posata sulla ceramica del piatto e Lucius aveva già scavalcato la panca per avviarsi verso l'uscita, il mantello svolazzante stretto addosso e il volto ancora più pallido del solito.
«Lucius! Dove vai?» Il richiamo dei suoi compagni si perse nel vociare caotico della cena.
Doveva agire subito. Non c'era tempo da perdere.
Si diresse come un fulmine verso i dormitori Serpeverde, pregando Salazar e Merlino che non fosse troppo tardi, ma andava così veloce che quasi scivolò sui gradini umidi dei sotterranei.
Appena entrò nella Sala Comune, si fermò all'improvviso.
Herbert Parkinson era chino su un tavolo, intento a scrivere una pergamena. Era talmente concentrato che non si accorse neanche della presenza del ragazzo.
«Parkinson» cominciò a dire, cercando di dissimulare la propria agitazione, mentre entrava nella stanza «non sei salito a cena. Non hai fame?» Il ragazzo alzò gli occhi dalla pergamena e lo fissò con sospetto.
«Lucius, no, non ho appetito e... poi, avevo da fare una cosa.» Rispose, tentando di coprire con le mani ciò che stava scrivendo. Il giovane Malfoy passeggiava lentamente per la Sala, senza una meta precisa, guardando le decorazioni come se le vedesse per la prima volta. Sembrava un predatore che, dopo aver adocchiato la sua vittima, studia il modo migliore per attaccare ed essere il più letale possibile.
«Ti posso aiutare, se vuoi» gli sussurrò mellifluo.
«Grazie, ma devo solo inviare un gufo a mio padre. Penso di potermela cavare. E ho appena terminato» rispose Herbert secco.
Lucius pensò che era il momento di agire. Si girò di spalle e, senza farsi notare dal compagno, lanciò un incantesimo non verbale in direzione dei dormitori. Dopo qualche secondo, un fumo denso cominciò a invadere l'ambiente.
«Ma cosa sta succedendo?» Il giovane Parkinson scattò in piedi verso la fonte di tutto quel fumo, mentre entravano anche altri studenti che, spaventati, accorsero ad aiutare Herbert. Lucius, fingendo di essere sorpreso, esclamò con la voce più concitata che gli potesse uscire: «Corro a chiamare qualche professore!» Poi, prendendo Parkinson per un braccio, gli disse «Se vuoi, dopo passo in guferia per spedire la tua pergamena».
«Te ne sarei grato Lucius, mi faresti un favore... ».
Il ragazzo gli sorrise, prese la lettera e, prima di uscire dalla Sala Comune, sussurrò «Mai come quello che stai facendo tu a me, Herbert... ».
Mentre i professori, accorsi per sedare l'incendio divampato misteriosamente nei dormitori, tentavano di capire cosa fosse successo, Lucius era già nella guferia e stava allacciando alla zampetta del primo volatile disponibile la missiva del suo compagno.
Guardò con aria soddisfatta l'animale allontanarsi in volo, già pregustando la sua vittoria.
Poi si avvicinò al suo gufo reale e, dopo averlo accarezzato, gli consegnò una lettera diretta a suo padre.
«Vai. Portala ad Abraxas Malfoy, Malfoy Manor».
Cinque giorni dopo, la Sala Comune dei Serpeverde risuonava delle urla di Herbert Parkinson che, terrorizzato, cercava di fuggire dalle attenzioni di una eccitatissima Verena Bulstrode, ora sua promessa sposa.
Malfoy Manor, 10 giugno 1980
Una Narcissa raggiante stringeva tra le braccia il suo piccolo Draco, nato pochi giorni prima, l'erede tanto atteso delle famiglie Black e Malfoy. Sembrava la copia in miniatura di Lucius: le stesse iridi grigie, gli stessi capelli biondo chiaro.
«Non è bellissimo?» Esclamò senza distogliere lo sguardo da quel fagottino delicato che socchiudeva gli occhi cercando di addormentarsi.
«Certo. È mio figlio. Non potrebbe essere altrimenti» rispose Lucius senza modestia, osservando orgoglioso quel quadro intimo che gli faceva tremare il cuore.
«Beh, mio caro, l'abbiamo fatto insieme. E io l'ho portato per nove mesi. Diciamo che io mi sono prodigata più di te, dopotutto».
Lucius sorrise, pensando a quanto aveva dovuto fare per arrivare a tutto quello.
Ma non glielo avrebbe mai confessato.
L'astuzia della serpe aveva vinto ancora una volta.
Note dell'autrice :
Questa storia partecipa al contest "Il Quidditch attraverso i Contest" indetto da Freya_Melyor sul forum di EFP.
I personaggi di Lucius e Narcissa, ovviamente, non appartengono a me, ma a J.K. Rowling, mentre i personaggi di Herbert Parkinson e di Verena Bulstrode sono frutto della mia fantasia.
Le famiglie Parkinson e Bulstrode, così come quella dei Malfoy, facevano parte delle "Sacre Ventotto", ossia le 28 famiglie britanniche che erano ancora "veramente Purosangue" secondo l'autore del libro «Pure-Blood Directory», probabilmente Cantankerus Nott.
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L'astuzia della serpe
FanfictionHogwarts, 1972. Un giovanissimo Lucius Malfoy si invaghisce di una delle sorelle Black, diventata una splendida fanciulla, ed è più che deciso a farne la nuova Lady Malfoy. Ma non ha fatto i conti con un rivale inaspettato che rischia di far saltare...